VESPRI SICILIANI

VESPRI SICILIANI

“Soffre, la Sicilia, di un eccesso d’identità, né so se sia un bene o sia un male. Certo per chi ci è nato dura poco l’allegria di sentirsi seduto sull’ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino.”

(Gesualdo Bufalino, Cere perse, 1985)

Il 13 dicembre 1250, muore Federico II di Svevia. Le sue spoglie vengono avvolte in preziosi manti orientali e inumate nel sarcofago di porfido rosso posto all’interno della Cattedrale di Palermo. Il papato offre al francese Carlo D’Angiò il meridione d’Italia compreso il Regno di Sicilia. I legittimi eredi di Federico tentano di opporre resistenza. Purtroppo Manfredi, figlio naturale di Federico, viene sconfitto e ucciso a Benevento nel 1266 dagli eserciti francesi. Due anni dopo viene decapitato a Napoli l’ultimo pretendente Svevo al Regno di Sicilia, Corradino, nipote di Federico. Carlo I d’Angiò diviene re di Sicilia e infeuda i propri baroni francesi a scapito della nobiltà siciliana. Inoltre sceglie Napoli come sede del governo. Fiscalità esasperante, violenze e vessazioni a danno della popolazione locale rappresentano una miscela esplosiva e un classico esempio di malgoverno al punto che Dante scriverà nel canto VIII del Paradiso “Se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.”

A questo punto scatta l’alleanza tra l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo e Pietro III d’Aragona in funzione antiangioina. Agenti bizantini e aragonesi istigano la popolazione alla rivolta forti anche dell’ antipatia contro Martino IV neoeletto pontefice filofrancese. I baroni siciliani organizzano la sollevazione popolare per convincere Pietro d’Aragona ad aiutarli. La rivolta siciliana, di chiara matrice antipapale e antifrancese, fa esplodere il conflitto nell’area mediterranea: da un lato Carlo I d’Angiò, sostenuto dal re di Francia Filippo III, dal papa e dai guelfi fiorentini, dall’altro Pietro III d’Aragona, appoggiato dall’imperatore Michele VIII Paleologo, Rodolfo d’Asburgo, Edoardo I d’Inghilterra, la fazione ghibellina genovese, il Conte Guido da Montefeltro, Alfonso X di Castiglia e le Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa. Tutto inizia con la funzione serale dei Vespri del 30 marzo 1282, lunedì dell’Angelo, sul sagrato della chiesa del Santo Spirito, a Palermo. Un tal Drouet si rivolge in modo irrispettoso verso una giovane nobildonna accompagnata dal marito. Inoltre le mette le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. Il marito gli sottrae la spada e lo uccide. Scatta la scintilla, inizia la rivolta. Al grido di “Mora, mora!” i siciliani iniziano la caccia ai francesi in tutta l’isola. Una mattanza. Si narra che i siciliani, per individuare i francesi camuffati da popolani, facessero ricorso a uno shibboleth: mostrano ai francesi dei ceci – cìciri in siciliano – e chiedono di pronunciarne il nome. Tutti coloro che pronunciano “sciscirì”, tradendo la propria origine, vengono trucidati. “Antudo” è il grido di battaglia (acronimo di “Animus Tuus Dominus” che vuol dire “il coraggio è il tuo Signore”), il 3 aprile 1282 viene adottata la bandiera giallo-rossa, con al centro la Triscele, che diverrà il vessillo di Sicilia. La bandiera viene formata dal giallo di Palermo e dal rosso di Corleone.

Carlo I d’Angiò interviene militarmente e sbarca in Sicilia con 24.000 cavalieri e 90.000 fanti. Assedia Messina difesa da Alaimo da Lentini. A Palermo, allora si invoca la tesi legittimista e viene richiamata l’ultima degli Svevi,

Costanza, moglie di Pietro III d’Aragona, figlia del defunto re Manfredi di Sicilia. Pietro, al comando dell’esercito, sbarca a Trapani il 30 agosto grazie alla flotta donatagli dal Paleologo e il 4 settembre viene incoronato re a Palermo dal parlamento siciliano come Pietro I di Sicilia. La guerra dura vent’anni e si conclude con la pace di Caltabellotta, firmata il 31 agosto 1302 nel castello della cittadina siciliana fra Carlo di Valois, capitano generale di Carlo II d’Angiò, e Federico III d’Aragona.

I Vespri sono un momento decisivo della storia siciliana. Nasce il legame tra Sicilia e Aragona e l’isola sarà il teatro delle operazioni politico-militari dello scontro tra aragonesi e francesi per il controllo del Mediterraneo. Nobiltà siciliana e aragonese si fondono. Nasce una monarchia “pattista” nella quale i siciliani non si sentono sudditi ma interlocutori degli aragonesi. L’Impero bizantino deve la propria salvezza ai Vespri. Senza la rivolta siciliana sarebbe stato fagocitato dai francesi.

Giuseppe Verdi musica I vespri siciliani, un grand opéra in francese che verrà rappresentata all’Opéra di Parigi il 13 giugno 1855. Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier.

Che dire? La Sicilia, terra meravigliosa, è stata dominata un po’ da tutti. I siciliani spesso chiamano eserciti stranieri per dirimere questioni interne. Forse meglio chiudere con le parole di Tomasi di Lampedusa “Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana.”

Come dire meglio ciò che penso davvero?

J.V.

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