La merlettaia

Dedicato a chi è vittima dell’anoressia di ogni tipo.

«Sarebbe passato vicino a lei, proprio accanto a lei, senza vederla. Perché lei faceva parte di quelle anime che non mostrano alcun segno, ma che occorre pazientemente interrogare, su cui bisogna saper posare lo sguardo. In altri tempi, un pittore ne avrebbe ricavato il soggetto per un quadro di genere. Sarebbe stata una cucitrice, una portatrice d’acqua o una ricamatrice».

La merlettaia (La Dentellière) è un film del 1977 diretto da Claude Goretta, ispirato dall’omonimo dipinto di Vermeer. Il film è tratto dal romanzo di Pascal Lainé La Dentelliere.
Presentato in concorso al 30º Festival di Cannes, il film è stato candidato per la Palma d’oro e ha vinto il Prize of the Ecumenical Jury.

* Isabelle Huppert: Beatrice/Pomme
* Yves Beneyton: François
* Florence Giorgetti: Marylène
* Annemarie Düringer: Madre di Pomme
* Sabine Azéma: Corinne
Premi
* David di Donatello 1980: migliore attrice straniera (Isabelle Huppert)

Beatrice (detta Pomme), timida e molto sensibile, vive con la madre e lavora come apprendista parrucchiera a Parigi. In estate, a Cabourg, conosce François, studente di famiglia ricca e colta. Decidono di convivere malgrado l’opposizione familiare. Dopo un inizio colmo d’amore, François si stanca di essere oggetto della devozione silenziosa di Pomme e la lascia. Pomme accetta in silenzio la decisione ed abbandona l’appartamento, ritornando da sua madre. La ragazza si ammala di anoressia nervosa e viene internata in un ospedale psichiatrico. Quando François andrà a trovarla resterà basito : Beatrice si è chiusa in se stessa, vittima di uno stato depressivo che l’ha resa definitivamente incapace di confrontarsi con il mondo. I due giovani sono stati allontanati dal linguaggio : lui parla troppo e lei troppo poco perché l’amore le basta, non ha bisogno di altro. La separazione dall’uomo amato la fa ammalare irreparabilmente.

“La merlettaia” racconta di tutte quelle parole rimaste bloccate in gola a causa della difficoltà di comprendere le proprie emozioni; dell’uccello di Maupassant che, sebbene fosse desideroso di cantare, «non rilasciò il suo canto; stette in silenzio e non fuggì». Il linguaggio è complicato, spesso intraducibile, quasi sempre ingannevole. Platone lo scrive benissimo:
« Questa conoscenza, o re, renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria e della sapienza »
(Platone, Fedro)
La risposta del re non tardò ad arrivare:
« O ingegnosissimo Theuth, c’è chi è capace di creare le arti e chi è invece capace di giudicare quale danno o quale vantaggio ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora tu, essendo padre della scrittura, per affetto hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. Infatti, la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché fidandosi della scrittura si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque, tu hai trovato non il farmaco della memoria, del richiamare alla memoria. Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza e non la verità: infatti essi, divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre come accade per lo più, in realtà, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti »
(Platone, Fedro 274c – 275b, trad. it. Giovanni Reale)

J.V.

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