Strage di piazza Fontana
Strage di piazza Fontana
piazza fontana
 
 
I crimini di cui un popolo si vergogna costituiscono la sua vera storia. Lo stesso vale per l’uomo.
(Jean Genet)
 
Riporto questo pezzo di Alberto Magnani dal Sole 24 ore. 
 
Strage Piazza Fontana, cosa è successo a Milano il 12 dicembre 1969
 
Il 12 dicembre 1969 un ordigno esplode nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana. Il bilancio finale sarà di 17 vittime e 88 feriti, dando il via agli anni della strategia della tensione e del terrorismo neofascista in Italia
 
 
Piazza Fontana, la verità storica che supera quella giudiziaria
 
Il boato, le schegge di vetro che volano nell’aria, lo choc. Lo stesso che dura da 50 anni quando si racconta quello che è successo. Il 12 dicembre 1969, a Milano, un ordigno esplode nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana.
La deflagrazione uccide 17 persone e ne ferisce altre 88, aprendo una ferita nel cuore di Milano che fatica ancora a rimarginarsi. È la strage di Piazza Fontana, il primo degli attacchi che scuoteranno il paese fino agli anni ’80 del secolo scorso.
Mezzo secolo dopo, esistono dei responsabili ma non state irrogate condanne: gli ispiratori della strage, neofascisti provenienti da una cellula di Padova, sono stati ritenuti «non processabili» perché erano già stati «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» per lo stesso reato. Ma andiamo con ordine.
 
Nel pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, la Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana è più gremita del solito: è il giorno del mercato, quando imprenditori, coltivatori diretti e allevatori della provincia di Milano si riuniscono per «discutere i loro affari commerciali ed attendere al compimento delle operazioni bancarie presso gli sportelli», come si leggerà nei documenti processuali.
Fuori piove e fa freddo, un motivo in più per sostare nell’edificio insieme ai circa 300 dipendenti dell’istituto di credito. Alle 16:37 un ordigno di «elevata potenza» deflagra nel salone centrale, scavando un cratere di oltre mezzo metro nel pavimento: 14 persone muoiono sul colpo, altre due a distanza di qualche settimana. Una diciassettima vittima morirà un anno dopo, per una polmonite aggravata dalle lesioni riportate durante l’attentato.
 
