LA BIBLIOTECA DELLA DESTRA. LA BUGIA INTEGRALE DEL FASCISMO

LA BIBLIOTECA DELLA DESTRA
LA BUGIA INTEGRALE DEL FASCISMO
Autori e testi tra storia vissuta e costruzione del mito
Le narrazioni filofasciste hanno indubbi motivi d’interesse. Però messe accanto alle opere di Beppe Fenoglio, Primo Levi, Giorgio Bassani- su quegli stessi anni ed eventi – mostrano l’abisso che separa le due narrazioni

Ho già accennato alla difficoltà di immaginare una biblioteca dietro i nostri partiti. Proviamo a chiederci quale potrebbe essere quella di Fratelli d’Italia.
Ora, è singolare come siano degli autori di sinistra a ricostruire – con lodevole puntiglio e intelligenza ermeneutica – le narrazioni di destra nel dopoguerra: Non di sola destra (Rubbettino, Zonafranca), di Alex Bardascino e Luciano Curreri (autori di saggi separati), che hanno preso in esame sei di queste narrazioni dal 1953 al 1986. Si tratta di opere molto diverse tra loro, che testimoniano una adesione al fascismo (in qualche caso ritrattata), e al tempo stesso invocano una qualche comprensione da parte dei lettori. Bardascino e Curreri aggiungono che si tratta di narrazioni “non di sola destra”, poiché contengono una ricchezza di elementi che sfugge alla ideologia dei loro autori. Proviamo a ripassarle velocemente.
Giosè Rimanelli nel Tiro al piccione (1953) racconta il suo arruolamento nella neonata Repubblica di Salò, provenendo da un paesino del Molise, ad appena 18 anni. Per un attimo lo trattiene la “carne di Giulia” nel sole di settembre, ma “sulla strada ripresero a rotolare i camion” verso il Nord. Molti di questi volontari, anche Carlo Mazzantini in A cercar la bella morte (1986), Giuseppe Berto in Guerra in camicia nera (1955), o Roberto Vivarelli (giovanissimo repubblichino e poi autorevole storico del fascismo), “rotolano” via nel buio sui camion, che diventano una specie di grande gavetta, che porta la zuppa alle tante piccole gavette dei militi. Il libro di Berto, accanto a Tempo di uccidere di Flaiano, è uno dei rari romanzi italiani sull’occupazione coloniale (qui in Libia), dove l’autore – pur insofferente verso la retorica ufficiale – intende onorare coloro “che servirono il fascismo con la convinzione di servire l’Italia”, chiedendo il riconoscimento della loro “sostanza umana comune a tutti i soldati e a tutti gli eserciti”. Poi Berto sarà quello che nel Male oscuro (1964) denuncerà la “mafia”degli ambienti intellettuali antifascisti. Vero. Ma quando la destra prende il potere nelle cose della cultura, come avviene adesso, non è specularmente identica?
Un caso a parte sarà il romanzo “nazista” apocalittico La distruzione, del misterioso Dante Virgili ( già interprete delle SS a Salò) pubblicato nel 1970, capace di prevedere stragi e complotti, avvolto da fantasie nichilistico-paranoiche e deliri di onnipotenza. Un documento raggelante, ai limiti della psicopatologia, non solo sul sadomasochismo dell’autore ma su umori e filoni della sottocultura nazi, da un romanticismo degradato alla lettura ridicolmente strumentale di Nietzsche e Spengler. L’io narrante “spera per davvero nell’estinzione definitiva, odia profondamente il genere umano e la vita”.
Il testo più interessante è certamente Il viaggio attraverso il fascismo (1962) di Ruggero Zangrandi che dopo un primo fervore fascista ne prende le distanze, e dal regime verrà arrestato nel 1942, deportato in Germania, avvicinandosi infine all’azionismo. La percezione che il giovane Zangrandi aveva del fascismo e della sua “rivoluzione” è sorprendente: l’anticapitalismo del cosiddetto programma di San Sepolcro (tassazione della ricchezza privata – se ne ricordino Fratelli d’Italia! -, soppressione di ogni speculazione finanziaria, suffragio universale, terra ai contadini, perfino l’internazionalismo). Nei Littoriali della Cultura e dell’Arte di Palermo, nel 1938, questa universalità del fascismo si dichiara incompatibile con concezioni imperialiste e razziste. Forse così il fascismo somiglia a un informe melting pot dove troviamo tutto e il contrario di tutto, ma certo questo spiega la adesione ai Littoriali di scrittori e intellettuali illustri, da Meneghello a Pratolini, da Guttuso a Comencini, da Ingrao ad Aldo Moro.
Un altro libro della rassegna che si smarca dall’iniziale adesione al fascismo è Autobiografia di un picchiatore fascista (1976) di Giulio Salierno. Quella di Salierno in carcere (recluso dal 1953 al 1968 per omicidio) sarà una vera e propria conversione culturale, finendo in una adesione al “movimento rivoluzionario operaio” e nella solidarietà con i compagni carcerati, tutti sottoproletari. Punto di partenza di Salierno, che all’inizio degli anni ’50 militava nella famigerata sezione di Colle Oppio del Msi – almeno allora non proprio un circolo di virtuosi boyscout come tende ad accreditare Giorgia Meloni nella sua autobiografia (riferendosi ovviamente a un periodo successivo) – è il recupero degli avversari politici come “obiettivo naturale della lotta per la democrazia”. Di qui un rifiuto radicale della violenza, la quale, come invece fomentava Julius Evola, il Tolkien degli squadristi, capace di vedere nei testi sapienziali indiani il Terzo Reich, “è l’unica soluzione possibile e ragionevole”.

