Maria Stuart

Maria Stuart: il destino tragico di una regina romantica.

Scozia, Solvey Moss, presso il fiume Esk, 24 novembre 1542, le truppe comandate da Oliver Sinclair, favorito del re Giacomo V, si scontrano con le le forze inglesi. Gli scozzesi vengono respinti; la sconfitta si trasforma in una rotta disordinata. Milleduecento fuggitivi sono catturati. Tra loro molti nobili: vengono portati a Londra, davanti a Re Enrico VIII. Il Re sconfitto, Giacomo V Stuart, si ritira ad Edimburgo e poi a Linlithgow dove sua moglie Maria di Guisa, esponente di spicco del partito cattolico filo francese, si trova all’ultimo stadio di gravidanza. Incapace di sopportare il disastro subìto, il re si reca poi nell’amato palazzo di Falkland, il luogo che sceglie per morire. Giace sul letto in stato catatonico pensando al disastro, quando gli portano la notizia che la Regina ha partorito una bambina. È l’8 dicembre, giorno di Maria, e così  si chiama la bambina. Neppure questa notizia lo rincuora. Sei giorni dopo, ad appena trent’anni, Re Giacomo muore. Un crollo fisico in un momento drammatico per la Scozia. Anche la bambina per dieci giorni lotta tra la vita e la morte, è debole e si nutrono poche speranze che sopravviva. A Londra pensano che la sua morte potrebbe finalmente consentire al sanguinario e sadico Re Enrico di unificare i due Regni. Del resto i primi due figli di Giacomo e Maria erano morti nella culla. Maria inaspettatamente sopravvive ma la attende un destino tragico. In effetti i sovrani Stuart hanno conosciuto scarsa fortuna: Giacomo I e Giacomo III morti assassinati, Giacomo II e Giacomo IV caduti in battaglia, il nipote di Maria, il futuro Re d’Inghilterra Carlo I verrà giustiziato da un tribunale rivoluzionario mentre Maria stessa verrà mandata a morte da Elisabetta I d’Inghilterra, la Regina Vergine. Evidentemente la Scozia è una terra tragica sulla quale è difficile regnare a causa della mancanza di disciplina e lealtà dei nobili e dei clan, rivali tra loro ma sempre uniti contro il Re e pronti a vendersi agli inglesi. L’unica ricchezza è costituita dalle pecore, i costumi sono semibarbarici, i luoghi affascinanti e romantici: laghi, brughiere nebbiose, castelli adatti alla guerra più che ad una vita di corte rinascimentale. Francia e Inghilterra hanno buon gioco nel controllare l’infelice Scozia; la prima per usarla contro gli inglesi nell’infinita guerra che contrappone i due paesi e per rafforzare la causa cattolica,  la seconda per unificare l’isola e affermare la religione anglicana. La lotta si combatte attorno alla culla di Maria Stuart; la bambina è ancora in fasce e già si decide il suo destino. Enrico VIII vuole darla in sposa a suo figlio Edoardo, nato nel 1537 dalla terza moglie Jane Seymour.  Il 1º luglio 1543 il sovrano inglese firma due accordi diplomatici, noti come Trattati di Greenwich, con i rappresentanti scozzesi: Il primo sotto-trattato sancisce la pace tra il Regno d’Inghilterra e il Regno di Scozia; il secondo invece propone un matrimonio tra il principe Edoardo e Maria, regina di Scozia, che aveva appena sei mesi. In questa parte del documento viene concordato che la regina Maria sarebbe stata educata da un nobiluomo inglese e da sua moglie fino al decimo anno di vita; nel 1552 sarebbe quindi stata consegnata ufficialmente agli inglesi e avrebbe vissuto a Londra in attesa del matrimonio. Oltre a ciò, viene stabilito che il Regno di Scozia potesse mantenere le sue leggi. Il conte di Arran, per la Scozia, firma l’accordo il 1º luglio e lo ratifica il 25 agosto 1543. In questi mesi però la situazione inizia a mutare grazie al denaro francese e ad una fitta rete diplomatica che sposta la bilancia a favore del partito cattolico. L’8 settembre Arran, nella Chiesa dei francescani di Stirling, fa penitenza per la sua apostasia e riceve i sacramenti cattolici; il giorno dopo Maria Stuart viene solennemente incoronata nella cappella del castello di Stirling, all’età di nove mesi. Il conte di Arran porta la corona, il conte di Lennox regge lo scettro, e il conte di Argyll porta la spada. Il partito filo inglese diserta la cerimonia. Il trattato di Greenwich viene  rifiutato dal Parlamento scozzese l’11 dicembre. La nascita di un figlio di Caterina dei Medici e del futuro Enrico II di Francia nel gennaio 1544 rafforzano enormemente il partito filo francese. Il violento Enrico non la prende bene e ordina ai suoi eserciti di invadere la Scozia, uccidere, saccheggiare e impadronirsi della bambina. Inizia quello che viene chiamato “il brutale corteggiamento”. Il comandante militare del re inglese, Hertford, devasta la Scozia. Per ordine di Enrico applica il sistema della terra bruciata. Non esiste pietà nel cuore degli inglesi. Maria di Guisa e la figlia vengono portate in salvo nella fortezza di Stirling e il feroce Enrico deve accontentarsi di promesse. Il 28 gennaio 1547 Enrico muore e il reggente Somerset esige che venga consegnata la bambina. Ormai però è entrata in gioco la Francia e si prepara un matrimonio francese. Somerset è furioso e il 10 settembre 1547 gli scozzesi vengono fatti a pezzi a Pinkie Cleugh. Maria Stuart non ha ancora cinque anni e già un fiume di sangue viene versato per impossessarsi della sua persona. Gli inglesi hanno poco da saccheggiare nel martoriato paese invaso e la bambina stessa gli viene sottratta: è stata segretamente nascosta nel convento di Inchmahome, sul lago di Menteith. La bambina ignara del furore inglese e delle trame francesi, viene accudita silenziosamente dai frati. Il nuovo re di Francia Enrico II firma un trattato col parlamento scozzese nel luglio 1548: Maria sposerà il delfino Francesco e la Francia si impegna a difendere la Scozia e ne rispetta l’indipendenza. Il 29 luglio Maria si imbarca sulla galera reale francese, si congeda in lacrime dalla madre Maria di Guisa e, finalmente, il 7 agosto, col vento favorevole, la promessa sposa del Delfino Francesco, inizia il viaggio per la terra francese. La piccola Maria, ignara del gioco diplomatico, assieme alle sue compagne di gioco, le quattro Mary (Fleming, Beaton, Livingstone e Seton) e ad un nutrito gruppo di nobili bambini, continua i suoi giochi come se nulla fosse; non può sapere che il viaggio è considerato assai pericoloso perché la marina reale inglese è già sulle loro tracce.