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Come è potuto succedere? Gli accertamenti successivi conducono alla scoperta di un ordigno collocato «sotto a un tavolo» nel salone circolare, non a caso quello riservato ai clienti. È una scatola metallica che comprimeva 7 chilogrammi di gelignite, un esplosivo con una potenza superiore alla dinamite. Gli effetti sono devastanti, ma la carneficina è l’acuto di una giornata convulsa. Alle 16:25, sempre a Milano, era stato rinvenuto un ordigno inesploso nella Banca Commerciale Italiana in Piazza della Scala, a neppure un chilometro in linea d’aria da piazza Fontana. Altri tre ordigni spuntano a Roma nelle stesse ore.
La prima bomba esplode alle 16:55 nel seminterrato della Banca del Lavoro in via Veneto, ferendo 14 persone. La seconda deflagra sull’Altare della Patria, sotto il pennone della bandiera, ferendo quattro persone. La terza entra in azione sui gradini del Museo del Risorgimento,f acendo crollare il tetto dell’Ara Pacis. Il bilancio della giornata è di cinque attentati nell’arco di 53 minuti, anche se l’unico a tradursi in una strage è quello che si è consumato a Piazza Fontana.
Ma cosa è successo dopo la strage? 
Le indagini sulla strage si dipanano in un’odissea che sfiora i 40 anni di lunghezza, concludendosi senza condanne definitive . Il processo viene aperto a Roma, per poi essere spostato a Milano per incompetenza territoriale e infine a Catanzaro per questioni di «ordine pubblico». In un primo momento le indagini convergono sulla cosiddetta pista anarchica, portando a una serie di fermi in due circoli: il Circolo anarchico ponte della Ghisolfa di Milano e il Circolo 22 Marzo di Roma.
Al primo appartiene Giuseppe «Pino» Pinelli, un ferroviere milanese, già staffetta partigiana durante la Resistenza. Pinelli, sposato e padre di due figlie, viene condotto in questura il 12 dicembre. Tre giorni dopo il fermo, in una pausa degli interrogatori condotti dal commissario Luigi Calabresi, muore cadendo dal quarto piano della questura.
Le autorità rubricano il suo decesso come un «suicidio», scatenando un clima di tensioni che porterà a un isolamento sempre maggiore della figura di Calabresi. Il commissario viene assassinato con due colpi di pistola alle spalle il 17 maggio 1972. In una successiva sentenza del tribunale di Milano, verrà stabilito che Pinelli è morto per un «malore attivo», perdendo l’equilibrio mentre si trovava nei pressi della finestra.
Al circolo 22 Marzo appartiene Piero Valpreda, un ballerino 36enne con alcuni precedenti penali e la fama di testa calda. Valpreda viene arrestato il 15 dicembre 1969, “incastrato” da quella che viene ritenuta allora una testimonianza decisiva: un tassista, Cornelio Rolandi,  sostiene di aver caricato sulla sua vettura un uomo che assomigli a Valpreda, lasciandolo a pochi metri dalla Banca nazionale dell’agricoltura.
La testimonianza di Rolandi verrà poi accusata di diverse incongruenze, dai dubbi sul riconoscimento di Valpreda al tragitto percorso con il sospettato: poco più di 100 metri, una distanza che non avrebbe giustificato il ricorso a un taxi. Valpreda resta in carcere fino al 1972, quando viene rimesso in libertà a seguito di una legge (la 773/1982) che fissa limiti alla custodia cautelare anche nel caso di reati che prevedono il mandato di cattura.
Tra varie interruzioni il processo va avanti, ma l’attenzione si sposta su una nuova area di indagine: l’eversione neofascista. Gli inquirenti scoprono l’esistenza di una cellula di estrema destra veneta che orbita intorno ad Ordine nuovo, un movimento neofascista fondato dal futuro latitante Clemente Graziano.
Tra le figure chiave ci sono Franco Freda, editore e procuratore legale, uscito dal Msi per costituire il gruppo di ultradestra il Gruppo di Ar (e dirigere la casa editrice omonima, a tutt’oggi operativa) e Giovanni Ventura, a sua volta ex Msi e artefice di «Reazione», una rivista ciclostilata di inclinazioni neonaziste.
I due vengono incriminati per l’organizzazione dell’attentato, facendo emergere la complicità e i tentativi di copertura di servizi deviati. Tra i nomi che spuntano c’è quello di Guido Giannettini, un giornalista romano esperto di questioni militari che si sarebbe scoperto essere a libro paga dei servizi (il nome in codice è Agente Zeta) e avrebbe “commissionato” a Ventura una serie di attentati. Nel 1979 il tribunale di Catanzaro condanna all’ergastolo Freda, Ventura e Giannettini, tutti e tre fuggiti all’estero prima della pena; Valpreda viene assolto per la strage ma condannato a quattro anni e mezzo per associazione eversiva.
Nel 1981 Freda e Ventura vengono assolti in secondo grado, ma condannati a 15 anni per (altri) attentati compiuti a Padova a Milano. Il tribunale conferma la condanna di Valpreda e assolve Giannettini. Nel 1982 la Corte di Cassazione annulla la sentenza di secondo grado sulla strage di piazza Fontana e rinvia il processo a Bari, confermando solo l’assoluzione di Giannettini; la Corte d’ Assise d’ Appello assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda; la Cassazione renderà poi definitiva la sentenza nel 1987, confermando comunque la condanna di Freda e Ventura per gli attentati commessi fra la primavera e l’estate del 1969.
Nello stesso anno viene catturato a Caracas Stefano Dalle Chiaie, fondatore del gruppo rivoluzionario neofascista Avanguardia Nazionale, sospettato di coinvolgimento nella strage insieme al militante di Ordine Nuovo Massimiliano Fachini. Saranno entrambi assolti nel 1989 dalla Corte d’ Assise di Catanzaro per non aver commesso il fatto.
Negli anni ’90 si apre una nuova fase istruttoria, condotta dal giudice Guido Salvini e basata sulle testimonianze di figure legate all’eversione nera, a partire dall’ex ordinovista Carlo Digilio. Digilio, noto come «Zio Otto» negli ambienti neofascisti, aveva collaborato all’esecuzione della strage occupandosi di valutare gli esplosivi utilizzati nell’attentato.
Gli imputati sono gli esponenti veneti di Ordine Nuovo Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, oltre al neofascista milanese Giancarlo Rognoni (accusato di aver collaborato a vario titolo alla strage) e all’ex ordinovista Stefano Tringali, sospettato di favoreggiamento nei confronti di Zorzi.
Il 30 giugno 2001 la Corte d’Assise di Milano condanna all’ergastolo Zorzi, Maggi e Rognoni, stabilendo per la prima volta in maniera netta la responsabilità dell’estrema destra nella strage. Tringali viene condannato a tre anni di pena, Digilio risulta «partecipante all’0rganizzazione» dell’attentato ma gode delle attenuanti per la sua collaborazione e il suo reato viene prescritto.
La sentenza viene ribaltata in secondo grado con l’assoluzione dei tre imputati (Zorzi e Maggi per insufficienza di prove, Rognoni per non aver commesso il fatto). Affiora però la responsabilità di una cellula di Ordine Nuovo «capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura» nell’organizzazione dell’attentato.
La Cassazione confermerà la responsabilità dei due nel 2005, ma l’esito dell’odissea giudiziaria è paradossale: Freda e Ventura non possono essere condannati perché già assolti per lo stesso reato nel 1987. Le indagini su Piazza Fontana si concludono così, dopo 36 anni e 10 processi, senza colpevoli «dichiarati» e una contraddizione in termini fra la verità dei fatti storici e quella giudiziaria. Sono state accertate le responsabilità dei terroristi neofascisti, ma è impossibile irrogare una condanna a loro carico. Le spese processuali vengono addossate ai parenti delle vittime.
 
