Storia dei Presidenti della Repubblica. Giuseppe Saragat

Storia dei Presidenti della Repubblica
Giuseppe Saragat


Quando il 16 dicembre 1964, appena due anni e mezzo dopo l’elezione del precedente capo dello Stato, le Camere si riunirono per eleggere il quinto presidente della Repubblica, tutti sapevano che, chiunque fosse stato, l’eletto avrebbe avuto il compito di agevolare con vera convinzione la marcia della neonata formula del centrosinistra: l’alleanza appena pochi anni prima neppure immaginabile tra il Psi e la Dc. L’alchimia bizzarra tentata due anni prima dalla stessa Dc, eleggendo al Quirinale un rappresentante della sua ala di destra ostile a quell’esperimento politico per “controbilanciarlo”, si era dimostrata un pericoloso disastro, anche se gli italiani ne erano ancora all’oscuro. Come erano all’oscuro della drammaticità degli eventi che si erano conclusi, il 7 agosto , con la trombosi cerebrale che aveva colpito il presidente in carica, Antonio Segni.Solo anni dopo gli italiani avrebbero saputo che nel luglio 1964 il capo dello Stato appoggiato da altissimi esponenti dell’arma dei carabinieri avevano minacciato un colpo di Stato, non è mai stato chiarito se con l’intenzione di tentarlo davvero o, come è più probabile, solo con quella di condizionare pesantemente le scelte del governo di centrosinistra. Non è e non sarà invece mai noto nei dettagli cosa avvenne nel corso del tempestoso colloquio al Quirinale del 7 agosto tra Segni, il presidente del consiglio Moro e il ministro degli Esteri e segretario del Psdi, Partito Socialdemocratico Italiano, Giuseppe Saragat.Di certo avevano parlato di quella manovra golpista, il Piano Solo. Di certo i toni si erano alzati di parecchi decibel. I due esponenti di governo, secondo la sola ricostruzione del colloquio esistente, quella a propria volta de relato del direttore generale della Rai di allora Ettore Bernabei, avevano minacciato di denunciare il presidente per aver attentato alla Costituzione. Di fatto, nel corso del concitato colloquio, Segni stramazzò colpito da trombosi. Fu subito chiaro che non si sarebbe ripreso ma le forze politiche decisero di nascondere l’ “impedimento permanente” che avrebbe reso obbligatoria l’immediata nomina di un nuovo presidente. Per darsi tempo di trattare sulla successione scelsero la formula dell’“impedimento temporaneo”. Le funzioni presidenziali furono assunte dal presidente del Senato Cesare Merzagora fi- no a che, il 6 dicembre, non arrivarono le “dimissioni volontarie” di Segni.Nel dicembre 1964 era chiaro che il nuovo presidente avrebbe dovuto essere politicamente collocato all’opposto di Segni: un garante del centrosinistra e dunque, quasi certamente, un socialista come il segretario del Psi Nenni o un socialdemocratico come Saragat.Torinese, 66 anni, socialista negli anni ‘20, antifascista ed esule in Francia dal 1926 al 1943, dirigente della Resistenza, Saragat era andato a un passo dal Colle già nel 1962. Partito come “candidato di bandiera” aveva ottenuto i voti del Psi dalla seconda votazione e quelli del Pci dalla terza. Per spuntarla Segni aveva dovuto chiedere e ottenere i voti dell’estrema destra monarchica e neofascista.Il sostegno del Psi e del Pci chiudeva la ferita apertasi nel 1948, quando Saragat, atlantista e anticomunista convinto, aveva capeggiato la scissione del Psi di palazzo Barberini e poi aveva schierato la sua neonata formazio- ne, che all’inizio si chiamava Psli, Partito socialista dei lavoratori italiani, contro il Fronte popolare nelle storiche elezioni del 1948. Nell’aula della Camera il comunista Giancarlo Pajetta non aveva usato mezzi termini, lo aveva apostrofato direttamente nel suo intervento dopo l’attentato a Togliatti (luglio 1948): “Tu, traditore del socialismo, tu, traditore”. Saragat però non aveva mai perso di vista l’obiettivo della riunificazione socialista, che si realizzò effettivamente nel corso della sua presidenza della Repubblica, con la na- scita del Psu, Partito socialista unificato, nel 1966. Successo effimero: appena 3 anni dopo i due partiti si divisero di nuovo.I socialisti, in quel dicembre del 64, aprirono la corsa al Colle candidando proprio Saragat, mentre la Dc puntava nella fase iniziale su Leone e il Pci su Terracini. Saragat, sapendo di non avere in quel momento possibilità reali, restò però defilato in attesa che si consumasse lo scontro interno nella Dc. Fanfani, che nel ‘63 aveva guidato un governo “anticamera” del centrosinistra, scese infatti in campo, i suoi consensi aumentarono progressivamente di votazione in votazione erodendo quelli di Leone. Era anche lui uno dei principali registi del centrosinistra, aveva guidato nel ‘63 il governo che doveva aprire la strada a quella formula e che si rivelò a conti fatti molto più ardito e riformatore dei successivi esecutivi appoggiati dal Psi. Ma la sua linea, in politica estera, si collocava all’estremo opposto di quella del leader socialdemocratico. Saragat era il rappresentate dell’ala più atlantista del centro italiano.
Fanfani era un autonomista che sosteneva la politica energetica e filo araba indirizzata sino alla sua morte, due anni prima, da Enrico Mattei.I partiti della sinistra, però, non volevano che la presidenza andasse di nuovo a un Dc, diffidavano della tendenza a centralizzare e del carattere autoritario di Fanfani. Al decimo scrutinio, quando era ormai chiaro che la battaglia sarebbe stata di inaudita (fino a quel momento) lunghezza, il Psi candidò Nenni. Alla tredicesima votazione Pci e Psdi fecero convergere i loro voti sul leader socialista. Arrivati al quindicesimo scrutinio la Dc, estenuata, ritirò Leone e dopo altre tre votazioni a vuoto accettò di votare per Saragat. Pci e Psi puntarono i piedi. Insistettero su Nenni. Persino il Pci, in quella circostanza si divise, per la prima volta dopo la morte di Togliatti, avvenuta in agosto, pochi giorni dopo la trombosi di Segni. L’ala sinistra del Pci, cioè Ingrao, preferiva Fanfani. L’ala riformista (ma all’epoca certo non poteva chiamarsi così), cioè Amendola e Napolitano stava con Saragat.La battaglia del Colle più dura nella storia repubblicana sino a quel momento lacerava così sia il nascente centrosinistra che l’area socialista. Nenni sbloccò la situazione dopo la ventesima prova fallita, ritirandosi e invitando il Psi a votare Saragat che fu eletto il 28 dicembre, con 646 voti su 963, alla ventunesima votazione.Il record fu superato sette anni dopo, con l’elezione del successore di Saragat, ma quella del 1964 resta a tutt’oggi la seconda elezione più combattuta nella storia della Repubblica. L’esito della presidenza Saragat però non fu affatto all’altezza della tensione con cui era cominciata. Il centrosinistra di Moro navigò sotto costa facendo pochissimo. Il dualismo in politica estera proseguì, con Fanfani ministro degli Esteri. Negli anni delle bombe e del maggior conflitto sociale nell’occidente post-bellico, il presidente socialdemocratico fu scialbo e poco consistente. Molto rumore per (quasi) nulla. 

 David Romoli, Il Riformista. 5/1/22

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