Non ha paura perché tutti sono gentili con lei. La nave da guerra non viene intercettata dagli inglesi ma rischia di affondare al largo della Cornovaglia a causa di una tempesta, ma fortunatamente il 13 agosto approda a Roscoff, vicino Brest. Secondo il forsennato calvinista John Knox Maria era stata venduta al diavolo francese, ma con suo profondo dispiacere la Regina di Scozia è finalmente sana e salva su suolo francese. Ha soltanto cinque anni e otto mesi ma la sua infanzia è già finita. Viene considerata come un personaggio romanzesco, una regina coraggiosa sfuggita ai crudeli inglesi. Dopo una serie interminabile di festeggiamenti Maria giunge a Saint-Germain-En-Laye dove vede per la prima volta un bambino pallido, smunto, malaticcio, più piccolo di lei: è il Delfino Francesco, figlio di Enrico II e Caterina Dei Medici. Tutti sono affascinati dalla grazia e dalla bellezza di Maria. Grazie alla nonna, la duchessa Antonietta di Guisa, le viene impartita un’educazione principesca; impara a cantare, ballare, scrivere versi, parla cinque lingue. Cresce in una corte di bambini come lei, felice, spensierata, colta e raffinata. A tredici anni legge Erasmo in latino, risponde in francese ai versi di Ronsard e di Du Bellay, canta e suona il liuto, ricama magnificamente. Nessuno prevede che tanta cultura e raffinatezza celano una passione travolgente e un cuore capace di profondo amore e di cupo odio. I Valois vogliono accelerare i preparativi matrimoniali per assicurarsi la corona di Scozia e così a neppure sedici anni Maria viene maritata col quattordicenne e malato Francesco. Inoltre a Maria viene estorta una firma su un documento: essa si impegna, in caso di morte prematura e senza eredi, a cedere alla corona francese il proprio paese e i suoi diritti ereditari sull’Inghilterra e sull’Irlanda. Il Parlamento scozzese viene tenuto all’oscuro di tutto e questa è la prima menzogna, sia pur involontaria, di una donna-bambina onesta e sincera. Ormai non è più la piccola Maria, riveste un ruolo e il ruolo uccide la persona: è la Regina di Scozia, futura Regina di Francia e forse d’Inghilterra e di Irlanda. Il suo grazioso corpo è il centro di un feroce e delicatissimo equilibrio europeo. Sarà così per tutta la sua vita. Il 24 aprile 1558 una stupenda festa vede Parigi esultante: il Delfino sposa la Regina di Scozia. Campane a festa, vino a fiumi, abiti sfarzosi, il popolo entusiasta. Maria è bellissima, alta, elegante, regale; i quadri a noi giunti non le rendono giustizia. La sua bellezza viene riconosciuta persino dall’ostile Knox. Ma ciò che affascina di più è la sua voce calda, dicono sia la voce di una dea. La sua caratteristica fisica più marcata è la notevole statura: un metro e ottanta in un’epoca in cui l’altezza media non arriva a un metro e sessanta. Molti anni dopo, mentre è in fuga a causa della sconfitta patita a Langside, viene riconosciuta proprio a causa della straordinaria altezza ereditata dalla madre. Colpiscono poi il suo collo da cigno, il colore rosso dorato dei capelli, gli occhi di un nero scintillante, l’incarnato bianchissimo e l’eleganza del portamento. Una donna affascinante e ammirata da tutti. Un fascino irresistibile e, come vedremo, pericolosissimo per lei e per chi le si avvicina. Poeti e artisti la adorano e la celebrano e da lei sono ricambiati. Sembra una fiaba. Ma le fiabe spesso si trasformano in incubi terribili. Sei mesi dopo, il 17 novembre, muore la regina Maria d’Inghilterra, moglie di Filippo II di Spagna e figlia di Enrico VIII. La successione spetterebbe alla sorellastra Elisabetta, figlia di Anne Boleyn, giustiziata nel 1536 per ordine del marito, Enrico VIII. La parte cattolica sostiene che Elisabetta non può diventare regina e che la corona spetta a Maria Stuart. Maria ha due possibilità: riconoscere la cugina come Regina d’Inghilterra e mettere da parte le proprie pretese o buttarla giù dal trono con la forza. Una decisione storica di portata mondiale cade sulle spalle di una sedicenne. Enrico II e i suoi consiglieri scelgono per Maria la soluzione peggiore: la via di mezzo, una mossa millantatrice e senza esito. La coppia di principi aggiunge al proprio stemma anche la corona inglese e Maria Stuart si fa chiamare da questo momento Regina Franciae, Scotiae, Angliae et Hiberniae. Invece di combattere la fiera e dura Elisabetta, la si offende inutilmente senza trarne un vantaggio. Con questa mossa avventata e sconsiderata Maria si inimica una delle Regine più astute e potenti d’Europa, una donna cresciuta in modo contrario al suo: chiusa nella torre di Londra fin da bambina, con l’incubo di venire uccisa da un momento all’altro dal padre prima e dalla sorellastra Maria poi. Una donna coltissima, spietata,  capace di simulare e calcolare sapientemente ogni mossa sullo scacchiere europeo. Maria ha il cuore caldo, Elisabetta ha il cuore gelido. In Maria viene prima la donna e poi la Regina, in Elisabetta la donna non scalfisce neppure lontanamente il ruolo di Regina. Elisabetta, una grande Regina, non può tollerare  che venga messo in discussione il suo diritto alla sovranità. Le mezze misure in politica sono dannose. Una guerra avrebbe risolto la questione una volta per sempre, così invece si dà inizio ad uno spargimento di sangue senza fine. Intanto a Parigi per celebrare la pace di Cateau-Cambrésis che mette fine alla guerra tra Asburgo e Valois e firmata il 3 aprile 1559, si organizza un meraviglioso torneo al quale partecipa persino il Re Enrico II per onorare la sua dama, Diana di Poitiers, da molti anni sua compagna nella vita e donna potentissima malgrado la presenza della legittima moglie Caterina dei Medici. Il 30 giugno Enrico II, bardato di bianco e nero – i colori preferiti da Diana – monta il suo cavallo Le Malheureux ed entra in lizza col Duca di Guisa, col duca di Ferrara e col duca di Nemours. La sua passione per giostrare è