Alberto Magnani
 
 
Segnalo alcuni libri utili per approfondire.
 
La forza della democrazia. La strategia della tensione in Italia
(1969-1976), con Marco Fini, Torino, Einaudi, 1977. Da vedere anche la puntata del 14/1/77 su Rai Play.
 
Stajano
Aldo Giannuli, La strategia della tensione, Ponte alle grazie.
Questo volume conclude un trentennio di ricerche che Aldo Giannuli – il maggior esperto nella materia – ha svolto in decine di archivi, consultando centinaia di migliaia di documenti, anche per conto di diverse Procure della Repubblica. Oltre a far luce per la prima volta su una grande quantità di episodi determinanti del periodo della «strategia della tensione», che qui Giannuli fa cominciare nel 1960 e terminare, o trasformarsi, nel 1975 (dal ruolo del SID parallelo nel golpe Borghese, alle strane morti di personaggi come Nardi e lo stesso Borghese, ai rapporti dell’ambasciata cinese a Berna con la destra europea, per fare solo qualche esempio), vengono per la prima volta messi in relazione, con un taglio scientifico e adeguata profondità d’analisi, i vari piani su cui si svolse la battaglia politica: le relazioni internazionali, in particolare fra i blocchi e con la Cina; la progettazione della «guerra rivoluzionaria» all’interno dell’Alleanza Atlantica (fondamentali alcuni documenti NATO presentati qui per la prima volta); gli equilibri di potere fra i partiti italiani; le vicende dei servizi segreti ordinarie «paralleli»; il coinvolgimento del terrorismo fascista. L’architettura di questa ricerca e le grandi novità documentarie consentono una lettura politica innovativa e finalmente completa di quel quindicennio; una lettura che contribuisce a spiegare molti drammatici aspetti del nostro presente: il dilagare della criminalità organizzata, l’esplodere della corruzione, il radicale indebolimento delle istituzioni democratiche.
 
