I DUE GRANDI

I DUE GRANDI

È morto Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé, qualche anno dopo l’altro Dio del calcio, Diego Armando Maradona. Non esiste e non deve esistere confronto e rivalità tra i due. Essi sono entrambi l’essenza del calcio. I paragoni e i confronti con altri campioni sono stucchevoli. Loro due sono stati i migliori. Riporto un bell’articolo di Umberto Zapelloni su Pelé e un mio vecchio contributo su Diego. Dio fulmini coloro che tentano di inquinare la grandezza dei due con pettegolezzi sulla loro vita privata. Sono stati i profeti del calcio, hanno reso migliore la nostra vita perché, come scrive Camus “Non c’è un altro posto al mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio.”

IL RE E LA REGINA
L’eredità lasciata da Pelé. Pelé re senza eredi, ma con un’eredità

Il Re non poteva che andarsene nello stesso anno in cui se ne era già andata anche la Regina. Lei aveva governato il popolo che crede di aver inventato il calcio, lui aveva trasformato il gioco in arte, disegnando dei capolavori che sarebbero potuti uscire dalla matita di un genio come Arata Isozaki, l’architetto andatosene, coincidenza bestiale, proprio nello stesso giorno in cui lui ha chiuso gli occhi.
Con i loro gesti la Regina e il Re hanno segnato un’epoca e riscritto la Storia. Sono nati quando il mondo era ancora in bianco e nero e lo hanno riempito di colori. Hanno cominciato a vivere su vecchie pellicole sgranate e hanno finito in 4K, lasciandoci con il rimpianto di non avere i loro inizi in alta definizione.
Sua Maestà la Regina Elisabetta II ha un erede che piaceva a pochi, ma che adesso sta cominciando a piacere a molti. O Rei non ha eredi perché l’unico che poteva avvicinarsi alla sua luce se n’è andato molto prima di lui, travolto dalla sua vita che non è mai stata regolare. Edson Arantes do Nascimento non ha eredi, ma ha più imitatori della Settimana Enigmistica. Guardatevi i filmati di alcune sue giocate, le ritroverete fotocopiate dai più grandi che sono venuti dopo, anche da quelli come Cruijff che sono stati dei Profeti. Non ha eredi, ma ci lascia un’eredità infinita. Non la lascia solo a chi, come lui, è innamorato del calcio. Basta leggersi i messaggi che hanno invaso i social l’altra sera. Lo hanno voluto ricordare tutti. A destra, a sinistra e al centro. A tutto campo: dove giocava lui.
Nessuno sarà mai come lui che ha insegnato a tutti ad amare il calcio senza dimenticare la vita
“Tutto quello che noi siamo è grazie a te, ti amiamo”. Nel messaggio con cui la figlia Kelly ha salutato il Re c’è molto più di un messaggio d’amore. C’è il significato dell’eredità lasciata da O Rei che va molto oltre i tre titoli mondiali con il Brasile, unico ad averli vinti e 1.281 gol in 1.363 partite, conteggiati dagli statistici di tutto il mondo. Le cifre in questa storia meravigliosa, cominciata 82 anni fa a Tres Coracoes, contano, ma non bastano a raccontare quello che è stato il miglior calciatore di sempre. Contano di più le immagini, anche se arrivano da un’epoca in cui telecamere e macchine fotografiche non erano le stesse di oggi. Non la fotografia da film della rovesciata di Fuga per la vittoria, quelle vere arrivate dai campi di tutto il mondo a cominciare dall’immagine dell’Azteca del 21 giugno 1970 quando è rimasto in cielo una vita mentre Burgnich con una mano alzata cercava inutilmente di contrastarlo. È andato sulla luna come Neil Armstrong l’anno prima, ma senza bisogno di un Apollo. Per noi italiani è l’immagine della fine di un sogno Mondiale. Ma rivista cinquant’anni dopo è semplicemente la conferma che quell’uomo viveva su un altro pianeta. Fisicamente e soprattutto tecnicamente non aveva nulla di avvicinabile dagli altri. È riuscito a trasformare in un capolavoro anche i rari gol sbagliati. Quello a porta quasi vuota, quando con una finta sovrumana ha mandato per margherite uno dei più grandi portieri uruguaiani, Ladislao Mazurkiewicz e quel pallonetto da 50 metri finito fuori di pochissimo con il portiere ceko Ivo Viktor lontano dai pali.

