Salvatore Natoli, L’esperienza del dolore

Il dolore è quanto di più proprio, individuale e intrasferibile possa darsi nella vita degli uomini, ma nello stesso tempo non è un’esperienza così immediata e diretta come a prima vista potrebbe sembrare. Nessun uomo potrebbe vivere la sofferenza e sopravvivere ad essa, se non riuscisse ad attribuirvi un senso. Esistono quindi scenari di senso entro i quali il dolore viene giustificato e compreso. Tragedia e redenzione costituiscono le due grandi scene entro cui l’occidente ha sperimentato il dolore. Queste due visioni del tempo si sono mescolate, ma anche reciprocamente neutralizzate. Il loro progressivo allontanarsi dal modello originario ha aperto la via a nuove possibili sintesi. L’esperienza del dolore nella società contemporanea non dispone più dell’integralità della tradizione e tuttavia ne sente il bisogno di salvezza e la fedeltà alla terra. L’unica fede oggi possibile sembra essere quella della tecnica, ma anch’essa, per molti versi, lascia increduli. L’uomo contemporaneo si pone tra l’ideologia dell’uomo artificiale e i rischi del futuro. In questa nuova scena si vive oggi il dolore. (Dalla quarta di copertina)

Salvatore Natoli è professore di Filosofia teoretica. Tra le sue opere ricordiamo: Ermeneutica e genealogia. Filosofia e metodo in Nietzsche, Heidegger, Foucault (Feltrinelli, 1980), L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale (Feltrinelli, 1986), Vita buona, vita felice. Scritti di etica e politica (Feltrinelli, 1990), Teatro filosofico. Gli scenari del sapere tra linguaggio e storia (Feltrinelli, 1991), La felicità. Saggio di teoria degli affetti (Feltrinelli, 1994), Soggetto e fondamento. Il sapere dell’origine e la scientificità della filosofia (Bruno Mondadori, 1996), Dizionario dei vizi e delle virtù (Feltrinelli, 1996), Dio e il divino(Morcelliana, 1999), La felicità di questa vita (Mondadori, 2000), Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente (Feltrinelli, 2002), Libertà e destino nella tragedia greca (Morcelliana, 2002), Parole della filosofia o dell’arte di meditare (Feltrinelli, 2004, Premio filosofico Castiglioncello; In Ue: L’arte di meditare. Parole della filosofia, 2016), La verità in gioco. Scritti su Foucault (Feltrinelli, 2005), Sul male assoluto(Morcelliana, 2006), La salvezza senza fede (Feltrinelli, 2007), Edipo e Giobbe (Morcelliana, 2008), Il crollo del mondo (Morcelliana, 2009), Il buon uso del mondo (Mondadori, 2010), L’edificazione di sé. Istruzioni sulla vita interiore (Laterza, 2010), Soggetto e fondamento. Il sapere dell’origine e la scientificità della filosofia (Feltrinelli, 2010), I comandamenti. Non ti farai idolo né immagine (con Pierangelo Sequeri; il Mulino, 2011) e Nietzsche e il teatro della filosofia (Feltrinelli, 2011).

“La gente cambia, e sorride: ma la sofferenza resta.” (T.S. Eliot, Quattro quartetti)

Il dolore è veicolo di conoscenza non per astrazione, è experimentum crucis, sottopone a prova chi lo vive e si erge a controprova del senso dell’esistenza. Il dolore è vita che si riduce e il suo rischio più alto è la morte. Un muro di silenzio si alza tra coloro che soffrono e coloro che non soffrono e che comunque separa. Al di là di ogni sentimento di umana pietà. “Ntender no la può chi no la prova” (Dante, La Vita nuova, CAP. XXVI, v. 11). L’amore, anche quando tace, parla. Al contrario, il dolore resta muto perché la sofferenza inibisce l’espressione e quando non la inibisce la deforma. L’amore genera il discorso e si autorigenera, si distacca dalla fruizione immediata dell’oggetto e tende all’assoluto. Al contrario nel dolore il peso dell’ostacolo è più forte dello sforzo tanto che la tensione rischia di spezzarsi. Ogni dolore individuale invia ad una cosmologia del dolore, dove il parlare non ha pretesa di comunicazione; ecco perché per comprendere l’esperienza del dolore, ammesso che sia possibile, bisogna prima intuire il dolore del mondo, guardare il volto del sofferente che dissimula ma si tradisce, vuole trasmettere forza ma trasmette sofferenza, diviene una maschera. Il dolore si tradisce (dal latino tradere, porgere) e lascia intravedere, lascia vedere restando nascosto. I tratti del volto si alterano e l’atteggiamento del soggetto diviene ambiguo. Il sofferente non vuole commiserazione ma comprensione in modo che la sofferenza possa farsi linguaggio non banale che interpreti la gamma di moti dell’anima che vanno dal muto silenzio allo strazio. A volte, è il mio caso, si reagisce persino con ironia e sarcasmo, con anelito di giustizia e costruzione di un’esistenza migliore, di presa di coscienza della propria essenza individuale, perché nessuno è sostituibile nel proprio dolore così come non lo è nella propria morte. Ecco perché veder soffrire, o peggio morire i figli, è insopportabile: non possiamo sostituirci a loro. Inoltre il nostro io non esiste come soggetto monolitico ma è il rapportarsi di un rapporto, una rete polimorfa tale che l’individuo storico perisce prima di comprendersi. In questo senso il Dolore e la Vecchiaia sono anticipazioni di Morte. Il Dolore non è un’esperienza che si sceglie, esso viene inflitto e come tale deve essere sopportato e, a certe condizioni, accettato. Da qui la Pazienza, la virtù per eccellenza, come capacità di saper sopportare. Il Dolore offre una diversa orientazione all’interno dell’esistenza, ci sospende nel Nulla, ci rammenta costantemente la precarietà esistenziale e in quanto tale il Dolore è Angoscia che, come scrive Heidegger, rende l’individuo estraneo alla chiacchiera e quindi separa dalla moltitudine. “Ma se io parlo, il mio dolore non si lenisce e, se faccio, non se ne va da me. (Giobbe, 16, 6). Il Dolore rende soli ed è repellente, crea timori per il possibile sopravvento dell’odio. Personalmente, malgrado ciò che sto subendo, non odio nessuno… però nutro disprezzo per alcuni. Il Dolore ci avvicina alla prima notte di quiete e al pericolo di radicale perdita del sé, consapevolezza della radicale crudeltà dell’esistenza.
Vivo il mio dolore senza lamenti, con dignità e con la consapevolezza leopardiana di compatire (soffrire assieme) il Vostro dolore, acquisendo la giusta distanza con la quale tenere testa al proprio individuale patire. Viviamo tempi tristi, nei quali vi è Nostalgia dell’Uomo, una nostalgia contraddetta dalle imprese della Techne e dell’uomo artificiale. Abbiamo perduto un mondo e ci troviamo nella Terra Desolata. In questo spazio ogni uomo è chiamato a combattere la sua guerra e a prepararsi ad una nobile morte.
Ecco perché ogni mattina Vi scrivo, perché tento di superare il dolore, il mio e il Vostro, prepararmi e prepararci all’agonia che esiste immancabilmente dopo la battaglia.
“Resisti, cuore, anche se soffri mali irresistibili: si fa convulsa l’anima dei vili (Teognide, Libro I, V. 1029-1030)

J.V.

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