PROUST, ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

PROUST, ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

“Mi sembra ridicolo, in fondo, che un uomo della sua intelligenza soffra per una persona di quel genere’ – soggiunse con la saggezza di chi non è innamorato, che pensa che un uomo d’ingegno non dovrebbe essere infelice se non per una persona che ne mettesse conto; all’incirca è come stupire che ci si degni di soffrire del colera per opera d’un essere così piccolo come il bacillo virgola.”

Opera lenta e improduttiva quindi utilissima nella lotta contro la mercificazione capitalistica. Storia di un Io che si salva dall’abisso. Ozio maestro di virtù, sublime inutilità, meraviglia provocatoria contro coloro che “non hanno mai tempo”. E cosa mai dovrete fare di così importante nella vostra vita al punto da non aprire questo scrigno magico? Opera di un malato. Legame tra malattia e morte. In buona compagnia, da Dostoevskij a Svevo, da Nietzsche a Kafka. Proust trasforma la propria casa in una clinica nella quale il medico è il paziente stesso. Una terapia giocata sull’abitudine finalizzata a superare crisi di soffocamento, spasmi nervosi, tubercolosi, asma e altre amenità. La morte della madre nel 1905 getta Proust in un oscuro abisso. Come Macbeth, uccide il sonno a causa del senso di colpa, come Edipo pensa al suicidio, la sua vita gli suscita orrore. Solitudine e silenzio sono le sue compagne e grazie a loro matura il disegno del gran libro. Il tutto aiutato da una ferrea volontà. Un asceta malato come Baudelaire con la stessa simbolica distruzione. Da bambino di sentiva come Noè chiuso nell’arca e la madre, come la colomba, usciva dalla porta dell’arca tornando la sera stessa. Poi quando guarì “ella non tornò più”. La luce viene dalla notte, dalla stanza in cui giace il malato. La madre è la colomba dell’arte. Un’opera d’arte che va letta tutta, soprattutto nei particolari, va assaporata, annusata, gustata come un grande Chablis. Immensa antologia della Modernità, delle sue meschinità, della presunta civilizzazione che funge da occultamento della barbarie, dello sfruttamento, dell’ estrema violenza del mondo contemporaneo. Dietro il chiacchiericcio salottiero si cela l’inferno che gli altri rappresentano per noi. L’amore domina l’opera ma è un amore privo di insulsi sentimentalismi. È un amore che apre la porta del mistero, della cultura del labirinto. Leggere seriamente Proust, o Dostoevskij, significa esercitare al massimo livello le nostre capacità emotive, la nostra autentica cultura. Non è lettura per narcisisti superficiali o corrotti dall’ideologia. È opera per gente seria che fa dell’ozio intellettuale la propria arma contro un mondo disumano, inquinato dalle scemenze anglosassoni del politicamente corretto e altre simili stupidaggini. Chi può legga senza accampare scuse. Non si potrà leggere dodici ore al giorno chiusi in una stanza tappezzata di sughero ma un paio d’ore sì… e ne varrà la pena. Non è lettura mondana, non è una confessione ma una rigorosa ricerca di leggi universali, con la memoria che funge da antemurale contro lo strapotere del Nulla. È l’opera di un visionario come Saint-Simon (Mémoires).

Quella di Proust è una memoria vacillante, aritmica, afasica e densa di lapsus. Un’opera che oscilla continuamente tra psicologia e patologia, espressione dell’io dei moribondi per citare Bergson. Intermittenze del cuore dovute a troubles de la mémoire. Alla fine la certezza che, malgrado l’oblio o grazie all’oblio, niente viene distrutto nell’ inconscio.

Questo bambino vecchio, figlio dell’ispettore generale dei servizi sanitari francesi e dell’israelita Jeanne Weil, ammalato di asma già a nove anni, appartenente all’alta borghesia francese, sostenitore di Dreyfus, ci ha lasciato un libro immortale, un vero archetipo letterario, un tesoro di inestimabile valore. Ricercate il tempo… di leggerlo.

“A volte per i morti si fanno cose che non si sarebbero fatte per i vivi.”

J.V.

Rispondi