Inferno, Paolo e Francesca

Inferno, Paolo e Francesca

Lussuriosi che “la ragion sottomettono al talento”. Desiderio carnale. Contrappasso: sbattuti per l’eternità dalla bufera. Lamenti e buio. Minós, giudice infernale ringhia e giudica i dannati attorcigliando la coda attorno al corpo tant’è volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per giungere al luogo della loro eterna punizione. Cronaca nera e mondana del Duecento. Confessione. Tra i mille che Virgilio indica, Didone, Achille,Tristano, Cleopatra, Elena, Paride o Semiramide, Dante vuol parlare con Francesca. Isotta/Ginevra/Francesca. Poemi cavallereschi. De Sanctis e Foscolo affascinati da Francesca “purificata dall’ardore e dalla passione “ e giustificata dall’amore irresistibile che trascende ogni controllo. Pietà dantesca e difesa dei diritti naturali dell’essere umano. Virgilio indulgente con Didone, Dante con Francesca, duri entrambi con Semiramide. Dante china la testa e riconosce la propria fragilità. Pietà dantesca per i due amanti. Boccaccio comprende la posizione di Dante. Contrasto tra dolcezza del vivere e dovere. Consapevolezza che la fragilità dei due amanti è la nostra fragilità.

Così discesi del cerchio primaio

giù nel secondo, che men loco cinghia,

e tanto più dolor, che punge a guaio.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe ne l’intrata;

giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Dico che quando l’anima mal nata

li vien dinanzi, tutta si confessa;

e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d’inferno è da essa;

cignesi con la coda tante volte

quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;

vanno a vicenda ciascuna al giudizio;

dicono e odono, e poi son giù volte.

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,

disse Minòs a me quando mi vide,

lasciando l’atto di cotanto offizio,

«guarda com’entri e di cui tu ti fide;

non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».

E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare».

Or incomincian le dolenti note

a farmisi sentire; or son venuto

là dove molto pianto mi percuote.

Io venni in loco d’ogne luce muto,

che mugghia come fa mar per tempesta,

se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,

mena li spirti con la sua rapina;

voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,

quivi le strida, il compianto, il lamento;

bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormento

enno dannati i peccator carnali,

che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l’ali

nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

così quel fiato li spiriti mali;

di qua, di là, di giù, di sù li mena;

nulla speranza li conforta mai,

non che di posa, ma di minor pena.

E come i gru van cantando lor lai,

faccendo in aere di sé lunga riga,

così vid’io venir, traendo guai,

ombre portate da la detta briga;

per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle

genti che l’aura nera sì gastiga?».

«La prima di color di cui novelle

tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,

«fu imperadrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,

che libito fé licito in sua legge,

per tòrre il biasmo in che era condotta.

Ell’è Semiramìs, di cui si legge

che succedette a Nino e fu sua sposa:

tenne la terra che ’l Soldan corregge.

L’altra è colei che s’ancise amorosa,

e ruppe fede al cener di Sicheo;

poi è Cleopatràs lussuriosa.

Elena vedi, per cui tanto reo

tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,

che con amore al fine combatteo.

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille

ombre mostrommi e nominommi a dito,

ch’amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito

nomar le donne antiche e ’ cavalieri,

pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I’ cominciai: «Poeta, volontieri

parlerei a quei due che ’nsieme vanno,

e paion sì al vento esser leggeri».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno

più presso a noi; e tu allor li priega

per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega,

mossi la voce: «O anime affannate,

venite a noi parlar, s’altri nol niega!».

Quali colombe dal disio chiamate

con l’ali alzate e ferme al dolce nido

vegnon per l’aere dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,

a noi venendo per l’aere maligno,

sì forte fu l’affettuoso grido.

«O animal grazioso e benigno

che visitando vai per l’aere perso

noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l’universo,

noi pregheremmo lui de la tua pace,

poi c’hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,

noi udiremo e parleremo a voi,

mentre che ’l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui

su la marina dove ’l Po discende

per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte:

Caina attende chi a vita ci spense».

Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’io intesi quell’anime offense,

china’ il viso e tanto il tenni basso,

fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,

quanti dolci pensier, quanto disio

menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,

e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri

a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,

a che e come concedette Amore

che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore

che ricordarsi del tempo felice

ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice

del nostro amor tu hai cotanto affetto,

dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser basciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse,

l’altro piangea; sì che di pietade

io venni men così com’io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

Parafrasi

Così discesi dal I Cerchio al II, che cinge uno spazio minore, ma contiene tanto maggior dolore che spinge a lamentarsi.

Minosse sta orribilmente sulla soglia e ringhia: esamina le colpe dei dannati che si presentano; li giudica e li destina a seconda di come attorcigli la coda.

Dico che quando l’anima dannata si presenta davanti a lui, rende piena confessione; e quel conoscitore dei peccati stabilisce in quale zona dell’Inferno debba andare; si cinge con la coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere.

Davanti a lui ci sono sempre moltissime anime; una dopo l’altra vanno a sottoporsi al suo giudizio; parlano e ascoltano, poi sono precipitati giù.

E Minosse, quando mi vide, mi disse questo, tralasciando un momento il suo alto compito: «O tu che vieni in questo luogo di dolore, bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando! Non ti inganni la facilità dell’ingresso!» E Virgilio rispose: «Perché continui a gridare?