Pelé se ne è andato in pace con la famiglia, circondato dall’amore dei suoi cari. Una fine diversa da quella triste e solitaria di Maradona. Continuano a metterli uno accanto all’altro, anche la Fifa attentissima a non scontentare nessuno ha assegnato a tutti e due ex equo il premio di miglior calciatore del secolo. Ma Pelé e Maradona erano come il giorno e la notte che si incontrano solo quando il cielo si trasforma in una magia all’alba e al tramonto. Hanno vissuto e giocato in modo diverso. Ma se Diego ha trovato in Messi il suo erede, Pelé non poteva certo rivedersi in quello che non ha ancora combinato Neymar. Pelé non ha eredi, ma ci lascia un’eredità infinita. Ha portato il calcio in una nuova èra con la sua tecnica, la sua velocità, la sua forza. Ci ha insegnato ad amarlo. A viverlo con allegria. A viverlo con il sorriso. “Il calcio è gioia” urla sempre un calciatore macchietta in Ted Lasso, la serie tv che sbanca ogni concorso. Ce lo ha insegnato Pelé che si è fatto amare anche da chi usciva battuto e non poteva fare altro che riconoscere la sua immensità.

Pelé non è stato soltanto il miglior calciatore del mondo. È stato un uomo che ha lasciato un segno profondo come tutti i grandi geni della storia. Il Sunday Times una volta titolò “How do you spell Pelé? G-O-D”. Come si scrive Pelé? D-I-O. Edson Arantes do Nascimento, diventato Pelé per l’invenzione maligna di un avversario, è stato un genio paragonabile a Leonardo, Einstein, Mozart. Le sue opere sono diventate immortali. “Pelé è morto, se Pelé può morire”, titolava ieri O Estado de S.Paulo. Lui non c’è più, ma quello che ci ha lasciato non andrà mai via. Se dopo di lui sono nati Maradona, Zico, Rivera, Platini, Cruijff, Ronaldo, Ronaldinho, Messi è perché prima c’era stato lui. Per cercare di imitare la sua grandezza sono diventati dei fenomeni anche loro. L’immensità di un uomo, sia esso un campione, un artista, un genio della musica o della matematica, si giudica anche dall’ispirazione che trasmette. Pelé ha avuto la grandezza di mandare due messaggi, di raccontare ai bambini della favela che puoi diventare Pelé anche cominciando a giocare con una palla di stracci, a tutti gli altri che cercando di imitarlo avresti potuto provare ad avvicinarti a dio. Ma lo ha fatto sempre senza arroganza, senza supponenza, senza far sentire agli altri che il re era lui. E lo ha fatto sorridendo. Trovate una foto di Pelé arrabbiato, triste, malinconico. Lui aveva tanta gioia negli occhi, quanta malinconia aveva un altro idolo di tutto il Brasile come Ayrton Senna. Eppure tutti e due hanno trasmesso emozioni, hanno lasciato quella che gli americani chiamano Legacy e noi traduciamo in eredità correndo il rischio di ridurla soltanto in un lascito di denari e proprietà.

“È l’uomo che ha aperto porte di ogni tipo. Pelé era in carne e ossa, ma non era come gli altri. Una volta, attraversando la dogana negli Stati Uniti, si rese conto di aver perso il passaporto. Passò con un autografo”, scriveva ieri mattina la Folha di San Paolo. Pelé è riuscito a fare tutto senza la tv ad alta definizione, senza i social, senza andarsene dal Brasile anche se lo hanno cercato da tutto il mondo, Italia compresa come ci raccontò un giorno Moratti. La sua parentesi finale ai Cosmos di New York ha aggiunto poco o nulla al mito, ma ha permesso al soccer di diventare una cosa seria anche per gli americani. Se anche Pelé avesse lasciato il Santos per l’Europa non avrebbe aggiunto nulla alla sua grandezza. Avrebbe collezionato qualche altro trofeo, vinto qualche altro premio, ma non avrebbe aggiunto nulla al ricordo che ci ha lasciato e mai se ne andrà da questa terra.
(DI UMBERTO ZAPELLONI)