notoria. Tutto procede per il meglio in un clima di festa fino a quando il re vuole spezzare un’ultima lancia con Jacques de Lorges, conte di Montgomery, colonnello della guardia e uomo famoso per il suo coraggio. Caterina supplica il marito di non combattere più perché quanto sta avvenendo lo ha già vissuto in sogno la notte prima. Terribile presagio: la lancia spezzata di Montgomery, il quale tenta sino alla fine di sottrarsi allo scontro, si conficca nell’occhio del re, un altro pezzo gli entra nella gola. Dopo dieci giorni di atroci dolori Enrico II muore. Ora Maria Stuart è la donna più potente di Francia. La sua vita interiore deve ancora iniziare e lei ha avuto più di ogni altra donna al mondo, dalla nascita ai diciassette anni. Non ha combattuto come Elisabetta per avere il potere, tutto le è giunto per grazia. Il vero potere è esercitato in Francia e nelle relazioni internazionali dalla potentissima famiglia di sua madre: i Guisa. Difendono la causa cattolica e francese in nome e per conto dei due ragazzi. Il Re Francesco II è sempre più debole e tutti temono che la sua morte sia imminente. Arrivano le brutte notizie, una dopo l’altra: nel giugno 1560 muore Maria di Guisa, reggente di Scozia, lasciando un paese diviso da lotte politiche e religiose, con i soliti inglesi alle frontiere. Lutto stretto e fine delle feste. Il 6 dicembre dello stesso anno muore Francesco II. Caterina è di nuovo la donna più potente a corte, la vedova più giovane deve dare precedenza a quella più anziana. In un anno il sogno è finito. Per quaranta giorni Maria veste il deuil blanc, il lutto bianco riservato alla regina vedova. Con la morte del marito Maria perde il suo immenso potere, la sicurezza, la Francia. Caterina nutre rancore nei suoi confronti – l’impulsiva Maria aveva pronunciato in passato frasi poco riguardose contro di lei – e non le piace lo smisurato orgoglio della ragazza; del resto chi è nata Regina non può recitare un ruolo secondario. Maria in realtà ha ancora diverse possibilità davanti a sé: un nuovo importante matrimonio con Don Carlo, futuro re di Spagna o con un sovrano del nord Europa. Inoltre è ancora aperta la questione inglese. Però ora non le viene concesso più nulla per grazia; ora deve lottare e conquistarsi tutto. Non è abituata alla lotta, sogna il mondo edenico di Saint-Germain, non vuole accettare la realtà. Sua cugina Elisabetta accetta la dura e cruda realtà dalla nascita, è preparata alla lotta senza quartiere. Maria non vorrebbe rientrare in Scozia dove la attendono la lotta religiosa e il disordine dei Lord. Assiste all’incoronazione di suo cognato Carlo IX a Reims, cerca pretesti per non rientrare in patria. Suo fratellastro maggiore, James Stuart, conte di Moray, escluso dal trono perché figlio illegittimo di Giacomo V, la raggiunge in Francia e la convince a rientrare in Scozia per normalizzare la situazione caotica.

Maria abbandona la Francia con voce spezzata dai singhiozzi:- Adieu France! Adieu France! Adieu donc, ma chère France… Je pense ne vous revoir jamais plus!-. Caterina dei Medici è felice perché ha evitato il matrimonio tra Maria e il folle e deforme Don Carlos di Spagna, un matrimonio che avrebbe ridato un immenso potere ai Guisa e diminuito quello di sua figlia Elisabetta, terza moglie di Filippo II e padre del disgraziato.  Maria parte col cuore gonfio di amarezza; è sola e non avvezza alla lotta. Elisabetta d’Inghilterra, ben consigliata da William Cecil, barone Burghley e primo ministro, vuole rendere la vita difficile alla cugina, che rivendica sovranità inglese e che rappresenta un pericolo mortale. Maria Stuart approda a Leith il 19 agosto 1561; non c’è una corte ad attenderla e pernotta in casa di un semplice commerciante. Appena resta sola si mette a piangere. Soltanto il giorno seguente arriva suo fratello, il conte di Moray e assieme si recano al castello di Holyrood, fuori Edimburgo, dove non si trovano arazzi, specchi e mobili di pregio. Quanta differenza con la corte francese! In Scozia tutto è rude e povero. Maitland di Lethington, il più intelligente politico tra i nobili scozzesi comprende l’inadeguatezza di Maria Stuart; nemmeno un uomo energico sarebbe in grado di riportare la pace in Scozia, figuriamoci una ragazza orgogliosa e triste, immersa nel sogno francese su ciò che poteva essere e non è stato. A complicare il quadro si aggiunge John Knox, l’esaltato puritano calvinista, gonfio di rancore e odio contro i cattolici. Un vecchio che non esita a sposare una diciottenne ma che tuona contro la corruzione della Chiesa cattolica e i peccati degli Stuart. Un ipocrita menagramo ancora più rigido del suo maestro Calvino. Alla profonda umanità di Maria lui contrappone fanatismo ipocrita e demagogia religiosa. Anche il “Bastardo” Moray, figlio di Margaret Erskine, sarà deleterio per Maria. Conosce attesa e pazienza, odio e logoramento lento come tutti i bastardi descritti mirabilmente da Shakespeare.  Il suo rancore verso la legittima Maria è solido e ipocrita, untuoso e pericoloso. Approfitta della spoliazione dei beni della Chiesa cattolica per arricchirsi. Non gli importa di Roma o di Ginevra; si schiera con chi gli offre opportunità di potere reale e denaro. Maria ha bisogno del fratello e gli lascia il potere reale in cambio del potere formale; Maria è depositaria di un sistema valoriale feudale, suo fratellastro Moray e sua cugina Elisabetta rappresentano il nuovo mondo, l’astuzia, il denaro, la costruzione dello Stato a qualunque costo. Cuori freddi, burocratici, incarnatori di ruoli predefiniti, privi di pulsioni, calcolatori. Il contrario di Maria: passionale, calda e ingenua, regale e talmente superiore alla calunnia da non considerarla neppure come arma per la battaglia. Il rango, in lei innato, la porta a scelte sconsiderate; ogni volta che si dimostra spensierata  e rilassata ne paga le conseguenze. Elisabetta non