Anteo (Antaios)

Anteo (Antaios)

Gigante, figlio di Poseidone e Gea. Re di Libia. Potentissimo fino a quando resta in contatto con sua madre, la Terra. Costringe gli stranieri a lottare con lui e li uccide. Ogni volta che tocca terra riprende forza. Conserva i crani delle sue vittime per farne il tetto del tempio di Poseidone. Vive in una grotta ai piedi di un picco roccioso, dove si nutre di carne di leone e dorme sulla nuda terra per conservare e aumentare la sua forza colossale. La Madre Terra, non ancora sterile dopo la morte dei Giganti, concepisce Anteo in un antro libico ed è fiera di lui.

Eracle lo sfida. Entrambi si liberano delle pelli di leone, ma mentre Eracle si unge il corpo con olio alla maniera olimpica, per sfuggire più facilmente alla presa dell’avversario , Anteo si massaggia le membra con sabbia calda, per timore che il solo contatto delle piante dei piedi con la terra non sia sufficiente a rinvigorirlo.

Quando Eracle getta a terra il Gigante, con grande meraviglia vede i suoi muscoli gonfiarsi e il sangue scorrergli nelle membra. Allora Eracle lo solleva tra le braccia e gli spezza le costole, sordo ai profondi gemiti della Madre Terra, finché non lo uccide.

Nel De anima, discutendo le concezioni dei pensatori presocratici che ponevano a principio di tutte le cose l’acqua (Talete) o l’aria (Anassimene) o il fuoco (Eraclito), Aristotele constata: “Tutti gli elementi hanno avuto un avvocato difensore, tranne la terra”. Nemmeno Aristotele, però, difende il più povero degli elementi. Per oltre duemila anni la tradizione razionalistica-platonica occidentale ha lasciato la terra fredda, ricettacolo delle determinazioni materiali, sensibili, inferiori, contrapposte negativamente a quelle nobili ed elevate dello spirito, senza avvocati.

Il lungo abbandono si interrompe nel Novecento con ben tre importanti avvocati difensori: Heidegger, Schmitt e Jünger. Il primo valorizza la terra come categoria filosofica nel saggio L’origine dell’opera d’arte(1935/36). Il secondo descrive il radicamento terrestre dell’uomo e del diritto nel racconto Terra e mare (1942), scritto per la figlia Anima, e nel trattato sul Nomos della terra (1950). Il terzo esalta la dimensione ctonia e tellurica dell’Essere nel saggio Al muro del tempo. Tutti e tre prendono le mosse dalla fedeltà alla Terra di Nietzsche.

Jünger osserva il divenire del cosmo e i suoi ritmi e riflette sul senso dell’apparizione dell’uomo. Che posto occupano nell’evoluzione del Tutto le res gestae, le magnifiche sorti e progressive? Jünger “rinaturalizza” la storia e considera l’umanità come un’efflorescenza della crosta terrestre. Il tempo e la storia dell’uomo vanno oltre la naturalità, ma affondando in essa le loro radici. La comparsa del genere umano rende unica la terra. Sgomento astrale eppure respiro naturale.

Tutti noi abbiamo bisogno di essere radicati nella realtà (il corpo, la vita, la Terra) per non indebolirci, per non vivere un’esistenza virtuale e illusoria.

Anche Dante è affascinato da Anteo (non poteva essere diversamente) e nella Divina commedia Anteo si trova, insieme a tutti gli altri giganti conosciuti, nel cosiddetto Pozzo dei giganti, punto di connessione tra l’ottavo e il nono cerchio dell’Inferno. A differenza dei suoi simili, Anteo non è incatenato, in quanto non prese parte alla battaglia contro gli dèi dell’Olimpo, né fece alcun atto di superbia, e per questo aiuta Dante e Virgilio a raggiungere il cerchio dei traditori.

La terra ha una pelle, e questa pelle ha delle malattie. Una di queste malattie si chiama ‘uomo’. (Friedrich Nietzsche)

J.V.

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