Simenon

Uno degli autori più letti al mondo. Non ha vinto il Nobel o il Goncourt ma nel 1961 Bernard de Fallois lo inserisce nella Bibliothèque idéale di Gallimard assieme ai grandi Céline, Kafka, Camus… eppure Simenon resta sempre sulla porta del Pantheon letterario. Perché? Ha scritto troppo e quindi, secondo il pregiudizio, ha scritto male. Piccolo borghese di Liegi, desideroso di rompere il guscio di provenienza ma,nello stesso tempo, assai attaccato a quel guscio. Paragonabile, per mole di scrittura e idiosincrasia per gli ambienti letterari ufficiali, a Dumas e Verne. Operaio delle lettere consapevole di possedere enormi mezzi. Talento volutamente dedicato al romanzo popolare, giudiziario, poliziesco. Maigret è il capolavoro assoluto, un investigatore dal volto umano, serio, pacato, mai banale, comprensivo e duro nello stesso tempo, paziente ed irascibile, sornione e agile di pensiero. Linguaggio scarno, asciutto, operaio, essenziale ma profondo, attento, psicologico, realista. A partire dal 1931 Simenon scrive settantacinque Maigret, centodiciassette “romanzi duri”, oltre cinquecento racconti. Impressionante! Tutti da leggere con piacere, tutti coinvolgenti, affascinanti. Un preciso rituale di scrittura che passa da quattro tappe obbligate: ambientamento; redazione in busta gialla (una sorta di sommario); redazione vera e propria nel chiuso dello studio tra le sei e le nove del mattino, che dura da una settimana per un Maigret a quindici giorni per un romanzo elaborato. In genere usa la macchina da scrivere ma a volte la prima stesura è manuale. Enorme concentrazione. Non vuole perdere il filo del racconto. Ultima fase: revisione. Accurata, puntigliosa, stilistica. A volte la rilettura è integrata da Françoise Doringe, correttrice ufficiale. Un eccellente artigiano, un autentico caso, un sottovalutato talentuosissimo, forgiato da letture importanti: Gogol, Čechov, Dostoevskij, Stevenson, Conrad, Montaigne, Balzac per citarne soltanto alcuni. Frequenta l’ambiente letterario parigino degli anni trenta ed è in contatto con Marcel Achard, Joseph Kessel, Marcel Pagnol, André Gide. Stringe rapporti di amicizia con Jean Cocteau e Henry Miller. Attentissimo al quotidiano e al popolare che descrive come un grande regista alla Renoir o Duvivier. La sua descrizione realista è però permeata dalla dimensione onirico-magica, fatalista, esistenziale e poetica.

Alcuni suoi personaggi scoprono l’estraneità del mondo e la sua assurda natura contingente: Hire o Popinga ricordano La nausea di Sartre o Lo straniero di Camus. Nella primavera del 1930 Simenon propone all’editore Fayard una collana di romanzi polizieschi e gli sottopone Pietr il lettone. Si impegna a scrivere dieci Maigret, un antieroe, un uomo comune, un funzionario vulnerabile che conosce il dubbio. Un poliziotto che si affida all’istinto, al buon senso. La sua infanzia viene raccontata in L’affare Saint-Fiacre del ‘32 e in Le memorie di Maigret del ‘50. Si scontra spesso col benpensante giudice Coméliau, si confida con l’amico dottor Pardon, può contare sulla moglie devota. Gran bevitore e amante della buona tavola, casto e fedele all’amata moglie, si immedesima negli altri per comprenderne il comportamento. Un poliziotto-artigiano che gode di una certa indipendenza ed è ostile ai metodi scientifici-burocratici e, soprattutto, al prevalere della magistratura sulla polizia. I suoi collaboratori sono quasi suoi familiari e con loro stabilisce una sorta di comunità affettiva improntata ad un bonario paternalismo. Come nell’hard boiled americano alla Chandler o alla Hammett, sia pure in modo più attenuato, anche Maigret critica la corruzione delle classi dirigenti e spesso simpatizza con i colpevoli, comprendendone le debolezze e il disagio sociale.