cede un millimetro alla passione personale, è realistica, valuta attentamente quanto siano vicini il trono e il patibolo. Elisabetta prova paura, usa prudenza e considera il proprio potere un dovere e una professione. Maria Stuart considera il potere una vocazione sganciata da qualsiasi dovere. Una è tenace, l’altra impulsiva, una è realistica e pragmatica, l’altra romantica. Elisabetta vuole vivere da Regina, Maria, vera Regina, vuole vivere da donna. Elisabetta incarna l’età moderna, Maria il medioevo. Una incarna l’Inghilterra, l’altra è Regina di Scozia ma non per la Scozia, bensì per se stessa. Maria è fondamentalmente sola, Elisabetta ha con sé William Cecil, Robert Leicester, Francis Walsingham. Elisabetta non regna ma interpreta una missione nazionale, riconosce le classi emergenti e se ne fa interprete. Elisabetta, come dice Stefan Zweig “vince nella Storia” mentre Maria Stuart, la romantica, ” vince nella poesia e nella leggenda”. Lo scontro tra le due donne diviene manifesto quando Maria, pressata da tutti perché trovi un nuovo marito, rifiuta il candidato di Elisabetta, Robert Dudley, e si orienta su Henry Stuart, lord Darnley, figlio di lord Lennox ed erede diretto al trono inglese in caso di mancanza di eredi della Regina vergine, in quanto discendente sia dagli Stuart che dai Tudor (sua madre era nipote di Enrico VIII). Elisabetta va su tutte le furie. Sente minacciato il suo trono. Trova un alleato nel conte di Moray, a sua volta convinto che Darnley, una volta re, vorrà esercitare il potere effettivamente, diminuendo così il suo ruolo e il suo prestigio. Il ragazzo è assai attraente: capelli biondi, naso dritto, bel volto ma, soprattutto, è molto alto, quasi un metro e novanta. Ha ricevuto un’educazione di alto rango. Maria, prima affascinata, in seguito si innamora perdutamente, di un amore fisico, carnale, bruciante. Un amore che le impedisce di scorgere la vera natura del giovane: ambizioso e vuoto, viziato e vanitoso. Darnley ama le manifestazioni esteriori del potere: la corona, lo scettro, ma non è tagliato per il duro lavoro quotidiano dell’amministrazione dello Stato. Non è simpatico a nessuno a causa del suo carattere doppio e vacuo; il giudizio più benevolo su di lui è quello del Cardinale di Lorena, zio di Maria:” un piacevole buono a nulla”. Inoltre Maria sottovaluta i suggerimenti di Elisabetta e la possibilità, con una scelta più saggia, di succederle sul trono inglese. È completamente dominata dalla passione, una passione direttamente proporzionale alla crescente arroganza di Darnley. Attendono la dispensa papale dal momento che sono cugini primi; nell’attesa Maria lo nomina conte di Ross e Duca di Albany e vuole che lo chiamino ufficialmente “Re di questo nostro Regno”, esponendo se stessa in prima persina e scavalcando il Parlamento. Domenica 29 luglio 1565, alle cinque del mattino, accompagnata dal suocero conte di Lennox, nella cappella reale di Holyrood, Maria sposa Lord Darnley, da questo momento re Enrico di Scozia. Ma come è noto i matrimoni soltanto carnali iniziano con la felicità e finiscono nella discordia. Dopo la passione iniziale, ricambiata completamente da Maria, Darnley pretende sempre di più, non comprende la natura orgogliosa della moglie, spesso la tratta come una serva e lei, prima appassionatamente innamorata, ora profondamente delusa,  trasforma l’amore in odio, rifiuta fisicamente il marito. Disgustata dal secondo marito, “una natura meschina con un cuore di cera”, le svanisce ogni illusione. Pensava di essere innamorata di Darnley e ora scopre di odiarlo e di odiare anche se stessa per l’errore tragico commesso. Per lei ormai Darnley è un inutile orpello a cui tutti hanno voltato la schiena a causa del comportamento infantile, dissennato e volgare nei confronti della regina stessa e della Scozia. La delusione di Maria è personale e, soprattutto, politica: pensava di poter mettere da parte i Moray, i Maitland, i Lord per governare assieme ad un uomo. La Regina ha un buon pretesto per rifiutare fisicamente il marito: è in attesa di un figlio, il futuro Giacomo I d’Inghilterra. Il matrimonio carnale è finito. Maria è di nuovo sola e ha necessità di un uomo fedele e affidabile. Lo trova in Davide Rizzio, giunto in Scozia al seguito del marchese Moreta, ambasciatore di Savoia, qualche anno prima. Davide Rizzio è poeta e musicista, cosa assai gradita a Maria, e viene assunto al servizio della regina. È registrato tra i domestici ma la cosa non deve stupire perché sino all’Ottocento persino i più importanti musicisti come Mozart e Haydn mangiano assieme a stallieri e cameriere. Rizzio non ha solo una bella voce, è assai intelligente e colto, al punto di divenire in poco tempo segretario della Regina e suo fidato consigliere con una certa influenza sulle questioni di Stato. Probabilmente è anche un agente del Papa, sicuramente è un fervente cattolico e serve con la massima fedeltà la sua Regina. È l’uomo inviso a Knox, a Moray e a tutti i nemici di Maria; è l’unico col quale Maria si confida. Ormai Rizzio vive da gran signore, pranza con la Regina, è l’uomo più ascoltato su delicate questioni politiche. Anche la parte militare, sempre debole in Scozia, adesso è in buone mani, quelle di un uomo nuovo, un nemico di Moray che già in passato aveva difeso Maria di Guisa. Si chiama James Hepburn, conte di Bothwell, nominato da Maria grande ammiraglio. Uomo duro, forte, un guerriero nato, rude e risoluto. Questi due uomini aiutano Maria nella complessa gestione del potere, navigando nella mare agitato della lotta europea, lotta politica e religiosa. L’odio dei nemici si concentra soprattutto su Rizzio, considerato lo stratega della Controriforma in Scozia. Gli si rimproverano la rapida fortuna, il rapporto privilegiato con la Regina. Contro di lui monta una marea invidiosa e ostile. Il più ostile e invidioso è un suo ex amico, con cui ha