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Enrico Deaglio, ‘LA BOMBA’, Feltrinelli
“La fronte della persona con cui stavo conversando improvvisamente si illuminò come una lampadina, o come un raggio che veniva dal cielo. Io rimasi a bocca aperta, e il mio interlocutore capì subito quello che era successo: ‘Sono frammenti di vetro sottopelle. Quando il sole li colpisce con un certo angolo, si illuminano, ma dura poco’. Mi disse che era ‘un sopravvissuto’ della strage di Piazza Fontana del 1969, allora ventinovenne impiegato di banca. Rimase ferito a una gamba, pensò di perdere il lavoro. Andò ai funerali con la stampella, si ricordava il cielo nero, i passi della gente e uno sgomento, come se ci stessimo tutti avviando a una ‘fucilazione'”.
   Con il libro “La bomba. Cinquant’anni di Piazza Fontana” Enrico Deaglio riporta il lettore indietro nel tempo e lo fa seguendo alcuni personaggi chiave. Vediamo Valpreda in taxi verso il luogo del delitto, con la testimonianza del tassista Rolandi che lo accusa di averlo accompagnato proprio qualche minuto prima dello scoppio della bomba. Fin dalle prime pagine l’autore sottolinea gli eventi, utili per districarsi nella marea di avvenimenti, nomi, trame, che costellano questa storia.
   Deaglio, inoltre, collega la vicenda di Piazza Fontana ai luoghi che tocca. Poi ci sono i dubbi sulla morte del ferroviere anarchico Pinelli ‘volato’ dalla finestra della questura (in apertura una dedica alla sua famiglia e a tutti i loro amici ndr), le parole di alcuni testimoni. Sullo sfondo c’è un Paese che cambia e si trasforma. Sono passati cinquant’anni, ma ci sono domande che ancora non hanno una risposta. Perché, per esempio, venne scelta la Banca nazionale dell’agricoltura? L’anno più tetro della storia italiana continua a essere pieno di misteri irrisolti. Forse proprio per le trasformazioni in corso, accadde quello che sconvolse Milano. Il giudice Salvini, che ha scoperto i veri autori della bomba, accusa la magistratura milanese di aver taciuto colpevolmente per decenni.
   E la storia comincia dalle cicatrici, dalle premonizioni, dalle coincidenze, dai luoghi da cui la Storia è passata.
   L’angosciante Veneto profondo in cui la bomba venne concepita, le manovre finanziarie intorno alla banca della strage, la sublime arte del depistaggio che da allora ci ha sempre accompagnato. La ricerca diventa così uno “studio in rosso” sulla struttura del potere in Italia e sulle nobili forme di resistenza che lo hanno contrastato, con le armi dell’amicizia, della parola, della musica, del coraggio civile.
   In mezzo campeggia, senza tempo, il grande quadro di Enrico Baj – la nostra Guernica -, che venne bendato perché troppo vero.
   Questo è un viaggio nella memoria, che ha l’andamento di un giallo e racconta l’ultimo mezzo secolo di storia italiana, come non l’abbiamo mai sentita. Chi non c’era potrà respirare l’aria pesante di quei giorni, quando sembrava che fosse buio a mezzogiorno. Chi c’era ritroverà la ferocia della bomba che scoppia, e poi si ritira, e poi si riproduce, e continua a scoppiare per decenni, con il potere di assoggettare tutti – tutti? – alla sua ferocia e al suo ricatto.
   Con lo sguardo di chi ha vissuto questa storia dall’inizio, Enrico Deaglio ricompone l’intrigo mettendo insieme le scoperte degli ultimi dieci anni e nuovi spunti di ricerca con la speranza che una verità si possa raggiungere e, soprattutto, rendere nota. (ANSA).
Deaglio
Infine il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, tratto dal libro “Il segreto di piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli edito dalla casa editrice Ponte alle Grazie, con Valerio Mastandrea nella parte di Luigi Calabresi e Pierfrancesco Favino nella parte di Giuseppe Pinelli.
 
Ho vissuto gli anni della strategia della tensione con sofferenza e angoscia come tutti i miei coetanei. La nostra vita è stata segnata da queste spaventose tragedie. Spero che i giovani traggano giovamento dalla lettura di questi libri e dalla visione dei filmati. 
 
J.V.

This article has 1 comments

  1. pedrop61@libero.it

    C’è un prima e un dopo nella storia del nostro paese. C’è un prima della Bomba e un dopo la Bomba. La Bomba segna l’uscita del paese dall’epoca d’oro del boom economico, della felicità di un’eterna crescita e il suo ingresso nel tunnel della tensione politica, dello scontro sociale sistematizzato, della fine della corsa alla crescita e alla ricchezza. Fino all’epilogo finale dove lo scontro politico estremizzato diverrà una mattanza a colpi di pistola. Un paese che perde l’innocenza, un’innocenza ipocrita forse, un pò bigotta. Forse un’innocenza di facciata, cui piaceva ingannarsi mitizzando l’idea della purezza del mondo contadino nella moderna società industriale. Gli inganni portano semrpe delusioni. La peggiore che abbiamo avuto è che chi cerca giustizia trova la legge. Le due cose in questo mondo non sempre coincidono.

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