“L’ATOMO INQUIETO”, GANGEMI RACCONTA IL GRANDE SCIENZIATO

“L’ATOMO INQUIETO”, GANGEMI RACCONTA IL GRANDE SCIENZIATO

Una particella fantasma si aggira per l’Europa: il suo nome è Majorana
Un romanzo in prima persona, un’autobiografia struggente ed esaltante che in sette capitoli ripercorre le molte vite di un fisico brillante e complesso, che lascia dietro di sé ombre e suggestioni

La prima scena, se fosse un film, è di quelle che sobbalzi di sdegno e lasci da parte i popcorn. Un barbone. Trasandato, malmesso, anche se profuma di pulito. Appare vecchissimo, ma ha solo 54 anni. Siamo in un luogo non precisato della costa jonica calabrese. Due o tre ragazzi si accaniscono contro di lui e gli lanciano addosso dei pomodori. Acerbi. Gli fanno male. Lui non si offende. Pensa solo che è uno spreco, distruggere così i pomodori. Si chiama Andres, o meglio: decide di chiamarsi così, il nostro povero eroe che in realtà non sa più chi è. È stanco, è malato, si guarda allo specchio e parla a se stesso, una voce gli risponde, è quella della creatura che ha dentro, il suo doppio, la sua coscienza, il suo mostro. Forse è schizofrenico, forse è un originale, forse è un genio. Forse è matto. Certo è infelice. “Sono nato infelice”, dice di sé.
Nella notte, l’oltraggio dei pomodori diventa agguato, e Andres viene colpito da una gragnuola di pietre, alla testa. È ferito. Entra in coma. Perde conoscenza, come si dice, del tempo e dello spazio intorno a lui, ma la riacquista, la conoscenza, di sé, del suo passato, della sua storia, della sua vita.
Quell’uomo è Ettore, Ettore Majorana. Il genio della fisica atomica, l’enfant prodige della meccanica quantistica, uno dei ragazzi di via Panisperna, il più enigmatico, misterioso e inquieto, quello che sparì all’improvviso, da Napoli, o forse da Palermo, quello che si suicidò, forse, o forse no, voleva solo fare perdere le sue tracce. Era così intelligente che ci riuscì benissimo. Sparì e nessuno seppe più niente di lui.
Questo era solo il prologo. In quella notte d’estate del 1960, Ettore Majorana trattiene con le mani la morte, lui sa come si fa, ha già rubato, come Prometeo, con le sue ricerche un lampo di luce al sole; un attimo, solo un attimo, per piacere, signora Morte, il tempo di ricordare la mia vita, cioè, insomma, le sette vite che ho vissuto: se fosse un film sarebbe un flashback, l’avvincente flashback di un thrilling sentimentale-storico-scientifico di grande impatto.
Ma è un romanzo, è L’atomo inquieto, un romanzo di rara potenza, perché, a raccogliere la confessione di Ettore Majorana, c’è uno sceneggiatore strepitoso, un biografo magistrale, un sorprendente Mimmo Gangemi, uno dei più inquieti tra i nostri scrittori, che abbandona giudici meschini e contadini, calabresi emigrati e possidenti corrotti, minatori e jazzisti, New York, la Sicilia, la Louisiana e l’Aspromonte e s’infila nel labirinto di uno dei misteri civili, esistenziali e scientifici più fitti della storia italiana recente: la scomparsa di Ettore Majorana. In tanti avevano provato a decifrarla – scienziati, poliziotti, magistrati, giornalisti – e tra loro Leonardo Sciascia, che aveva avvalorato la tesi del ritiro di Majorana nel Romitorio di Serra San Bruno; altri avevano dato credito al suicidio, altri ad una fuga in Argentina, altri ancora a un trasferimento, o rapimento, in Germania.
Tutte le ipotesi e le ricostruzioni lasciavano buchi, enigmi, interrogativi. Nessuno ci aveva scritto su un romanzo e Mimmo Gangemi, con la forza immaginifica che solo la grande letteratura riesce a fare, inventa la vita di
Majorana dopo la sua ultima lettera, e racconta i ventidue anni che vanno dalla sua scomparsa, nel 1938, alla nottata del coma, nel 1960. Restituisce la vita a Ettore Majorana, la sua straordinaria esistenza inquieta, fatta di sette vite, sette identità, sette capitoli di un unico romanzo, il romanzo dell’inquietudine. Questo fa la letteratura, mostra quello che non c’è, illumina le zone d’ombra, riempie vuoti, inventa vite verosimili, dà senso alla insensatezza del caso e del destino, e qualche volta ci prende, più della cronaca, più della storia.
Come nei migliori romanzi classici, Mimmo Gangemi è lo scrittore onnisciente, che sa tutto, e tutto crea, anzi, si sdoppia. Perché non racconta in terza persona, ma diventa lui stesso Ettore Majorana e racconta la sua vita in un lungo, dolente e appassionato flusso di memoria.
Charles Foucault diceva che la letteratura è trasgressione – certo, lo è sempre – e che è parente della follia – certo, lo è sempre – perché non è forse follia inventare le vite di chi non è esistito e, ancor di più, inventare la vita di chi è esistito?
(Annarosa Macrì)

DA VIA PANISPERNA ALL’USCITA DI SCENA MISTERIOSA
Ettore Majorana (Catania, 5 agosto 1906 – Italia, 27 marzo 1938 (morte presunta) o in località ignota dopo il 1959 è stato un fisico italiano. Operò principalmente come teorico della fisica all’interno del gruppo di fisici noto come i “ragazzi di via Panisperna”: le sue opere più importanti hanno riguardato la fisica nucleare e la meccanica quantistica relativistica, con particolari applicazioni nella teoria dei neutrini. La sua improvvisa e misteriosa scomparsa, avvenuta nella primavera del 1938, suscitò numerose speculazioni riguardo al possibile suicidio o allontanamento volontario, e le sue reali motivazioni, a causa anche della sua personalità e fama di geniale fisico teorico. Secondo Sciascia, Majorana si sarebbe rinchiuso nella Certosa di Serra San Bruno in Calabria, per sfuggire a tutto e a tutti, dal momento che non sopportava la vita sociale. Molti hanno sostenuto come veritiera questa ipotesi, ma essa fu sempre negata dai monaci dell’ordine certosino, anche se fu, in seguito, papa Giovanni Paolo II in persona ad avvalorarla quando, il 5 ottobre 1984, andò in visita alla Certosa.

