GIUSEPPE VERDI

GIUSEPPE VERDI

“la parola stempera, snerva, e distrugge il sentimento! Tutte le esteriorità hanno qualche cosa di poco sentito, e sono una profanazione”(Giuseppe Verdi)

Uomo serio che preferisce il silenzio alle vacue parole. Dobbiamo alla monumentale lettura delle sue opere da parte di Julian Budden, alle indagini e alle analisi di Marcello Conati e ai saggi di Gilles De Van una più equilibrata critica verdiana che restituisce al Maestro la giusta considerazione che merita, allontanando pregiudizi malevoli ed assai ignoranti. Meritorio anche il lavoro di Philip Gossett che ha curato l’edizione critica dell’opera omnia, del Maestro Riccardo Muti profondo studioso di Verdi e del critico musicale Paolo Isotta peraltro insignito nel 2017 del premio Isaiah Berlin alla carriera. Berlin in Controcorrente” scrive di “Ingenuità di Verdi”, seguendo la distinzione di Schiller tra ingenuo e sentimentale.Tre gioielli inestimabili: Rigoletto, Trovatore e Traviata tra il 1851 e il 53. Potere visionario degno di Balzac. Karajan per Trovatore, Sinopoli per Rigoletto e Serafin per Traviata con la Callas. Poi Aida sempre di Karajan, Falstaff di Toscanini, Don Carlo di Abbado, Otello di Kleiber.

Infine Requiem di Toscanini.Verdi è l’Italia del Risorgimento e il Risorgimento è Verdi, la sua musica potente, La Scala, la Fenice. Visconti lo sa bene e apre Senso con la Fenice verdiana. Il Va, pensiero del Nabucco è la coscienza nazionale. Uomo di studi profondi, vasta cultura e genio musicale. Ringraziamo Barezzi e il cembalaro Cavalletti per avergli spianato la strada. E poi ringraziamo Giuseppina Strepponi e la contessa Maffei per averlo sgrossato. Talento eccezionale sostenuto da ferrea volontà e astuzia. Perde figli e moglie, soffre maledettamente e si rialza. Uomo saggio, sufficientemente cinico e scafato, geniale. Lui e Manzoni due giganti della povera Italietta. Uomo legato alla terra e alle tradizioni ma anche di larghe vedute e capace di riconoscere il genio degli altri. Uomo dalla memoria lunga: non perdonerà mai ai milanesi il fiasco di Un giorno di regno nel peggior momento della sua vita. Per non parlare della bocciatura in quel Conservatorio che oggi porta il suo nome. Ringraziamo il prezioso Emanuele Muzio, protetto di Barezzi, per il lavoro svolto al servizio del Maestro. La mia opera preferita? Don Carlos, monumentale, drammatica, politica, terribile. E poi il suo Valzer in fa maggiore per pianoforte, orchestrato da Nino Rota per Il Gattopardo. E poi Rigoletto e Trovatore. Ho sempre accostato Verdi a Schopenhauer e alla sua visione tragica dell’esistenza.

Verdi comprende sino in fondo il dramma umano, da Otello a Falstaff, ne studia, come il suo amato Shakespeare, i risvolti crudeli e dolorosissimi. Detesta i giornalisti e tutti coloro che banalizzano il vivere quotidiano e ammorbano la nostra esistenza con la loro ricerca ossessiva di notizie futili. Verdi è un uomo riservato e attento, ariostescamente ironico, generoso ma tutto d’un pezzo. Ama il suo buon retiro di Sant’Agata e le piccole cose che rendono vivibile l’inferno terreno. La morte di Verdi, il 27 gennaio 1901, segna la conclusione di un’epoca e infatti con l’annuncio della sua morte Bernardo Bertolucci apre Novecento. La sua musica, come quella di Puccini, mi ha molto aiutato nei momenti difficili. Grazie Sommo Maestro.

J.V.

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