MARADONA
“Il più grande campione che ho visto giocare è Diego Armando Maradona. Credimi, figlio mio, non esisterà mai più, nei secoli dei secoli, un altro come lui. Ha fatto dell’imperfezione la perfezione. Piccolo, gonfio, dedito ad albe stanche, svogliate e sbagliate, vittima di falsi amici e della volontà di andare oltre ogni regola, Maradona ha trasformato un semplicissimo pallone di cuoio in uno scrigno di bellezza.”(Gianni Brera) “Maradona era il “pacchetto completo”. Lui non era soltanto un grande calciatore, era un leader. Sapeva vincere da solo, come ha fatto al Mondiale. Era una bravissima persona. Il suo problema era che voleva essere amato da tutti. E quando i giornalisti lo stuzzicavano lui ci rimaneva male e reagiva subito. Nel suo cuore era una buona persona. Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare alto così, non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe.”(Ruud Gullit)

Pibe de oro, mano di Dio, genio e sregolatezza. Per me il più forte di sempre e ne ho le tasche piene dei discorsi melensi della serie “sì, però bisogna contestualizzare il momento storico, e la fava e la rava”. Alcuni punti fermi: ha vinto un mondiale da solo e stava per vincerne un altro sempre da solo; A Diego si può accostare soltanto Pelé. Poco più in basso rispetto al brasiliano metto Crujff, Messi, Ronaldo dentone e Kaiser Franz. Gli altri, da Baggio a Platini, da CR7 a Gullit, ancora un po’ più in basso. Ma stiamo parlando dell’empireo. Ora possiamo iniziare a parlare di Diego e di Maradona. Eh sì… sono due persone diverse. Diego fa casino, si comporta umanamente, delude, si droga, soffre, prova dolore, ama, tradisce, inganna. Maradona gioca, è immenso, il figlio del Dio del pallone, non si discute, si adora e basta. Il gol di mano contro la perfida Albione e il capolavoro di ogni tempo realizzato tre minuti dopo sono la sintesi dell’endiadi Diego-Maradona… “Quando Diego segnò il secondo gol contro di noi mi sentivo di applaudire come mai mi era capitato prima, è la verità. È il più grande calciatore di tutti i tempi e di tanto. Un vero e proprio fenomeno.” (Gary Lineker) È vero… ha vinto soltanto un pallone d’oro alla carriera nel 1995 perché sino al 1994 il premio era riservato ai giocatori europei. Riesce a far vincere lo scudetto al Napoli e lo riempie di significati che vanno oltre il calcio. Amato dal pubblico e dai compagni, spesso anche dagli avversari, incantati dalla sua abilità. “Durante una partita Juventus-Napoli nello spogliatoio ci dicemmo che l’unico modo per fermarlo era menargli di brutto. Ma dopo dieci minuti in campo ci guardammo e ci dicemmo che no, era troppo bello vederlo giocare. (Zibì Boniek). “In quattro anni non l’ho mai sentito una volta rimproverare un compagno di squadra. Non ha mai fatto pesare il suo talento, per quelli che sbagliavano aveva sempre una parola di incoraggiamento, mai un rimprovero.” (Ottavio Bianchi) “Diego era capace di cose che nessuno avrebbe potuto eguagliare. Le cose che io potrei fare con un pallone, lui potrebbe farle con un’arancia.” (Michel Platini) Gentile nel 1982 gli strappa due magliette e lo tartassa con decine di falli (con i regolamenti di oggi sarebbe stato espulso dopo dieci minuti), quasi tuti i difensori tentano di picchiarlo. Difficilmente si lamenta “Diego Maradona non è stato solo il più grande calciatore, ma anche il più onesto. Era un modello di buon comportamento in campo. Rispettava tutti, dai top-player ai calciatori ‘normali’. Era sempre tartassato dai falli e non si lamentava mai, non come alcuni di attaccanti di oggi.” (Paolo Maldini) Nato in un barrìo di Buenos