Non impedire il suo viaggio voluto da Dio: si vuole così in Cielo, dove è possibile tutto ciò che si vuole, quindi non dire altro».

Ora inizio a sentire le note dolenti; ora sono giunto in un luogo dove molta sofferenza mi colpisce.

Io giunsi in un luogo totalmente buio, che risuona come il mare in tempesta quando soffiano venti contrari.

La bufera infernale, che è incessante, trascina rapinosamente le anime; li tormenta sbattendoli e percuotendoli.

Quando arrivano davanti alla rovina, allora emettono urla, pianti, lamenti; qui bestemmiano Dio.

Capii che a questa pena sono dannati i peccatori di lussuria, che sottomettono la ragione al piacere.

E come d’inverno gli stornelli sono trasportati in volo dalle loro ali, formando una larga schiera, così quel vento trasporta gli spiriti malvagi;

li trascina qua e là, su e giù; non hanno alcuna speranza che li conforti, né di riposo né di una diminuzione della pena.

E come le gru emettono i loro lamenti, formando in cielo una lunga riga, così vidi venire sospirando delle anime, trasportate da quella tempesta; allora dissi: «Maestro, chi sono quelle anime castigate così dalla oscura bufera?»

«La prima di coloro di cui vuoi avere notizie,» mi rispose allora Virgilio, «fu imperatrice di molti popoli.

Fu così dedita al vizio di lussuria, che rese lecito nella sua legge tutto ciò che le piaceva, per eliminare la condanna morale che le spettava.

Ella è Semiramide, di cui si legge che fu sposa di Nino al quale poi succedette: governò la terra che ora è governata dal Soldano.

L’altra è colei che si suicidò per amore (Didone), e non tenne fede alla memoria del marito Sicheo; poi c’è la lussuriosa Cleopatra.

Vedi Elena, per cui si combatté una lunga e sanguinosa guerra, e vedi il grande Achille, che combatté a scopi amorosi.

Vedi Paride, Tristano»; e mi indicò col dito più di mille anime, che morirono a causa dell’amore.

Dopo aver sentito il mio maestro nominare le donne antiche e i cavalieri, fui presto da turbamento e quasi mi smarrii.

Cominciai: «Poeta, parlerei volentieri a quei due che volano insieme e sembrano essere trasportati tanto lievemente dal vento».

Mi rispose: «Aspetta quando saranno più vicini a noi: allora pregali in nome di quell’amore che li trascina ed essi verranno».

Non appena il vento li portò verso di noi, iniziai a parlare: «O anime affannate, venite a parlarci se Dio ve lo consente!»

Come le colombe chiamate dal desiderio volano verso il dolce nido (per accoppiarsi), con le ali ferme e alzate, portate dal desiderio, allo stesso modo i due uscirono dalla schiera di Didone, venendo a noi attraverso l’aria infernale, tanto forte e affettuoso fu il mio richiamo.

«O creatura cortese e benevola, che nell’aria oscura visiti noi che tingemmo il mondo di sangue, se il re dell’universo ci fosse amico lo pregheremmo perché ti dia pace, visto che mostri pietà del nostro terribile male.

Noi vi ascolteremo e vi parleremo di ciò che volete, mentre il vento tace come fa in questo punto.

La terra dove sono nata (Ravenna) sorge alla foce del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare pace coi suoi affluenti.

L’amore, che si attacca subito al cuore nobile, prese costui per il bel corpo che mi fu tolto, e il modo ancora mi danneggia.

L’amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare, mi prese per la bellezza di costui con tale forza che, come vedi, non mi abbandona neppure adesso.

L’amore ci condusse alla stessa morte: Caina attende colui che ci uccise». Essi ci dissero queste parole.

Quando io sentii quelle anime offese, chinai lo sguardo e lo tenni basso così a lungo che alla fine Virgilio mi disse: «Cosa pensi?»

Quando risposi, dissi: «Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio portarono questi due al passo doloroso!»

Poi mi rivolsi a loro e parlai dicendo: «Francesca, le tue pene mi rendono triste e mi spingono a piangere.

Ma dimmi: al tempo della vostra relazione, in che modo e in quali circostanze Amore vi concesse di conoscere i dubbiosi desideri?»

E lei mi disse: «Non c’è nessun dolore più grande che ricordare il tempo felice quando si è miseri; e questo lo sa bene il tuo maestro.

Ma se tu hai tanto desiderio di conoscere l’origine del nostro amore, allora farò come colui che piange e parla al tempo stesso.

Un giorno noi leggevamo per svago il libro che narra di Lancillotto e di come amò Ginevra; eravamo soli e non sospettavamo quel che sarebbe successo.

Più volte quella lettura ci spinse a cercarci con gli occhi e ci fece impallidire; ma fu solo un punto a sopraffarci.

Quando leggemmo che la bocca desiderata di Ginevra fu baciata da un simile amante, costui, che non sarà mai diviso da me, mi baciò la bocca tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse; quel giorno non leggemmo altre pagine».

Mentre uno spirito diceva questo, l’altro piangeva, così che io venni meno a causa del turbamento, proprio come se morissi. E caddi come un corpo privo di vita.

Memoria popolare, capacità di rendere immortale un mero fatto di cronaca nera. Piani di lettura diversi, antidoto esistenziale, cura per la mente, virtuosismo tecnico. Riflessione sul comportamento umano, pietà e comprensione, comunanza di destini. Tutti noi, come Dante, somigliamo a Paolo e Francesca.

J.V.

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