Il comunista

Il comunista racconta un caso di dissenso ideologico, ma non è un romanzo ideologico. Anche se è impressionante l’anticipo con cui questo romanzo, scritto nel 1964-65, tocca problemi e prospettive degli anni successivi, bisogna dire che qui a Morselli preme soprattutto ricomporre uno strato di realtà, un agglomerato di psicologie, di modi di vita, di affinità e di conflitti all’ombra di via delle Botteghe Oscure. Come ogni vero romanziere, Morselli non si preoccupa di giudicare, ma di dare vita e forma. Così, il quadro che ci mostra abbraccia insieme gli elementi più grandiosi e affascinanti come quelli più duri e meschini della vita interna del P.C.I., senza che mai quei caratteri siano usati per una dimostrazione. In questo gioco di continui contrasti, brutali e sottili, Morselli riesce a dare spessore al destino di un personaggio incancellabile: il chiuso, patetico, lucido Ferranini – troppo serio, troppo brusco, tagliato con l’accetta in un legno ruvido, passionalmente attaccato al suo partito eppure incapace di sopprimere delle convinzioni maturate lentamente dal basso, durante anni di solitarie elucubrazioni.
Come già nei suoi romanzi precedenti, anche questa volta Morselli sa calarsi con prodigioso mimetismo in una nuova realtà, il P.C.I., presenza imponente nella vita italiana, forse troppo imponente se finora i romanzieri italiani sembrano essersi del tutto bloccati davanti a essa. È perciò quasi un’altra ironia della sorte, fra le molte legate al suo nome, che a cimentarsi in questa difficile impresa, e a riuscire nella prova, sia stato un outsider in ogni senso come Morselli, aiutato soltanto dalla sua rara capacità di aprire le porte di mondi sigillati e da una chiaroveggente attrazione per il concreto. (Recensione Adelphi)

Walter Ferranini è il militante critico ma attento a non danneggiare il partito. Senso di sconfitta e sconforto, invidia subita, discrasia tra ideale e prassi… Morselli anticipa tutti i temi che porteranno alla crisi del Partito rosso. Romanzo balzachiano che demitizza i padri Gramsci e Togliatti, rifiutato per viltà da molti direttori editoriali, specchio realistico dell’ipocrisia della realtà italiana (basti pensare al 56 di Budapest e al 68 a Praga), scontro tra ansia di giustizia, utopia egualitaria di milioni di persone in buona fede e realpolitik cinica e tattica di Botteghe oscure. I migliori, come sempre, sacrificati sull’altare della ragion di stato della doppia morale dei satrapi che in nome di alti ideali cercano il mantenimento del proprio potere, umiliando e massacrando, anche moralmente, gli innocenti.
Morselli è talmente bravo e isolato da essere ovviamente ignorato dalla scuola a favore di figure minori ma in linea con la vulgata.

Italo Calvino, nel 1965, rifiutando la pubblicazione de Il comunista presso Einaudi – di cui era direttore editoriale – gli scrisse che: “dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista. lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”. Chiosando infine: “Spero che Lei non s’arrabbi per il mio giudizio”. Morselli rispose educatamente come suo solito. Soltanto dopo il suicidio i suoi romanzi verranno pubblicati.
Forte il tema del lavoro manuale “che ha un carattere di pena, per cui esso è sentito come una condanna, quando avrà fine?” E ancora: “Perché la schiavitù del lavoro rimane (senza sfruttamento da parte di nostri simili, è vero), in quanto necessità fisica. E col lavoro rimane la sofferenza che è il lavoro nel suo aspetto soggettivo. La biologia ci conferma che alla lotta per la vita, che è lotta contro la realtà ambientale, non ci si può sottrarre e nessuno si sottrae”. Tema affrontato da Sartre qualche anno prima ma che a Morselli costa la scomunica. Del resto ricordo benissimo la reazione isterica di alcuni dirigenti del PCI negli anni settanta sul tema dell’affrancamento dal lavoro manuale posto, magari in modo disordinato, dai movimenti giovanili.
Per Morselli, che del resto non lavorò mai o quasi, grazie alla rendita che il padre gli aveva messo a disposizione, questa lotta per la vita e contro l’ambiente ostile si identifica nella lotta per pubblicare. La Rizzoli, dopo aver deciso di pubblicare il romanzo, gli propose di uscire con una casa editrice minore che aveva acquisito a quel tempo ma a quanto pare Morselli rifiutò. Il funzionario che gli aveva fatto il contratto si chiamava Giorgio Cesarano; si ritirò in Toscana col figlio e poi – per motivi che non hanno attinenza con la vicenda professionale come editor rizzoliano – si tolse la vita nel ’75. Cioè un anno prima dell’uscita postuma de Il comunista con Adelphi e due dopo il suicidio di Morselli. Lo stesso Cesarano era stato espulso dal Pci.

Calvino, come ho già scritto, lesse con interesse il manoscritto de Il comunista e ne apprezzò alcuni pregi ma rifiutò la pubblicazione sostenendo che le parti dove si raccontava il partito erano false… Lui quell’ambiente, scrisse a Morselli, lo conosceva ed era diverso. La realtà è che Einaudi non avrebbe mai accettato di pubblicare un solitario che conduceva dall’eremo di Gavirate una battaglia editoriale destinata allo scacco esistenziale, la battaglia per esistere in quanto singolo e pensante. Ferranini-Morselli sentiva l’inutilità di lottare: “Ferranini tornò alla Camera, sempre più odorosa di trementina, sempre più verbosa, borghese e superflua”. E ancora: “In Italia la gente vive di chiacchiere, si consuma in chiacchiere. Tutto finisce in chiacchiere, che razza di un paese”.

Infine la beffa della fortuna editoriale postuma, seguita al suicidio, avvenuta in una notte d’agosto, dopo il ritorno dalla montagna e la scoperta nella posta del manoscritto di Dissipatio H. G., rifiutato e restituito dalla Mondadori.

Un’ultima considerazione: alcuni sostengono che Morselli non riuscì mai a pubblicare e fu boicottato dall’ambiente editoriale perché, in particolare in questo romanzo, traccia positivamente la figura di un partigiano e allora la Democrazia cristiana demonizzava i partigiani. La verità è che se Morselli pagò uno scotto ideologico-letterario fu, caso mai, come dimostrano Il comunista e il commento di Calvino – di segno politico opposto.
Si può continuare a credere nel comunismo (abbiamo tutti bisogno di credere in qualcosa) ma la realtà va accettata. Non esiste libertà senza cultura e senza scuola pubblica di alto livello e non esiste libertà se non diciamo a voce alta la verità.

J.V.

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