Ayres, gioca scalzo fra le pozzanghere. Mostra meraviglie sin da bambino. Suo padre Diego si ammazza di lavoro per pochi soldi. La madre Tota è dignitosa nella povertà. Maradona si porterà sempre dietro l’infanzia. A dieci anni vince da solo le partite scartando sette avversari e andando in porta col pallone… “…ho dovuto capire in gran fretta cose che avrebbero richiesto più tempo. Nel calcio sono stato costretto a vedere cose che non mi piacevano. L’invidia per esempio. Io non sapevo cosa fosse. Mi chiudevo in una stanza e piangevo. Non ho molti amici io… non dimentico le mie origini. Villa Fiorito è sempre il mio presente, non è il passato. Dispongo di più soldi? Meglio. Prima riesco a sistemare la mia famiglia, meglio è. Ma io non firmerò mai un contratto pubblicitario, se con esso volessero impadronirsi della mia vita…”. Poi Jorge Cyterszpiler, ragazzino poliomielitico amico d’infanzia si improvvisa manager, custode dell’immagine e degli interessi di Diego. Purtroppo Diego non sopporta le critiche e questo lo frega. Non ama il Barcellona e non è amato a Barcellona. Piange al mondiale in Spagna per il trattamento di Gentile. Non viene tutelato il suo genio. Il 23 novembre 1983 al Camp Nou il killer Goigoetchea gli spezza il malleolo e gli strappa i legamenti. Il recupero sarà lento e doloroso. Sembra aver perso la magia. I catalani non lo amano e lui si risente. Va via… a Napoli. Deve fuggire anche a causa del disastro finanziario causato da Jorge Cyterszpiler. Il 4 luglio 1984, su uno yacht in navigazione tra Capri e Mergellina firma il contratto che lo lega al Napoli. E poi l’amore dei napoletani… ”Oh! mamma, mamma, mamma, sai perché mi batte il corazon. Ho visto Maradona, innamorato son”. L’incantesimo si rompe a Italia ‘90 quando a causa di una zengata e dello scellerato Vicini che non fa giocare l’uomo verde, butta fuori ai rigori l’Italia favorita. Piange di rabbia quando l’arbitro regala ai tedeschi la vittoria. Piange per i fischi al suo inno. Il napoletano Diego si sente tradito. E poi le accuse, le donne, la droga, la camorra, il fango e i veleni. Va via, lascia un figlio non riconosciuto, ingrassa, rattrista i nostri cuori. Nel ‘94 gli americani gli fanno pagare la sua simpatia per Fidel e altri presidenti sudamericani. Squalificato, infamato, oltraggiato. Si vuole creare la leggenda nera per il più forte giocatore di tutti i tempi. La gogna e l’invidia… un classico. Caro Diego non sei stato un esempio di vita per i benpensanti… sei stato il Dio del calcio, un bambino immortale, un albatro che non deve cadere sulla tolda della nave. Io ti vorrò sempre bene e ti ringrazierò sempre per ciò che mi hai dato. Domenica 17 gennaio 1988. Sampdoria Napoli. Piove. Il campo è pesante, il pallone pesantissimo. Noi attacchiamo, tu sei marcato dall’uomo verde e Mannini ha il compito di stenderti se per caso gli dovessi scappare. A cinque minuti dalla fine ti arriva dal cielo un pallone che pesa 100 chili. Lo puoi colpire soltanto di punta come un calciatore scarso… è quello che fai. Gol. Mi alzo assieme a molti altri sampdoriani e batto le mani. Perdere contro un Dio è accettabile.

P.S. Per gioco, cosa serissima, scrivo la mia formazione ideale. Parto dagli anni Sessanta perché i campioni come Sindelar, Di Stefano, Valentino Mazzola o la squadra d’oro ungherese non ho avuto il privilegio di vederli giocare. Ovviamente le mie scelte sono del tutto insindacabili ed ogni critica verrà severamente punita…
Schierati all’ungherese: Jašin, Beckembauer, Wierchwood, Gullit, P. Maldini, Matthäus, Cruyff, Zidane, Maradona, Pelé, Ronaldo (quello vero)

J.V.

Rispondi