La caduta dell’impero romano

La caduta dell’impero romano

Dopo Teodosio parte occidentale sempre più in crisi. Non vi è percezione del mutamento in un mondo lento. Noi siamo abituati alla velocità scatenata dalla rivoluzione industriale, gli antichi vivono in un mondo lento. Lento ma non immobile. Esiste cospicua differenza tra l’età di Antonino Pio e quella di Romolo Augustolo (ironia della Storia, primo re e primo imperatore). Piano piano però cresce la consapevolezza del tramonto, della fine di un mondo. L’Italia paga il prezzo più alto tra V e VIII secolo. Campagne incolte e deserte, città spopolate, Roma passa da un milione di abitanti a 20.000 anime vaganti tra le macerie. L’Occidente perisce, l’Oriente si salva per ancora un millennio. I barbari oltrepassano il limes, i Visigoti saccheggiano Roma nel 410, Agostino percepisce la fine del mondo. Il 476 è una data simbolica che indica la morte della parte occidentale. Crisi iniziata nel III secolo. Sforzi di Aureliano, Diocleziano, Costantino, tentativo coraggioso di Giuliano, presa d’atto di Teodosio. Imperium Romanum Christianum. Decadenza spiegata da Gibbon, Taine, von Wilamowitz, Rostovzev con occhi puntati sul loro tempo (la Storia è sempre storia contemporanea). Scrivono della fine di Roma ma pensano pessimisticamente alla fine del loro mondo. Poi scontro nazionalista tra il francese André Piganiol (Impero Romano ucciso dai barbari come la Francia occupata dai nazisti) “La Civilisation romain n’est pas morte de sa belle mort. Elle a été assassinée” e Cartellieri sostenitore della superiorità teutonica.

Poi un bellissimo libro sbagliato di Henri Pirenne, Maometto e Carlomagno. Poi la definizione di mondo tardo antico che attenua la frattura tra mondo Antico e Medioevo. Perché, si chiedono Rostovzev e Walbank tra gli altri, l’impero degli Antonini non è proseguito linearmente sino al XX secolo? E abbiamo invece avuto decadenza, Medioevo, Rinascimento e mondo moderno? Rostovzev è un esule russo in fuga dagli orrori della guerra civile, pessimista e disilluso; Walbank un marxista inglese convinto, dopo la seconda guerra mondiale, di trovarsi agli albori di una nuova epoca. Eppure i due sono in linea su un punto: perché non fu possibile un passaggio graduale? Perché si produsse la catastrofe? Instaurazione del Principato e sistema di produzione schiavile sul banco degli imputati. Costruzione di un ordine universale costosissimo, modello aristocratico poco virtuoso e parassitario legato alla rendita. Anelasticitá strutturale e conseguente frattura.

Guerre difensive con rara eccezione di Traiano. Una catastrofe al rallentatore. Universalismo imperiale insostenibile, stallo produttivo. Storia di Roma che si avvia a divenire storia d’Europa. Percezione della crisi e della fine del mondo condivisa da pagani e cristiani. Storia, escatologia e profetismo viaggiano nella stessa direzione. Chiusura imperiale, grandezza in forme chiuse, schiavi, tecnologia insufficiente, visione ciclica della storia. Marx descrive la bellezza della durata del mondo antico in pagine stupende. Ma quella bellezza è anche il limite degli antichi romani: il loro limite è il margine estremo del Tempo e della Storia. Un grande stato assolutistico, militare, burocratico; una macchina pesante e difficile da gestire come ben capiscono alcuni grandi imperatori. Cristianesimo postcostantiniano e dualismo del potere, controllo dei vescovi sulla macchina, codice Teodosiano potente divaricatore tra classi aristocratiche e sudditi. Cristianesimo soteriologico e dottrina alternativa alla forza del diritto romano… In hoc signo vinces. Il dualismo resiste ancora oggi: anima e corpo, da Paolo a Cartesio, da Agostino a Kant (e non si illudano i fanatici del Progresso… extra Epistemologiam nulla salus). Leggerezza dell’io opposta alla pesantezza del corpo, residui platoniani e plotiniani. Cristo erede dello spiritualismo idealistico classico. Il nodo diviene inestricabile e ancora oggi non riusciamo a scioglierlo.

Fine dell’unità mediterranea. Dopo il collasso del V secolo il Mediterraneo diviene un confine, un limite. Occidente e Oriente si divaricano, l’unità si rompe definitivamente. La catastrofe occidentale indirizza verso la Modernità, Oriente verso l’Islam e Bisanzio. Due idee restano vive in Occidente: città e Italia. Da queste due forme mentali si ricomincia.

J.V.

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