Albert Camus, Caligola

Caligola

Caligola è un’opera teatrale di Albert Camus, elaborata in diverse versioni dal 1937 al 1958.
Testo incentrato sul delirio del potere, venne rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1945, al Théâtre Hébertot con Gérard Philipe nei panni dell’imperatore romano.
Camus lavorò a questo testo nel corso di vent’anni – dal 1937 fino alla versione “definitiva” pubblicata nel 1958. La rielaborazione fu profonda: le tre stesure definitive presentano rilevanti differenze.
Caligola, insieme a Lo straniero e Il mito di Sisifo, fa parte della trilogia dell’assurdo.

L’opera è incentrata intorno alle vicende dell’imperatore romano Caligola e al suo esercizio del potere, che lo rende una figura pensabile attraverso il concetto nietzschiano di superuomo in un’accezione assurda.
L’imperatore romano, nell’opera del filosofo francese, è la raffigurazione del potere ab-solutus, del potere esercitato senza alcun controllo etico e normativo. A causa della morte della sorella Drusilla, con la quale intratteneva una relazione incestuosa, Caligola diviene un folle razionale: ogni sua azione, che sovverte e distrugge gli ordinamenti politici ed etici di Roma, viene compiuta con un fine razionale, mostrare ai cittadini romani tutta la devastante forza del potere senza alcuna regolamentazione. Ecco perché Caligola deride i senatori e decide di condannare a morte chiunque, senza alcuna ragione e chiude i granai per far patire la fame al popolo. La finalità è il crudo esercizio del potere fine a se stesso, la sperimentazione di ciò che è possibile compiere. Un potere ab-solutus senza alcuna prescrizione etica e normativa, una sorta di superuomo nietzschiano assurdo. Il superuomo nietzschiano esercita la volontà di potenza all’insegna di nuovi valori basati sulla corporeità e differenti da quelli della tradizione giudaico-cristiana, basati invece sulla spiritualità. Non così Caligola; egli impone un potere privo di nuovi valori, creando soltanto paura e odio attorno alla sua persona, esercita una volontà fine a se stessa, il potere per il potere…. il nulla.
Viene facilmente in mente Adolf Hitler ma non penso che il Caligola di Albert Camus abbia a che fare con questo spettro. Credo che in realtà affronti la tragedia dei meccanismi di potere tra esseri umani. Ricorda Macbeth, un posseduto dalla brama di potere che asseconda la profezia delle streghe. Un posseduto più tragico e complesso dei banali dittatori del Novecento come il violento proletario rurale Stalin e il frustrato quasi-bavarese Hitler; il Caligola di Camus è un intellettuale innamorato del Mediterraneo (come Camus stesso) e “della libertà a cui segretamente aspira, il quale, punto dal chiodo arrugginito del potere senza freni (spinto su questo chiodo dalla morte di Drusilla), assiste e reagisce e commenta in diretta e getta in farsa il propagarsi del tetano dentro di sé. Cosa sarebbe accaduto, insomma, al giovane e ardente Albert Camus, se anziché scagliarsi contro il potere esercitato da altri fosse stato incoronato imperatore, e fosse stato dunque sottoposto alla terribile prova del rispecchiarsi nella tentazione del proprio potere illimitato? Più che flaubertianamente, Caligola è uno degli estremi che abita l’interiorità – e soprattutto la giovinezza – dell’autore de Lo straniero.” (Nicola Lagioia). Ancora sempre Lagioia “È come se – dopo la singolarità rappresentata dalla morte di Drusilla, vero big bang di tutto il dramma – Caligola fosse diviso in due metà lanciate al galoppo in direzioni opposte, e sempre più velocemente: da una parte compie azioni da capo di Stato totalitario, dall’altra ne dichiara la vera natura, si autodenuncia come nessun capo di uno Stato totalitario farebbe mai, mostrando (anzi, dimostrando: “lo vedrete, quanto vi costerà la logica!”) ai propri sudditi l’oscenità grottesca del potere, la