I romanzi di crisi di Simenon sono “oltre la linea”, spesso intrisi di sesso, con donne ammaliatrici e uomini predatori, giovani frustrati, prostitute dal cuore d’oro, madri possessive. L’inconscio è presenza forte. La lettura di Freud, Jung e Adler, sia pur superficiale, lo spinge a tenere in considerazione libido, sessualità, devianza. Simenon attinge anche alla propria adolescenza, al ricordo del padre Désiré morto giovane e della nevrotica madre Henriette. In genere i suoi protagonisti, in modo particolare Maigret, vivono la vita degli altri, comprendono ma non giudicano, sono osservatori sofferenti ma lucidi. Fondamentali i particolari, assai più importanti delle cose apparentemente importanti. Dai particolari si comprende molto. Predilige la piccola borghesia tradizionale, la classe sociale di provenienza, considera parassitaria la grande borghesia e trascura la classe operaia. Un passo significativo “Dietro tutte le finestre illuminate della strada, del quartiere, intorno a tutte le tavole a cui si cena, ci sono individui animati da un’identica speranza… Quel che è tragico è che tutta questa gente modesta non capisce se stessa. Ognuno vive nel suo alveolo, vicino alla sua stufa, nel cerchio di luce della sua lampada. E ognuno di questi cerchi di luce è riscaldato da fremiti di speranza. Solo, ecco, gli uomini non sanno né che cosa li spinge, né dove vengono spinti “ (Je me souviens, cap. XV). Simenon pensa che i mediocri piccoli-borghesi possano riconciliare la società. Una visione potenzialmente reazionaria ed ingenua dovuta ai terribili anni trenta e alla volontà di porre fine al clima d’odio che porterà alla seconda guerra mondiale. Ed ecco Hire l’escluso, Popinga il fuggitivo, Augustin il pensionato, e poi i malati, i devianti, le prostitute, i modesti impiegati, le donne devote, i mariti delusi, i padri silenziosi, le madri nevrotiche e invadenti… un esercito di sconfitti mediocri. L’assurdo di Camus generalizzato. Il piccolo borghese Simenon è un errabondo. Cambia casa 33 volte, prigioniero di voraci appetiti sessuali, vive la tragedia di una figlia suicida, la morte del fratello in Indocina, la tensione continua di un rapporto complicato con la prima moglie, le accuse di collaborazionismo nel clima fetido del secondo dopoguerra francese dove i colpevoli cercavano, come sempre, qualche innocente da incolpare. Al netto di tutto la sua opera è ricca di umanità, intelligenza, comprensione, profondità psicologica. Come i suoi personaggi Simenon non giudica… comprende. È ciò che dobbiamo fare con lui. Cosa leggere? Possibilmente tutto Maigret e poi almeno Il testamento Donadieu, Il fidanzamento di Mr. Hire, Il borgomastro di Furnes, La fuga del signor Monde, Tre camere a Manhattan, La neve era sporca. Su tutti L’uomo che guardava passare i treni. Questo è solo un piccolo antipasto di un pranzo pantagruelico. E poi cinema e televisione si sono occupati di Simenon. Cosa vedere? Sicuramente Gino Cervi, poi Bruno Cremer. Non perfettamente riuscito Jean Gabin… su altri stenderei un velo pietoso.

Ho iniziato a leggere Simenon da ragazzino e non ho mai smesso. Mi è sempre piaciuto… forse perché sono anche io un mediocre che, molto ingenuamente, un tempo nutriva speranze. Reazionario? Forse… quando un mondo sprofonda come Atlantide non esiste molto da conservare e poi non nutro alcuna speranza in un futuro ipertecnologico, antiumamo, ignorante, ridicolo e grottesco dove la scuola non è più formata da buoni maestri ma da sciatti e ignoranti burocrati progettisti e gli studenti si valutano con debiti e crediti e non tentando di comprendere il loro mondo, le loro aspirazioni e sofferenze. Ben vengano allora i più duri e affamati popoli che rivendicano un posto al sole. E se siamo condannati a sprofondare… facciamolo con dignità. Nel mio canone occidentale dove Omero, Dante e Shakespeare governano, c’è posto anche per il ”mediocre” Simenon, accanito fumatore, forte bevitore, politicamente scorretto, talentuoso sottovalutato dai saccenti, eterni, insopportabili critici invidiosi e malevoli. Caro Simenon, non hanno vinto i tuoi “mediocri“ che tanto mediocri in realtà non sono, ma una massa di ignoranti volgari e presuntuosi che non possiedono un briciolo dell’umanità e dell’intelligenza di Maigret.

J.V.

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