diviso due anni di vita spensierata: lord Darnley. Il re è furioso, è stato messo da parte da Maria a favore di un povero italiano. I congiurati – e sono molti – usano Darnley come testa d’ariete contro la Regina. Destano in lui sospetti di ogni tipo; gli fanno credere che Rizzio sia l’amante della Regina, un’ipotesi probabilmente falsa, sicuramente non dimostrabile. L’uomo rifiutato, geloso, ferito nell’orgoglio e nella propria frustrata ambizione, arriva a mettersi a capo della congiura contro la donna che lo ha fatto re. Il pettegolezzo contro la Regina è ben alimentato e si spinge a sostenere che il bambino che porta in grembo sia figlio dell’italiano. Come accadrà due secoli dopo a Maria Antonietta, la lingua inizia un mortale martellamento che vede nel patibolo soltanto l’atto conclusivo di un processo basato su formidabili calunnie. Tutti sanno, tranne lo sciagurato Darnley, che il futuro erede non può essere figlio di Rizzio ma è utile propalare la voce calunniosa. Utile per Knox, per Moray, per i Lord, per Cecil, per Walsingham e per Elisabetta. I congiurati non vogliono soltanto la testa di Rizzio ma, cosa ben più importante, la testa della Regina stessa e lo sciocco Darnley non lo comprende. Moray sta per rientrare in Scozia, Elisabetta e i suoi ministri sono informati su ogni particolare – e la regina vergine si guarda bene dal mettere in guardia la sua “amata sorella” (così la chiama nelle lettere), l’ipocrita moralista John Knox ha già pronto il sermone che loda l’assassino, Darnley recita la parte del marito devoto e riconciliato. La trappola scatta la sera del 9 marzo 1566. Maria cena attorniata da una piccola cerchia familiare; Davide Rizzio le sta di fronte. Si apre la tenda ed entra Darnley. Nessuno si stupisce e tutti si alzano in piedi, gli fanno posto accanto alla moglie che lui abbraccia dandole il bacio di Giuda. Si continua a parlare e bere quando all’improvviso entra lord Patrick Ruthven, armato di tutto punto. Lo spavento è generale. Maria capisce subito che il marito è complice perché solo lui ha libero accesso dalla scala a chiocciola che porta alle sue stanze, Rizzio è terrorizzato, intuisce che la morte è vicina. Darnley da perfetto vigliacco finge di non sapere nulla e si mostra stupefatto, non ha neanche il coraggio di schierarsi apertamente. Rizzio si aggrappa alle vesti di Maria che cerca di difenderlo; la sala è ora piena di congiurati che trascinano l’italiano vicino alla finestra e lo accoltellano selvaggiamente con più di cinquanta pugnalate, poi gettano il corpo morto dalla finestra. Il congiurato Fawdonside prova addirittura a sparare alla Regina ma un altro gli devia in tempo la mano. Darnley tiene stretti i polsi di Maria che vomita tutto il suo odio, gli sputa in faccia e lo accusa di essere una nullità. Il piccolo traditore inizia a comprendere di essere stato usato ma presto scoprirà che l’odio di Maria è implacabile. A Ruthven che mette in discussione il suo comportamento come moglie, Maria risponde profeticamente di avere dentro la sua pancia qualcuno che un giorno si sarebbe vendicato. In effetti sarà Giacomo VI di Scozia a uccidere il figlio e il nipote di Ruthven, nel 1584 e nel 1600, al tempo della cospirazione di Gowrie. Per la prima volta nella sua vita Maria è prigioniera, incinta di sei mesi, sola in mezzo ai lupi, tradita dal marito, dal fratello, dagli amici. Tutto ciò le tempra il cuore e lo trasforma in acciaio; l’odio diviene muto silenzio, la memoria fucina incandescente di idee di vendetta. Incipit tragedia. Ora non rispetterà più le regole della cavalleria, ogni mezzo sarà lecito per ottenere vendetta. Impara a fingere e deve fingere col più stupido dei congiurati: suo marito, il cuore di cera. Intanto finge di aver le doglie e di rischiare di perdere il bambino. Cosa ne direbbe il mondo intero? Come Riccardo III chiede la mano della vedova di fronte alla bara dell’uomo che lui stesso ha ucciso, Darnley si reca nella stanza della moglie della quale ha tenuto fermo il corpo la sera prima costringendola a veder impotente lo scempio di Rizzio. Maria si finge affettuosa e sottomessa e lo sciocco abbocca, pensa di essere tornato padrone. Se fosse un minimo più intelligente capirebbe l’inganno ma è troppo vanesio e quindi stupido. Maria lo lavora sapientemente e lui parla, confessa i nomi dei congiurati, tradisce i traditori. Pagherebbe per vendersi. Maria lo bacia con lo stesso bacio di Giuda ricevuto la sera prima. Moray, tornato in Scozia, con pragmatismo propone il compromesso che restituisce alla Regina la dignità regale purché tutto venga dimenticato. Maria finge di accettare ma il suo cuore esige sangue. Bothwell ha già preparato la fuga e due giorni dopo il compromesso, in piena notte Maria fugge con Darnley attraverso le cripte del cimitero. Il disgraziato rallenta la fuga inciampando in un ostacolo: è la tomba fresca di Rizzio. La fuga è riuscita, suo figlio verrà al mondo e poi… Giungerà la vendetta per coloro che l’hanno umiliata. Al mattino i congiurati tremano di paura quando scoprono che la Regina è fuggita. Capiscono che Darnley li ha traditi. Si squagliano come neve al sole. Il primo a fuggire è Knox che troppo presto ha lodato il complotto. Maria gioca d’astuzia e si riconcilia col fratellastro Moray per spezzare il fronte dei nemici, poi costringe Darnely ad affermare pubblicamente e per iscritto che il figlio che deve nascere è il suo. In questo modo Maria mette al sicuro i diritti di suo figlio. Solo Rizzio non ottiene giustizia se non una tomba dignitosa. La mattina del 9 giugno 1566 nasce finalmente Giacomo. Maria è al sicuro in quanto madre del futuro Re di Scozia. La notizia giunge presto a Londra. Elisabetta cade in preda allo sconforto: la sua rivale ha un erede mentre lei è soltanto un ramo secco. Poi si ricompone e invia le sue felicitazioni. Ora Maria potrebbe vivere tranquilla ma non sarà così.

