PERCHÉ UNA PARTE DELLA GAUCHE È ANTISEMITA

PERCHÉ UNA PARTE DELLA GAUCHE È ANTISEMITA

“O what a noble mind is here o’erthrown!”

(“Oh qual nobile intelletto è qui offuscato!”)

(W. Shakespeare, Amleto, a. III, sc. I)

Una delle conseguenze del conflitto israelo-palestinese consiste nel riacutizzarsi dell’ antisemitismo francese di sinistra. Molti militanti della gauche si rifiutano di condannare Hamas come organizzazione terroristica. Le radici sono antiche, dall’antigiudaismo economico che vede nell’ebreo soltanto l’usuraio e nella famiglia Rothschild il simbolo del capitalismo sfruttatore.

Con l’affaire Dreyfus grazie a Jean Jaurès la sinistra inizia a prendere le distanze dall’ antisemitismo e si schiera con Zola nella difesa del capitano ebreo ingiustamente arrestato. Xenofobia e antisemitismo si annidano soprattutto nei circoli militari e nell’estrema destra. Purtroppo negli anni trenta del novecento, non capendo il pericolo nazista, una cospicua parte della sinistra difende un peloso pacifismo che sconfinerà in autentico odio verso gli ebrei. A partire dal secondo dopoguerra l’ultrasinistra francese diverrà revisionista sulla Shoah se non, in alcuni casi, addirittura negazionista accusando il neonato stato israeliano di approfittare della memoria. La critica al sionismo spesso si trasforma in antisemitismo vero e proprio. Per l’estrema sinistra il sionismo è una forma di colonialismo. Dopo la Guerra dei sei giorni (1967), sostiene sempre più i palestinesi e manifesta la propria ostilità verso lo stato ebraico. La questione si è aggravata nel tempo e, dopo il crollo dell’Urss nel 1991 e delle democrazie popolari, la figura del palestinese è diventata per l’estrema sinistra il simbolo della rivoluzione che verrà.

Il revisionismo di sinistra, che per quanto riguarda gli esiti della discussione sulla Shoah, non differisce molto da quello di destra o, addirittura, dal negazionismo, presenta una tesi comune a tutti gli storici che ad esso si richiamano, che è grosso modo questa: il martirio reale degli ebrei è stato trasformato in mito, facendo passare in secondo piano tutti gli altri stermini del Novecento, dovuti alla violenza politica insita nei rapporti capitalistici. La mitologia sionista – così la chiamano questi storici – ha già causato cinque guerre in Medio Oriente e costituisce una permanente minaccia per la pace, a causa delle pressioni sull’opinione pubblica mondiale della lobby sionista americana.

Anche il revisionismo di sinistra prende le mosse dal Processo di Norimberga e dal suo sostanziale fallimento; inoltre mette duramente in discussione l’esistenza dello Stato israeliano e la sua politica nei confronti dei Palestinesi. Un’importante data di partenza per l’analisi di questo fenomeno può essere il 1960, anno nel quale viene pubblicato su Il programma comunista, un articolo di Amadeo Bordiga, “Vae victis, Germaniae”, per il quale smontare la ricostruzione storica della Shoah vuol dire distruggere l’antifascismo interclassista, considerato controrivoluzionario: il sionismo, a detta di Bordiga, amplificando lo sterminio degli ebrei, riduce il nazismo ad un semplice regime razzista, eliminando gli aspetti classisti a lui connaturati, e non consente di studiare l’universo dei lager come risultato del capitalismo, o meglio come una proiezione bellica dello sfruttamento capitalistico in tempo di pace.

La casa editrice francese “La vieille Taupe”, punto di riferimento del revisionismo di sinistra francese, riprende le tesi bordighiane e ad opera, in particolar modo, di Pierre Guillaume, esprime concetti analoghi: l’insistenza sui crimini dei nazisti ha come scopo principale quello di giustificare la Seconda guerra mondiale, contrapponendo democrazia a nazismo, Anglo-americani a tedeschi. Guillaume, convinto del carattere capitalistico e imperialista della Seconda Guerra mondiale, critica l’impostazione storica che vede in questo conflitto una lotta all’ultimo sangue tra civiltà democratica da un lato e barbarie nazista dall’altro. Quella di Guillaume è una posizione che contiene alcune verità, ma insiste troppo sulla negazione della volontà di sterminio dei nazisti a danno degli ebrei, sminuendo, di fatto, la gravità dei crimini tedeschi. Posizione leggermente diversa è quella dell’ex stalinista Roger Garaudy, convertitosi all’Islam, il quale sostiene posizioni negazioniste in odio al sionismo di destra, da lui considerato il vero manipolatore dei dati reali sullo sterminio e responsabile primo delle strumentalizzazioni, atte a giustificare, sull’onda emotiva delle deportazioni e dei massacri, l’esistenza dello stato israeliano. Egli contrappone al sionismo di destra, un sionismo di sinistra, influenzato dal socialismo ebraico e dal rabbinismo universalista.

