L’uomo del treno

Il 9 ottobre dello sciagurato anno 2017 è morto Jean Rochefort, bravissimo attore che ha recitato in alcuni dei miei film preferiti (Che la festa cominci, su tutti); qualche mese dopo se n’è andato il mito francese, e non solo, Johnny Holliday, cantante e attore della mia generazione. In omaggio a questi due uomini di grande valore ricordo un film del 2003 che li vede protagonisti, L’uomo del treno, del bravissimo Patrice Leconte, che alcuni confondono con L’uomo che guardava passare i treni. Confusione da lapsus freudiano assai comprensibile perché i temi sono simili e, malgrado il film non sia tratto da Simenon, lo ricorda in modo evidente.

Jean Rochefort: Professor Manesquier
Johnny Hallyday: Milan

Provincia francese. Un uomo scende da un treno mentre un altro, dentro una farmacia, sembra attendere quell’arrivo. Il caso li fa incontrare. Milan, disincantato cascatore di circo e rapinatore di banche, attraversa improvvisamente la vita di Manesquier, anziano professore di letteratura francese. Le loro esistenze si scambiano per tre giorni, i due uomini si parlano e confessano i propri desideri l’uno all’altro. Avviene ciò che entrambi anelano: uno scambio di identità. Tre giorni per mettere in scena ciascuno l’esistenza dell’altro, tre giorni per scegliere di essere o non essere quell’altro… Parafrasando il professore, esistono due tipi di uomini: quelli che i treni li prendono e quelli che i treni li guardano passare, ossia i “giocatori” e i “previdenti”… ecco Simenon. Un treno che in entrambi i casi conduce al gesto definitivo e ultimo, estremo. Il treno luogo fisico e metafisico, onirico e reale, psicologico e carnale. Un treno che segna la distanza tra come siamo e come gli altri ci vogliono vedere. Ciò che Leconte ci indica con molta chiarezza è la stazione di arrivo… il sabato…

Leconte usa la leggerezza per descrivere la tragica pesantezza dell’essere e il dramma di ogni uomo: essere visto e percepito dagli altri in modo diverso dal nostro sentire. Spesso per noi gli altri sono l’inferno di sartriana memoria.

Se a ciascun l’interno affanno
si leggesse in fronte scritto,
quanti mai, che invidia fanno,
ci farebbero pietà!
(Metastasio)

J.V.

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