Il suo orgoglio ferito non dimentica, il sangue chiama sangue, esige vendetta. La donna che è in lei dichiara guerra alla regina. Il braccio armato sarà Bothwell, l’uomo che aiutò sua madre e che ora l’ha portata al sicuro, l’uomo che ha salvato suo figlio. Inizia la dittatura militare di Bothwell e cresce l’odio nei suoi confronti. Maria regna, Bothwell terrorizza, Moray amministra e Maitland si occupa della diplomazia. Darnley è esasperato, cade ancora una volta in uno stato di paura e agitazione. Maria conosce il rimedio e lo conduce di nuovo nella sua stanza da letto. Il cagnolino è ancora al guinzaglio ma la farsa finisce presto. Il 16 dicembre viene battezzato Giacomo e la madrina Elisabetta, non presente, invia un fonte battesimale in oro puro, venendo meno alla proverbiale tirchieria. Neanche Darnley è presente al battesimo di suo figlio. Il padrone di casa è Bothwell. Due giorni dopo Maria perdona gli assassini di Rizzio e li fa rientrare in Scozia. Non è un gesto di clemenza ma la condanna a morte di Darnley che, terrorizzato, fugge a Glasgow, nel palazzo paterno. “I morti non dormono volentieri da soli sotto terra e richiamano sempre a sé quelli che ce li hanno mandati, inviando come messaggeri la paura e l’orrore”. Così scrive Stefan Zweig e non ci sono parole migliori per descrivere lo stato d’animo di Durnley quando pensa a Rizzio. Anche Maria, malgrado la finzione nel giorno della festa di battesimo, è infelice, preda di dolori lancinanti nel corpo e, soprattutto, nell’anima. Vive gravata dal peso del rapporto che si sta instaurando con Bothwell, delle scelte sbagliate, dalla nostalgia per la vita francese. Subisce la nefasta influenza di Bothwell e ne è soggiogata. L’uomo conosce bene la differenza tra sesso e matrimonio; ha avuto molte donne ma ora vuole tentare il tutto per tutto. Come Machbeth ha la possibilità di diventare re ma prima deve togliere di mezzo Darnley. Espone il suo piano a James Douglas conte di Morton, uno degli assassini di Rizzio, Moray e Maitland e comprende che da parte dei Lord avrà via libera. Dal giorno in cui Maria Stuart, Bothwell e i Lord sono d’accordo, per Darnley suona la campana a morto. Il 22 gennaio 1567 Maria si reca a Glasgow per far visita al marito malato di vaiolo. In realtà esegue gli ordini di Bothwell e deve attirare la vittima ad Edimburgo. Forse Shakespeare scrivendo di Lady Macbeth pensa a Maria Stuart o più semplicemente la Regina è ormai un docile strumento nelle mani del rude soldato scozzese. L’inganno ai danni del marito è di semplice attuazione: Darnley cade di nuovo nella trappola e segue Maria come un automa. Soltanto il vecchio Lennox diffida del rinnovato amore di Maria per suo figlio. I vecchi avvertono le sciagure imminenti. Di nuovo Darnley si mette nelle mani di Maria e chiede perdono: “Tanti tuoi sudditi hanno commesso degli errori e tu li hai perdonati, e io sono così giovane. Dirai che tu mi hai già perdonato varie volte e che io sono ricaduto di nuovo nei miei errori. Ma non è naturale, alla mia età e con dei cattivi consiglieri, ricadere due o tre volte negli stessi errori e non mantenere le promesse e riuscire solo alla fine con l’esperienza a controllarsi? Se questa volta ottengo il tuo perdono, ti giuro che non commetterò più nessun errore. E io non chiedo altro se non di vivere insieme nella casa e nel letto come marito e moglie, e se tu non vuoi, non mi alzerò mai più da questo letto…Dio sa quanto sia stato punito di aver fatto di te una divinità e di non pensare a nient’altro che a te”. Dopo queste parole per Maria il compito diviene intollerabile. Si fa violenza da sola e cerca di opporre un cuore duro come il diamante al cuore di cera del marito. Lady Macbeth dirà al marito: “Le mie mani sono del tuo stesso colore, ma mi vergogno di avere un cuore così bianco”. Forse in quelle ore Maria pensa anche al suicidio, è tormentata, schiava dell’odio e sottomessa a Bothwell, prigioniera e cosciente al tempo stesso della propria azione nefasta. Il destino tragico si compie: la coppia torna ad Edimburgo e il re, con la scusa della quarantena, viene portato in una casa ben arredata ma isolata a Kirk o’Field, una casa indegna di re. Maria va a trovarlo ogni giorno e dal 4 al 7 febbraio dorme nella stessa casa del marito invece che a palazzo reale. Darnley è convinto di aver riconquistato la moglie, il popolo li vede assieme. La notte del 9 febbraio la Regina, dopo aver fatto visita al marito, torna a Holyrood per partecipare ad una festa di matrimonio. Alle due di notte una tremenda esplosione fa saltare in aria la casa di Kirk o’Field: il re e i suoi servitori sono tutti morti. Bothwell viene svegliato nel sonno e ha un alibi di ferro: mentre i suoi uomini mettono in atto l’attentato lui si trova alla festa. Si reca sul luogo del delitto e ordina la sepoltura dei cadaveri strangolati. Chi ha compiuto il lavoro prima ha assassinato Darnley poi ha fatto saltare in aria la casa. Poi Bothwell in persona sveglia la regina e le comunica che Enrico di Scozia è stato ucciso da ignoti. Maria cade in uno stato catatonico come suo padre dopo la sconfitta di Solvey Moss nel 1542. Ormai è perduta, il suo animo nobile non tollera un’azione così turpe come quella commessa da Bothwell con la sua complicità. Quem Deus vult perdere prius dementat. Quando gli Dèi vogliono far perire qualcuno, prima gli confondono la mente. Tutti sanno che il mandante del massacro è Bothwell ma nessuno osa attaccarlo apertamente a causa della sua forza militare. Elisabetta scrive a Maria e la prega di prendere posizione. Silenzio. Un silenzio grave, pesante, assordante. Il silenzio di una donna ormai vittima dei propri errori, dovuti ad una visione romantica ante litteram dell’esistenza. Solo così si giustifica il successo letterario della sua vita che diviene opera d’arte, tragedia per eccellenza. Una donna buona d’animo, generosa, bella, educata in modo regale, commette errori irreparabili che le fanno perdere il trono, la libertà, i figli, la vita. Anche Maria dei Medici fa sapere che la Francia aspetta spiegazioni dalla Regina di Scozia. Il 12 aprile si tiene un processo  farsa dal quale Bothwell esce trionfatore perché viene considerato estraneo ai fatti. Non pago della sentenza del tribunale l’assassino vuole