René Char, La rose de chêne

La rose de chêne
Chacune des lettres qui compose ton nom, ô Beauté, au
tableau d’honneur des supplices, épouse la plane simplicité du soleil, s’inscrit dans la phrase géante qui barre le ciel, et s’associe à l’homme acharné à tromper son destin avec son contraire indomptable: l’espérance.

La rosa di quercia
Ognuna delle lettere che compongono il tuo nome, Bellezza, nel posto d’onore dei supplizi, sposa la distesa semplicità
del sole, s’iscrive nella frase immensa che copre il cielo,
e si accompagna all’uomo impegnato a ingannare il destino col suo opposto indomabile: la speranza.

Nella prefazione all’edizione tedesca delle “Poesie” di Char, uscita nel 1959, Albert Camus scrisse: «Ritengo che René Char sia il nostro maggiore poeta vivente e che Fureur et mystère sia ciò che la poesia francese ci ha dato di più sorprendente dopo Les Illuminations e Alcools. […] In effetti la novità di Char è strepitosa. Egli è senza dubbio passato per il surrealismo, ma prestandosi e non donandosi, per il tempo necessario ad accorgersi che i suoi passi erano più sicuri quando camminava da solo. Dalla pubblicazione di Seuls demeurent, una manciata di poesie è bastata comunque a sollevare sulla nostra poesia un vento libero e vergine. Dopo tanti anni in cui i nostri poeti, votati anzitutto alla fabbricazione di “ninnoli di vacuità”, non avevano fatto altro che lasciare il liuto per prendere la tromba e la poesia diventava una salubre sgobbata. […] L’uomo e l’artista, che camminano con lo stesso passo, si sono immersi ieri nella lotta contro il totalitarismo hitleriano, e oggi nella denuncia dei nichilismi contrari e complici che dilaniano il nostro mondo. […] Poeta della rivolta e della libertà, egli non ha mai accettato il compiacimento, né ha confuso, secondo la sua espressione, la rivolta con l’umore. […] Senza averlo voluto, e soltanto per non aver rifiutato niente dei suoi tempi, Char, allora, fa molto di più che esprimere la nostra realtà attuale: egli è anche il poeta dei nostri giorni avvenire. Benché solitario, egli riunisce, accomuna e, all’ammirazione che suscita, si mescola quel grande calore fraterno nel quale l’umanità produce i suoi frutti migliori. Siamone certi, è ad opere come questa che noi potremo ormai fare ricorso e chiedere chiaroveggenza».

J.V.

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