Commendevole è la intenzione “inclusiva” dell’agile libretto (non censurare punti di vista e linguaggi altri), certamente utile per un capitolo della storia delle idee nel passato recente. Ma tento di fare un paio di considerazioni in margine. D’accordo, le scelte di un ventenne in una situazione storicamente confusa vanno contestualizzate. Né possiamo dubitare della buona fede di tanti volontari della Rsi. Però è possibile che nel 1943 non ci si rendesse minimamente conto della natura di stato-fantoccio di quella repubblica, un governo illegittimo al servizio diretto dello straniero invasore (altro che orgoglio patriottico, piuttosto tradimento della patria!). Una volta Mazzantini volle onestamente ammettere che “se avesse vinto la parte in cui militammo non avrebbero vinto le vaghe idealità di onore, di dignità, di eroismo, che ci muovevano, ma avrebbe vinto una orrenda ideologia, un sistema di odio razziale, di intolleranza, di barbarie”. E veniamo al punto decisivo.
Le narrazioni filofasciste rievocate hanno indubbi motivi di interesse. Però messe accanto alle opere di Fenoglio, Primo Levi, Bassani – su quegli stessi anni ed eventi – mostrano l’abisso che separa le due narrazioni (qui mi riferisco solo alle opere di narrativa, escludendo Zangrandi e Salierno): sul piano anzitutto stilistico, e poi di qualità intellettuale, di sensibilità e immaginazione morale. Da che dipende? Il punto è che gli scrittori che si muovono nell’area antifascista hanno un maggior rapporto con la realtà, mentre i “solisti” di queste pagine tendono a muoversi, almeno finché restano fascisti, in una dimensione perlopiù irreale. Se la democrazia è una mezza bugia (fondata sulla finzione che ognuno sappia giudicare del proprio interesse) il fascismo è una bugia integrale sulla condizione umana perché pretende di rimuoverne la originaria infermità. Rivolgiamoci a un classico: in una lettera Manzoni dichiara la scelta di “star basso”, che significa entrare in contatto con la propria debolezza – che poi appartiene a tutti – con la propria ontologica fragilità. Ecco, il fascismo – di destra e di “sinistra”, in doppio petto ed estremista, esplicito e dissimulato – nega questa fragilità, e perciò rischia sempre di sprofondare nell’irrealtà.

Filippo La Porta

Concordo pienamente con La Porta. Un abisso separa le due narrazioni. Insomma vediamo di chiarire una cosa semplice una volta per tutte: i morti meritano rispetto in quanto tali, ma esiste, ripeto, un abisso tra chi morì per difendere i valori di libertà e democrazia e chi si mise oggettivamente al servizio del nazifascismo. Sarebbe davvero finalmente l’ora di fare i conti in modo definitivo col nostro passato. Occorre uscire da un lato dal mito resistenziale e dall’altro smetterla di voler nobilitare qualcosa che, per la sua appartenenza al nazifascismo, va completamente rigettata. Pochi, molto pochi, combatterono attivamente contro il nazifascismo. Furono i migliori e nella loro azione e nel loro pensiero troviamo il vero Risorgimento italiano. Altre operazioni di ottundimento storico delle coscienze non mi interessano.

J.V.

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