sposare la Regina con l’appoggio dei Lord. Come scrive Shakespeare in Amleto: “una sovrana, ancor prima che siano consunte le scarpe con cui ha seguito la bara dello sposo, andrà all’altare con l’assassino del marito”. Il motivo di questo matrimonio affrettato e scellerato può essere spiegato con una nuova gravidanza di Maria a causa dei suoi rapporti carnali con Bothwell. È possibile che la gravidanza sia la conseguenza di un violenza a danno di Maria. Violenza carnale e psicologica. Ma una Regina di Scozia non può mettere al mondo un figlio illegittimo e men che mai in tali circostanze. Occorre una felice e pronta legittimazione che solo il matrimonio può dare. “Vorrei essere morta, perché vedo che tutto andrà a finir male” scrive Maria. Bothwell, come il Don Giovanni di Mozart non si ferma davanti ad alcun ostacolo. Non è certo innamorato di Maria; non ha la sensibilità sufficiente. È un guerriero che coglie un’opportunità e se per coglierla deve commettere dei crimini non si ferma certamente. Del resto tutta la storia dello Stato assoluto del Cinquecento è una storia criminale che soltanto la penna di Shakespeare è riuscita a descrivere nelle profondità psicologiche. La storia inglese, francese, europea di quegli anni – e non solo – è una galleria degli orrori. Riccardo III è la vetta di una montagna di morti. Il trono gronda sangue da tutti i lati. Il 21 aprile, due giorni dopo che Bothwell strappa il consenso alle sue nozze al Parlamento, Maria va a trovare suo figlio Giacomo. Il Conte Mar sospetta che ella voglia consegnare il bambino al dittatore e le consente soltanto di vederlo. Maria viene poi “rapita” e tenuta prigioniera da Bothwell per una settimana in attesa delle nozze riparatrici. Intanto si procede all’annullamento del matrimonio di Bothwell dalla moglie legittima come se nulla fosse. In questo campo esisteva il primato di Enrico VIII. Il rapimento poi è talmente grossolano che persino l’ambasciatore di Spagna, il testimone più ben disposto, nutre forti dubbi sulla sua autenticità. Du Croc, ambasciatore francese, ammonisce Maria e dichiara che se essa sposa il dittatore, l’amicizia francese deve interrompersi. Ormai la povera Regina non può tornare indietro e il 15 maggio sposa l’assassino del suo secondo marito e, per colmo di ingiuria, secondo il rito riformato. Ora Maria è sola, non ha più neppure il sostegno dell’Europa cattolica. Ella scrive “Da allora in poi ho in sprezzo l’onore, la sola cosa che ci dia felicità. Per lui metto a repentaglio grandezza e coscienza, per lui ho lasciato parenti e amici”. L’amara luna di miele dura poche settimane. Il popolo guarda con ostilità la coppia assassina. Tutta la Scozia è come paralizzata. Ormai è tempo di guerra. Gli stessi Lord che hanno partecipato all’assassinio di Darnley ora si ergono a giudici della coppia regale e, a Carberrry Hill, convincono la Regina ad evitare la battaglia soltanto a prezzo dell’esilio di Bothwell. Il guerriero comprende che è finita; abbraccia per l’ultima volta la Regina e si lancia al galoppo verso il confine. Morirà pazzo in un carcere danese nel 1578. Maria viene riportata ad Edimburgo dai Lord, ma ormai è una donna spenta e finita. La plebaglia la accoglie con insulti terribili e la povera Maria beve il calice sino alla fezza. È iniziato il triste epilogo della prigionia. Il 17 giugno 1567 Maria viene chiusa nel castello di Lochleven. Tra il 18 e il 24 giugno abortisce i due gemelli frutto della relazione con Bothwell. Si apre ora un problema enorme: una Regina non può essere giudicata dal popolo. La stessa Elisabetta ammonisce gli scozzesi e fa sapere ai Lord che in caso di azione violenta contro sua cugina ricorrerà alle armi. “Dove si trova nelle Sacre Scritture un passo che dia ai sudditi il diritto di deporre i loro sovrani?… Condanniamo tanto quanto i lord l’assassinio di nostro cugino, il re, e le nozze di nostra sorella con Bothwell ci hanno addolorato più di chiunque di loro. Ma non possiamo permettere né tollerare la successiva condotta dei Lord contro la Regina di Scozia. Poiché per legge divina essi sono sudditi e lei è sovrana, non avevano il diritto di costringerla a rispondere alle loro accuse, perché non è conforme alla natura che la testa ubbidisca ai piedi”. Peccato che la maggior parte dei Lord sia finanziata segretamente proprio da Elisabetta. Il 25 luglio Maria firma tre documenti per evitare un processo pubblico. Nel primo rinuncia al trono scozzese, nel secondo lascia lo scettro al figlio e nel terzo firma il suo benestare per la reggenza di Moray. La lettera scarlatta sulla fronte di Maria è ormai indelebile. La Regina decide di non piegare più la testa di fronte a nessuna sentenza. Lei è regina per volontà di Dio e nessun sottoposto può condannarla. La prigionia di Lochleven consente a Maria di calmare i suoi stanchi nervi. Ora pensa soltanto alla fuga. Grazie al suo fascino può contare sull’uomo che dovrebbe controllarla, Georges Douglas, e la fuga riesce il 2 maggio 1568. Raccoglie facilmente un esercito di seimila uomini perché il governo di Moray è già inviso agli scozzesi; gli Stati cattolici appoggiano la fuggitiva. Elisabetta si congratula con la cugina ma intanto Cecil, segretario di Stato, incita Moray a farla finita con Maria Stuart e col partito cattolico e così il 13 maggio a Langside si giunge allo scontro definitivo tra i due Stuart: fratello contro sorella. Dopo tre quarti d’ora Maria è sconfitta. Fugge disperata. Dopo tre giorni raggiunge l’abbazia di Dundrennan vicino al mare alla fine del suo regno; in Scozia non può tornare perché l’aspetta il rogo. Deve decidere. In Francia non vuole tornare per non subire il sorriso malevolo di Caterina; in Spagna Filippo II non le perdonerebbe il matrimonio protestante con Bothwell. Non resta che rifugiarsi da sua “sorella” Elisabetta in Inghilterra, sempre pronta, a parole, ad accoglierla a braccia aperte. Errore fatale. Il 16 maggio attraversa il golfo di Solway e tocca terra inglese presso Carlisle. Non ha ancora venticinque anni ma la sua vera vita è finita. La attendono diciannove anni di prigionia. Ha vissuto pienamente alla vetta della gioia e nell’abisso del dolore, vedova due volte, Regina due volte, complice di un assassinio. La sua storia è la tragedia romantica per eccellenza.  