Un clamoroso falso storico: I Protocolli dei Savi di Sion

Un colpo decisivo contro gli ebrei arrivò comunque dalla Russia zarista. La situazione legale degli ebrei di Russia varia, secondo gli umori del potere: un tradizionalista come lo zar Nicola I tende a confinare gli ebrei nella loro “zona di residenza” e interpreta l’integrazione come conversione al cristianesimo; un despota illuminato come Alessandro II vuole riformarli per meglio integrarli nell’economia dell’Impero. Comunque fino a metà del XIX secolo, l’odio verso l’ebreo attinge al tradizionale substrato cristiano; più tardi assume una connotazione moderna. Il ruolo degli ebrei nello sviluppo dell’economia capitalista, la loro penetrazione nelle regioni interne dell’Impero e la loro integrazione culturale, l’emergere delle ideologie radicali e dei movimenti nazionali: sono tutti fattori che si combinano per dare origine ad una potente corrente antisemita. La stampa, la letteratura, il dibattito politico sono intrisi di motivi antisemiti. L’ebreo parassita e sfruttatore dei contadini è una “verità” comunemente ammessa. Era facile e conveniente per lo zar e per i suoi burocrati deviare la rabbia contadina verso gli usurai ebrei prima e contro tutti gli ebrei poi. Il governo russo incoraggia le pubblicazioni antisemite anche se si astiene dal prendere misure apertamente antisemite. Le cose cambiano con l’assassinio di Alessandro II il 1° marzo 1881, ad opera dei terroristi di Zemlja i volja (Terra e libertà). Sommosse contro gli ebrei scoppiano ben presto nel sud-ovest della Russia, poi si propagano in Ucraina. Non si sa chi abbia preso l’iniziativa. Secondo alcune testimonianze, tutto è provocato da emissari del governo e della corte: sembra che gli ambienti conservatori della capitale cerchino di approfittare dell’assassinio dello zar per attaccare il movimento rivoluzionario russo. Il ministro dell’Interno Ignatiev spiega i moti come una reazione all’intromissione ebraica nel commercio e nell’industria. Alessandro III, deciso a “difendere la popolazione dallo sfruttamento ebraico”, impone agli ebrei severe restrizioni economiche con i regolamenti provvisori del 3 maggio 1882 – in vigore sino alla rivoluzione del 1917 – e con una serie di decreti discriminatori. L’antisemitismo – statale e popolare – è all’origine di nuovi violenti disordini sotto il regno dell’ultimo zar Nicola II. E’ questo il periodo in cui vedono la luce i cosiddetti Protocolli dei Savi di Sion, un falso, costruito a Parigi da agenti dell’Ochrana, la polizia zarista. Si tratta di un piccolo libro che si pretende scritto da un “grande vecchio” e indirizzato ad un’assemblea di anziani. In ventiquattro brevi capitoli questo “grande vecchio” traccia le linee essenziali di un piano strategico per la conquista e il dominio del mondo. Ai “Savi” egli ricorda i successi conseguiti con secolare pazienza, la lenta penetrazione nella società europea e l’infinita astuzia con la quale l’ebraismo aveva corroso le nazioni più potenti del mondo. Complice di questi burattinai era la Massoneria, capace di infiltrare i propri seguaci nei gabinetti ministeriali e nei consigli di amministrazione. Secondo il “grande vecchio” il Serpente Simbolico avrebbe compiuto la prima tappa nel 429 a.C. nella Grecia di Pericle, divorando la potenza di quel paese; la seconda tappa a Roma, al tempo di Augusto; la terza a Madrid, al tempo di Carlo V; la quarta a Parigi al tempo di Luigi XIV; la quinta a Londra dopo la caduta di Napoleone; la sesta a Berlino dopo la vittoria prussiana sui Francesi; e infine la settima a Pietroburgo intorno al 1881.

“Tutti questi stati che il Serpente ha attraversato sono stati scossi nelle fondamenta delle loro costituzioni, non eccettuata la Germania, malgrado la sua apparente potenza. Le condizioni economiche dell’Inghilterra e della Germania sono state risparmiate, ma solo fino a quando il Serpente non sarà riuscito a conquistare la Russia, contro la quale tutti i suoi sforzi sono concentrati attualmente. La corsa futura del Serpente non è disegnata su questa carta, ma delle frecce ci indicano il suo prossimo movimento verso Mosca, Kiev e Odessa. Sappiamo ora perfettamente che queste ultime città costituiscono i centri della razza ebraica militante.”

Dopo la Grande Guerra questo delirio poté apparire credibile ed anzi tristemente profetico a masse stravolte e disorientate dal conflitto e in cerca, come sempre, di capri espiatori. Non sarà dunque difficile far risalire la responsabilità dell’immane carneficina al “complotto” ebraico. Non erano forse ebrei, in maggioranza, anche i capi bolscevichi come Trockij, Kamenev, Zinov’ev, Radek, Joffe, Litvinov? Lenin e Stalin non lo erano, ma del primo si diceva che aveva sposato un’ebrea e che parlava Yddish con i figli, mentre il nome georgiano del secondo, Dzugasvili, significava in realtà “figlio di Giuda”. Poco importava che Lenin non avesse figli e che Stalin avesse studiato, tra i quindici e i diciannove anni, nel seminario ortodosso di Tiflis.

In realtà gli ebrei, allo scoppio della grande guerra, si erano affrettati ovunque a dimostrare la loro lealtà patriottica e avevano partecipato in massa allo sforzo bellico dei loro rispettivi paesi. Gli ebrei russi non avevano fatto eccezione e più di mezzo milione di loro aveva combattuto nelle armate dello zar. Lo stesso deve dirsi per gli ebrei tedeschi. Ciò nonostante sia in Russia sia in Germania gli ebrei furono accusati di sottrarsi al dovere patriottico. Nei due paesi vi furono anche in proposito inchieste ufficiali, i cui risultati non saranno però mai pubblicati. Fatto sta che alla fine della guerra, la grande maggioranza del giudaismo europeo deve affrontare un’ondata crescente di odio e di risentimento. In Germania, poi, nasce il mito della sconfitta quale conseguenza della “pugnalata alla schiena” inferta all’esercito tedesco, fra altri traditori, anche dagli ebrei.

(Tratto da Nicolò Scialfa, Lo sterminio degli ebrei e la voglia di dimenticare, Roma, 2002)

J.V.

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