Superbia

Donna bella et altera, vestita nobilmente di rosso, coronata d’oro,
di gemme in gran copia, nella destra mano tiene un pavone et nella sinistra un specchio, nel quale miri et contempli sé stessa. (Cesare Ripa, Iconologia, 1611, p. 507)

Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
sì che veggiate il vostro mal sentero!
(Dante, Purgatorio, canto XI, vv. 70-72)

Con superbia si intende la pretesa di meritare per se stessi, con ogni mezzo, una posizione di privilegio sempre maggiore rispetto agli altri, che devono riconoscere e dimostrare di accettare la loro inferiorità correlata alla superiorità indiscutibile e schiacciante del superbo. È la radicata convinzione della propria superiorità (reale o presunta) che si traduce in atteggiamenti di orgoglioso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri. Per la teologia cattolica, uno dei sette peccati capitali, consistente nell’amor di sé spinto fino all’eccesso di considerarsi principio e fine del proprio essere, disconoscendo quindi la propria condizione di creatura. Nella dottrina morale cattolica la superbia è considerata il peccato peggiore tra i sette vizi capitali dal momento che il superbo tende a comportarsi in maniera malvagia perché ritiene di essere migliore degli altri. La superbia viene raffigurata da Dante come il leone. Altri simboli che nell’arte accompagnano la raffigurazione della superbia sono generalmente il pavone, lo specchio (nel quale a volte si scorge il riflesso di Satana) e il pipistrello.

Direi proprio che la superbia e la presunzione sono i sentimenti dominanti. La superbia genera conflitti insanabili perché ogni essere umano vuole vedere riconosciuta davanti agli altri la propria superiorità. Per quanto mi riguarda so di essere stato superbo perché nessuno è più superbo di colui che si crede immune dai pericoli del mondo ed un tempo pensavo veramente “male non fare paura non avere”, un’autentica sciocchezza. In realtà oggi sono orgoglioso soltanto di ciò che ho letto. Ad alcuni piace mostrarsi grandi, soprattutto coloro che sono piccoli ed invidiosi perché tra invidia e superbia c’è un sottile legame dovuto alla volontà del superbo di superare gli altri e quando a sua volta viene superato non si rassegna; l’effetto di questa non rassegnazione si chiama invidia.

E non per altra cagione sono odiose e reputate contrarie alla buona creanza le lodi di se medesimo, se non perché offendono l’amor proprio di chi le ascolta. E perciò la superbia è vizio nella società, e perciò l’umiltà è cara, e stimata virtù. (Giacomo Leopardi)

Concludiamo alleggerendo un po’: “– Non sono narcisista né egoista; se fossi vissuto nell’antica Grecia non sarei stato Narciso.
– E chi saresti stato? – Giove. (Woody Allen)

J.V.

Rispondi