I Promessi sposi
I Promessi sposi 
 
“[…] Il principio, di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso, mi sembra poter esser questo: Che la poesia, e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto, e l’interessante per mezzo.”
(Alessandro Manzoni, Lettera sul romanticismo)
 
promessi sposi
Dal sottotitolo, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da A. M., si comprende il legame con la narrativa storica assai diffusa nell’Ottocento sul modello di Ivanhoe di Walter Scott. Ricerche di storia locale lombarda, opere di Giuseppe Ripamonti, pretesto narrativo dell’historia di Anonimo, modelli nobili quali Don Quijote. Tutto si gioca sul filo di storia ed invenzione. Prima stesura tra il 1821 e ‘23, Fermo e Lucia con un’appendice, La storia della Colonna Infame, con discussione sul processo agli “untori” durante la peste del 1630. Insoddisfazione per il lavoro. Fermo Spolino e Lucia Zarella divengono Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, intere parti vengono trasformate dopo lunghe discussioni con gli amici Claude Fauriel ed Ermes Visconti. Si giunge così alla Ventisettana. Per tredici anni revisione continua per giungere ad una lingua viva che coincidesse col fiorentino parlato dalle persone colte. Risciacquare i panni in Arno. Nel 1840 gli editori milanesi Guglielmini e Redaelli stampano il romanzo in 180 fascicoli con illustrazioni di Francesco Gonin e l’appendice sulla Colonna Infame. Venti anni di lavoro faticoso, dal 1821 al 1842, per consegnare all’Italia un romanzo moderno e rivolto ad un pubblico più ampio rispetto al passato. Tanto è vero che la prima critica arriva dal poeta neoclassico Vincenzo Monti “non avrà fortuna questo libro, perché troppo dotto per gli umili e troppo umile per i dotti”. Non poteva, involontariamente, fargli miglior complimento. La trama si snoda per trentotto capitoli, dal 7 novembre 1628, quando il pavido Don Abbondio viene minacciato dai bravi di Don Rodrigo. Troppo noti gli avvenimenti per raccontarli in questa sede. Dalla separazione dei due giovani dovuta al bullo spagnolo alla separazione dovuta alla Peste, vera protagonista del romanzo. Muoiono Don Rodrigo, il perfido Conte Attilio, Perpetua. Si salvano miracolosamente don Abbondio e Lucia. I due Promessi si ritrovano nel lazzaretto dove Padre Cristoforo scioglie il voto di Lucia. Finalmente don Abbondio li unirà in matrimonio. 
Tema della fanciulla perseguitata sul modello di Rebecca rapita dal templare Brian de Bois-Guilbert o di Esmeralda rapita da Claude Frollo.
La Signora di Monza
Altissima qualità artistica. Si legge Seicento ma si comprende  Ottocento. Analisi potente dei rapporti di forza tra le classi sociali. Genti meccaniche e di piccol affare protagoniste del romanzo. Melodramma sentimentale alla Goethe, fusione di Shakespeare e Pascal, senso della tragedia, comprensione che può scaturire soltanto dalla sofferenza, rassegnazione non disarmata, romanzi diversi nel romanzo. Capacità di rovesciare il tavolo e far emergere figure da romanzo gotico come Gertrude e l’Innominato in modo potente e di dura critica agli sciagurati costumi del tempo. Fine introspezione psicologica di Manzoni sul rimorso, distacco nella costruzione di alcune figure, simpatia malcelata per il combattente Cristoforo. Finezza ineguagliabile nella descrizione del colloquio di potere tra il Conte zio e il Padre provinciale dei Cappuccini. Potenza tragica nel descrivere la violenza della peste, la strage degli innocenti (Cecilia), il saccheggio dei lanzi. Tutto si gioca sul contrasto tra religiosità e pensiero dei Lumi, tra Apocalisse e Rinascita, guazzabuglio e chiarezza. Punto mi interessano le polemiche astiose sul romanzo. La sua grandezza viene testimoniata da Scott, Goethe, Lamartine, Poe, Mann, Gadda… tanto basta. Persino il marxista György Lukács nel saggio Der historische Roman del 1957 coglie il punto decisivo “la tragedia del popolo italiano”. Una tragedia che non è giunta al termine. Possiamo invece discutere dell’uso scolastico del romanzo come parenetica cattolica. Poi è certo che la letteratura italiana del primo Ottocento non è granché sul piano internazionale ma casomai sarebbe da dire “per fortuna abbiamo i Promessi sposi”. In ogni caso il romanzo manzoniano, assieme alla lirica leopardiana, rappresenta il meglio che il nostro povero e sciagurato paese possiede.
don abbondio
“…la poesia: si, la poesia. Perché, alla fin fine, che cosa ci dà la storia? ci dà avvenimenti che, per così dire, sono conosciuti soltanto nel loro esterno: ci dà ciò che gli uomini hanno fatto. Ma quel che essi hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e i loro progetti, i loro successi e i loro scacchi; i discorsi coi quali hanno fatto prevalere, o hanno tentato di far prevalere, le loro passioni e le loro volontà su altre passioni o su altre volontà, coi quali hanno espresso la loro collera, han dato sfogo alla loro tristezza, coi quali, in una parola, hanno rivelato la loro personalità: tutto questo, o quasi, la storia lo passa sotto silenzio; e tutto questo è invece dominio della poesia.”
(Manzoni, scritti di teoria letteraria)
 
J.V.
 

 

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