sua miseria, la sua assoluta pochezza, il suo profondo nichilismo e la vigliacca compromissione di chi al potere è sottoposto (innanzitutto i senatori, i quali, come nella migliore tradizione, aspetteranno di lordarsi e di umiliarsi col fango della connivenza, e solo poi diventeranno congiurati, assecondati in ciò proprio dal ‘capocomico’ Caligola, perché tutta la parabola – almeno questa volta – si compia a carte completamente scoperte). Questa frizione, questa terribile lacerazione tra esercizio arbitrario del potere e suo smascheramento, non può nascere in Caligola se non da un segreta, profonda, celestiale fame di libertà, destinata a incancrenirsi a causa del ruolo che egli riveste e soprattutto a causa del mondo da cui è circondato (Roma, Berlino, Mosca, New York…), un mondo che riconosce a questo ruolo, vale a dire al potere assoluto, ciò che questo ruolo non può ontologicamente avere: un vero, reale significato. Se solo insomma non fosse imperatore, Caligola rischierebbe di diventare un eroe. Ma in che consiste la sua ricerca di libertà? Il Caligola immortale (il Caligola anteriore alla morte di Drusilla) non può ancora desiderare la libertà e il soffio anarchico della poesia: non si pone nemmeno il problema poiché tutto per lui è libertà esattamente come tutto è innocente e avulso dalla necessità di redenzione per Adamo e Eva prima della caduta. Il desiderio di libertà (e i problemi) iniziano dopo. Il peccato di Caligola non è comportarsi da tiranno, ma essere imperatore. La debolezza di questo cesare consiste così nel non autodeporsi una volta morta Drusilla – una volta che non trova la forza di farlo è già troppo tardi –, dal momento che il suo desiderio di affrancamento dai limiti della contingenza sarebbe salvifico se fosse un pari tra pari, ma diventa fisiologicamente mostruoso – mostruoso per forza di cose! – una volta inserito nei meccanismi del potere. Il vero problema, insomma, non è la presenza nel mondo di personalità come quella di Caligola, ma il fatto che il mondo malato di nichilismo abbia forgiato il guscio vuoto di un Capo (l’imperatore) intorno a cui organizzarsi. Quest’opera scritta per la prima volta mentre l’Europa precipitava nel gorgo dei totalitarismi, si scopre di conseguenza molto più avanti rispetto al clima culturale e politico dentro cui fu generata. Lungi dal puntare semplicisticamente il dito soltanto contro Hitler o un altro bersaglio circostanziato, è una prodigiosa denuncia dei nudi meccanismi del potere tout court. Direi anzi che è più attuale adesso che allora, perché – terminata l’epoca delle grandi individualità – il potere dei nostri giorni è sempre più una macchina celibe, la quale, senza neanche il bisogno di nascondersi dietro un volto o un’idea ben determinati, celebra la propria nuda volontà di potenza. È un potere insomma sempre più acefalo e pervasivo: pura, mostruosa tecnica che ha meno bisogno di incarnarsi in singole figure mitiche quanto più risulta polverizzata viralmente in ciascuno di noi. È la macchina, il terribile guscio vuoto, che bisogna combattere, non l’uomo – ecco il messaggio che possiamo (nemmeno troppo tra le righe) decrittare nei deliri dell’imperatore folle di Camus. La dannazione di Caligola nasconde un sogno dentro un incubo: da qualche parte, sempre più lontana ma ancora intatta, riposa la chiave per il nostro affrancamento.”
Ho riportato la lunga citazione di Lagioia, autorevole voce culturale di Pagina 3, perché dopo lunga e faticosa lettura non avrei saputo scrivere meglio ciò che penso del Caligola di Camus. Un’opera complessa, difficile, politica… vera e autentica riflessione sui meccanismi del potere. Forse potrebbe rappresentare un buon libro di testo per chi vuole esercitare ruoli di gestione e di amministrazione dello Stato. O bastano quattro slogan?

J.V.

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