Chi partecipa emotivamente e moralmente al dramma della Shoah, non può non provare sincera commozione per il dramma palestinese: le donne e gli uomini che hanno fiducia nella giustizia e speranza in un’etica superiore, non possono non auspicare la pacifica convivenza tra palestinesi ed israeliani. Già nel 1961, ai tempi del processo Eichmann, la Arendt, con la lucidità che l’ha sempre contraddistinta, aveva messo il dito sulla piaga delle strumentalizzazioni sioniste, che di sicuro esistono ma che non tolgono nulla all’immensità della tragedia di Auschwitz.

Alcuni studiosi hanno osservato che nel mondo attuale esistono di fatto «bianchi negri» come i poveri, socialmente ridotti in schiavitù o costretti a morire di fame e di freddo nelle metropoli opulente, e «bianchi onorari» come i giapponesi, oggi ben accolti nel club esclusivo degli occidentali. Malcom X affermava che agli afroamericani spettava scegliere se essere neri perché poveri, o piuttosto essere poveri perché neri. Questo genere di riflessioni consente di comprendere le motivazioni del perdurante antisemitismo contemporaneo, malgrado il terribile esito della “soluzione finale”: in un’Europa con pochi ebrei, va trionfando il razzismo senza razza, e in questo modo l’antisemitismo diviene l’idealtipo del razzismo moderno. Essendo gli ebrei per definizione “una razza senza razza”, un frutto dell’antisemitismo, con totale assenza d’elementi oggettivi d’identità razziale, l’antisemitismo può essere considerato il paradigma del razzismo mondiale contemporaneo. A questo proposito si ricorderanno le parole di Karl Lueger, sindaco antisemita di Vienna, tra il 1897 e il 1910, che a chi gli rinfacciava l’amichevole frequentazione d’ebrei ribatteva: «Sono io a decidere chi è ebreo». L’ebreo viene caratterizzato dalla sua presunta lussuria, dal rapporto patologico col denaro e dall’appartenenza a movimenti rivoluzionari, visto il suo sradicamento e la sua naturale tendenza sovversiva. Alle spalle dell’antisemitismo nazista, si nascondeva una lunga tradizione, oggi di nuovo attiva, che vedeva nell’ebreo la personificazione dello spirito astratto e cosmopolita, del rivoluzionario sradicato, dell’intellettuale sovversivo o del capitalista finanziario: in ogni caso la classe straniera per eccellenza, e quindi il principale nemico dell’ordine sociale fondato sul dominio di una classe superiore. In questo senso è appropriata la battuta che era già stata dei primi socialisti: l’antisemitismo è il «socialismo degli imbecilli», ovvero l’antisemitismo trae la sua origine dalla lotta tra le classi, ma nasce da una concezione errata e perversa, che stabilisce un rapporto tra lo sfruttamento del proletariato e la confessione religiosa degli sfruttatori.

Oggi esiste comunque un diffuso antisemitismo legato alla costituzione di uno Stato ebraico: la creazione dello Stato d’Israele fu, prima d’ogni altra considerazione, la conseguenza della volontà degli ebrei di tutto il mondo di evitare il ripetersi del genocidio nazista. Sono passati settantacinque anni dalla nascita dello Stato israeliano, nel quale ormai ha trovato un «focolare» circa un quarto della popolazione ebraica mondiale: i brillanti risultati raggiunti da Israele sul piano sociale e civile, dovrebbero aver fatto piazza pulita dei tristi e frusti luoghi comuni sugli ebrei, considerati senza terra, manipolatori di denaro, traditori e ipocriti. Certo i massacri nei campi profughi palestinesi hanno contribuito non poco a far crescere l’antisionismo che non è antisemitismo!

J.V.

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