Elisabetta prova compassione per la cugina ma la ragion di Stato incarnata da Cecil la convince a non incontrarla: perché ricevere a Londra, con tutti gli onori, una concorrente, una donna che potrebbe succederle al trono e riportare al potere il partito cattolico? Così ragiona la Regina Vergine. Inizia così il comportamento ambiguo e doppio di Elisabetta, la quale fa sapere alla cugina che prima di essere ricevuta a corte deve essere scagionata da tutte le accuse che pendono sul suo capo. Ipocrisia della politica e uso distorto della giustizia sono comportamenti che non possono stupire nella figlia di Enrico VIII. Guai ai vinti! Da questo momento Elisabetta e Cecil giocano una partita truccata con Maria. Viene trasferita nel castello di Bolton sotto la tutela di Lord Scrope, fino al gennaio 1569. Inizia l’inchiesta farsa influenzata  dal gioco politico internazionale. Uno dei nobili più ricchi d’Inghilterra, il Duca di Norfolk vuole sposare Maria con la segreta speranza di diventare così re d’Inghilterra al posto di Elisabetta Tudor, figlia della dinastia che ha mandato al patibolo suo padre e suo nonno. Manovra pericolosa dal momento che la rete spionistica di Elisabetta funziona bene. Norfolk viene riportato a miti consigli. Il 10 gennaio 1569 viene emesso il verdetto in base al quale Moray viene assolto mentre con una formulazione ambigua si continua a tenere prigioniera Maria. Sul piano del diritto Elisabetta non ha possibilità di vittoria ma ciò che conta in questa partita è la forza. Come dirà Pascal un secolo dopo a proposito della costruzione dello Stato assoluto “non potendo fortificare la giustizia, si giustificò la forza”. A causa delle ingiustizie subite Maria diviene una martire della causa cattolica europea e il fulcro di una partita senza esclusione di colpi tra riformati e cattolici che porterà alla guerra dei trent’anni nel Seicento. Come un ostaggio Maria cambia castello, carcere, carcerieri, ma non muta la sostanza. Bolton, Chatsworth, Sheffield, Tutbury, Wingfield, sino alla prigione finale e più sinistra, Fotheringhay: la vita di Maria oscilla tra nostalgia e triste realtà, speranza e disperazione, il tutto condito da una cortesia formale ancora più crudele di una detenzione rigida vera e propria. Per quindici anni viene accudita e custodita da un gentiluomo, George Talbot, conte di Shrewsbury, consapevole di assolvere un compito ingrato. La stanza di Maria è una sorta di cancelleria di Stato, centro di smistamento di dispacci segreti per Parigi e Madrid, fucina di speranze e aneliti di fuga, dalla congiura Ridolfi, subito scoperta dalle spie di Walsingham alle speranze di un’invasione spagnola che la insediasse sul trono di Londra. Le sarebbe sufficiente arrendersi a sua cugina e rinunciare ai diritti di successione, ma preferisce l’ostinazione ed è comprensibile il suo punto di vista: una Regina prigioniera piuttosto che semplice donna senza corona. Intanto il sangue scorre: Norfolk viene decapitato e molti altri finiscono al patibolo per causa sua. Norfolk sul patibolo dirà “Nulla di ciò che viene da lei o per lei avviato va a finir bene”. Stefan Zweig scrive che Maria Stuart è come la Montagna Nera della favola che attira a sé le navi e le distrugge. Malinconia, religiosità esasperata e odio riempiono ormai le sue giornate. Il corpo si appesantisce come l’anima. A Madrid, a Roma e a Parigi si pensa intanto di chiudere la partita con Elisabetta facendola assassinare da un sicario; nel 1572 la notte di San Bartolomeo chiarisce a tutta Europa che la lotta è ormai al coltello. Cecil e Walsingham vogliono la testa di Maria mentre il Consiglio segreto a Madrid decide di uccidere Elisabetta. Il papa Gregorio XIII elogia i buoni cattolici che annegano nel sangue l’eresia protestante. Le condizioni di prigionia di Maria adesso si fanno più strette e viene sorvegliata dal fanatico protestante Amyas Poulet, un puritano ostile e forsennato. “Distruggere Cartagine” è il motto di Walsingham, distruggere Maria, anche col complotto. E il complotto scatta con la congiura Babington: un assassinio legale di Maria pianificato dalla mente diabolica di Walsingham. Elisabetta approva il piano del suo ministro: dal momento che non vuole uccidere un’innocente deve farla diventare colpevole. La congiura Babington andrebbe chiamata congiura Walsingham. Maria cade nella trappola perché vuole credere ancora in una possibile fuga e in una possibilità di vittoria. Siamo all’epilogo. Tutti i congiurati vengono orribilmente torturati e uccisi, Maria viene condannata a morte il 28 ottobre 1586. Giacomo VI non muove un dito per difendere la madre; il suo interesse e quello di Elisabetta coincidono dal momento che sarà lui, eliminata sua madre, a ereditare il trono inglese quando la Regina Vergine morirà. Ma a questo punto ha meno paura Maria di morire che Elisabetta di ucciderla.

Come Maria Antonietta, soltanto in punto di morte Maria Stuart comprende sino in fondo quale sia il suo compito. La sua morte la rende immortale. Il primo febbraio 1587 Elisabetta firma la condanna avendo cura di dire in seguito di aver firmato molte carte quel giorno e di non essersi accorta del documento. La colpa è del Consiglio di Stato, colpa collettiva: la Regina Vergine non ha colpa. Prima di morire Maria dirà “nella mia fine è il mio principio”. La mattina dell’8 febbraio la testa di Maria Stuart viene mozzata. Il martirio cattolico è compiuto. Londra è in tripudio. Giacomo VI attende a Edinburgo; è solo questione di tempo, quindici anni e poi salirà sul trono di Londra. Elisabetta è in preda all’ira e comprende che aver messo a morte Maria significa aprire una strada ai tribunali rivoluzionari. Nel 1649 salirà sul patibolo Carlo I Stuart, nipote di Maria, re per diritto divino. anche lui dirà al tribunale voluto da Cromwell ” Signori, voi non avete il diritto di giudicarmi, io sono re per diritto divino”. Verrà giudicato e decapitato. Subito dopo la decapitazione di Maria, il lento è compassato Filippo II mette sul mare la più grande flotta di tutti i tempi per vendicarla. Nessuna nave spagnola della Armada Invencible toccherà il suolo inglese. La Montagna Nera attira a sé le navi e le distrugge.

Nicolò Scialfa

J.V.

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