«Sono nato a Catania il 5 agosto 1906. Ho seguito gli studi classici conseguendo la licenza liceale nel 1923; ho poi atteso regolarmente agli studi di ingegneria a Roma fino alla soglia dell’ultimo anno. Nel 1928, desiderando occuparmi di scienza pura, ho chiesto e ottenuto il passaggio alla facoltà di fisica e nel 1929 mi sono laureato in fisica teorica sotto la direzione di S.E. Enrico Fermi svolgendo la tesi: “La teoria quantistica dei nuclei radioattivi” e ottenendo i pieni voti e la lode. Negli anni successivi ho frequentato liberamente l’Istituto di Fisica di Roma seguendo il movimento scientifico e attendendo a ricerche teoriche di varia indole. Ininterrottamente mi sono giovato della guida sapiente e animatrice di S.E. il prof. Enrico Fermi.»

Portrai

Ettore Majorana è rampollo di famiglia benestante ed importante. Bambino prodigio, studia dai Gesuiti, possiede un’eccellente cultura umanistica. Maturità classica al liceo Tasso di Roma a soli diciassette anni. Poi ingegneria e fisica. Inizia a lavorare con Fermi ma si distingue per il carattere scontroso. Il suo soprannome è “Grande inquisitore”, Fermi “Il Papa”, Corbino, “il Padreterno”, Rasetti “Cardinale Vicario”. Poi conosce Werner Heisenberg e apprezza l’organizzazione tedesca. Alla madre in una lettera non nasconde le sue simpatie per il nazismo “Lipsia, che era in maggioranza socialdemocratica, ha accettato la rivoluzione senza sforzo. Cortei nazionalisti percorrono frequentemente le vie centrali e periferiche, in silenzio, ma con aspetto sufficientemente marziale. Rare le uniformi brune mentre campeggia ovunque la croce uncinata. La persecuzione ebraica riempie di allegrezza la maggioranza ariana. Il numero di coloro che troveranno posto nell’amministrazione pubblica e in molte private, in seguito all’espulsione degli ebrei, è rilevantissimo; e questo spiega la popolarità della lotta antisemita. A Berlino oltre il cinquanta per cento dei procuratori erano israeliti. Di essi un terzo sono stati eliminati; gli altri rimangono perché erano in carica nel 1914 e hanno fatto la guerra. Negli ambienti universitari l’epurazione sarà completa entro il mese di ottobre. Il nazionalismo tedesco consiste in gran parte nell’orgoglio di razza. In realtà non solo gli ebrei, ma anche i comunisti e in genere gli avversari del regime vengono in gran parte eliminati dalla vita sociale. Nel complesso l’opera del governo risponde a una necessità storica: far posto alla nuova generazione che rischia di essere soffocata dalla stasi economica”.
Probabilmente Fermi e gli altri di via Panisperna non conoscevano questo aspetto del loro collega. Segrè, ebreo, rimane perplesso per altre parole di Majorana sulla questione “non è concepibile che un popolo di sessantacinque milioni si lasciasse guidare da una minoranza di Seicentomila che dichiarava apertamente di voler costituire un popolo a sé…” In altre lettere parla invece di stupida teoria della razza. Si può essere geniali ma avere un po’ di confusione in testa.
Dal 1934 al 37 non esce quasi di casa e studia in modo frenetico al punto di ammalarsi. Laura Fermi così lo descrive “Majorana aveva però un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea.”
Poi professore di fisica all’Università di Napoli. Infine la misteriosa scomparsa.
Questa la sua ultima lettera “Caro Carrelli,
Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.”
La sera del 25 marzo 1938, a 31 anni, Ettore Majorana parte da Napoli, dove risiedeva all’albergo “Bologna” in via Depretis 72, con un piroscafo della Tirrenia alla volta di Palermo, dove si ferma un paio di giorni alloggiando al “Grand Hotel Sole”.
Del caso sì interessa persino Mussolini. Tre mesi di indagini senza esito. Ridda di ipotesi. Secondo Leonardo Sciascia nel suo saggio La scomparsa di Majorana, si tratta di un “dramma personale”, di un “genio immaturo e irrequieto” o comunque diverso, alieno dalla normalità ovvero di un uomo, provato da malanni fisici persistenti (colite ulcerosa o gastrite) e stanco dopo aver indagato a fondo molteplici campi dello scibile umano, compresa la fisica e la filosofia (“la parte e il tutto”). Potrebbe essere un novello Mattia Pascal. Altra ipotesi quella monastica a Serra San Bruno. Pare una bufala quella del ritorno in Germania e conseguente fuga in Argentina. Poi altro ancora. Per me valgono le parole di Enrico Fermi che paragonando Majorana a Galileo o Newton dice “Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito. Majorana aveva quello che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso”.
Così scrive Edoardo Amaldi “Aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini”.

Per ciò che concerne la sua produzione scientifica di altissima qualità non ho titolo per scrivere e rimando alla lettura degli addetti ai lavori.

J.V.

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