Spinoza

Uomo buono e mite, pensatore sommo, benefattore dell’umanità. Tre ingredienti micidiali: sarà il filosofo più insultato e vilipeso di tutta la storia della filosofia. Il codardo oltraggio in vita, continua post mortem. “Orrido mostro… ciarlatano… pazzo… arciebreo… stupido diavolo… bestia esotica… “ sono alcune tra le ingiurie che deve sopportare. La sua vita è semplice e talmente irreprensibile che per attaccarlo i numerosi ed invidiosi nemici prendono a pretesto il suo lavoro notturno “opere dell’oscurità… scrittore che teme la luce”. In realtà il povero Baruch Spinoza dormiva poco, era molto malato e preferiva studiare e scrivere la notte. Tutto qui. Il teologo Musaeus, professore di teologia a Jena, si chiede “se tra coloro che il diavolo in persona ha assoldato per distruggere ogni legge di Dio e dell’uomo, sia possibile trovarne uno che in tale opera sia stato più attivo di questo ingannatore nato per la più grande sventura della Chiesa e dello Stato”. Voltaire ironizza su Spinoza, come dire che un nanetto filosofico prende in giro il gigante. Hamann, amico di Kant, definisce Spinoza “brigante e assassino della ragione e della scienza sane”.

All’improvviso inizia l’encomio (a volte servo, a volte sincero). Jacobi, Herder, Goethe stesso lo magnificano e ne tessono le lodi. Il grande tedesco rivela “mi sento assai vicino a lui, benché il suo spirito sia molto più profondo e puro del mio”. Maledetto e Benedetto, odiato e amato, ateo e santo.

Di sicuro è assai ostico da leggere e ancor più ostico da comprendere. La lettura dei suoi scritti assomiglia ad una salita in alta montagna, faticosa, dura, aspra. Poi, all’improvviso scorgi un meraviglioso spettacolo. Baruch Spinoza è umile, appartato, quieto, solitario.

Nasce ad Amsterdam nel 1632 da famiglia di ebrei fuggiti dal Portogallo. Enfant prodige, studia a fondo la religione ebraica al punto da essere predestinato a divenire rabbino. Le sue continue osservazioni, i commenti sensati, le domande imbarazzanti dettate da una mente superiore, lo rendono inviso alla sua stessa comunità. Invidia per il suo talento, rabbia per le sue posizioni critiche, ostilità per il coraggio che mette a nudo l’altrui vigliaccheria, speranze deluse, fanno sì che il giovane venga fatto seguire da spie. Si tenta di corromperlo inutilmente, si attenta alla sua vita. Alla fine il giovane talentuoso e mite, viene espulso dalla Sinagoga con la Grande Scomunica pronunciata solennemente “Con il giudizio degli angeli e la sentenza dei santi, noi dichiariamo Baruch de Spinoza scomunicato, esecrato, maledetto ed espulso, con l’assenso di tutta la sacra comunità […]. Sia maledetto di giorno e maledetto di notte; sia maledetto quando si corica e maledetto quando si alza; maledetto nell’uscire e maledetto nell’entrare. Possa il Signore mai piú perdonarlo; possano l’ira e la collera del Signore ardere, d’ora innanzi, quest’uomo, far pesare su di lui tutte le maledizioni scritte nel Libro della Legge, e cancellare il suo nome dal cielo; possa il Signore separarlo, per la sua malvagità, da tutte le tribú d’Israele, opprimerlo con tutte le maledizioni del cielo contenute nel Libro della Legge […]. Siete tutti ammoniti, che d’ora innanzi nessuno deve parlare con lui a voce, né comunicare con lui per iscritto; che nessuno deve prestargli servizio, né dormire sotto il suo stesso tetto, nessuno avvicinarsi a lui oltre i quattro cubiti [circa due metri], e nessuno leggere alcunché dettato da lui o scritto di suo pugno”.

Spinoza non lotta, non polemizza, accetta tutto stoicamente “io consento a ciascuno di vivere secondo la sua natura, e chi vuole può morire per la sua salvezza: purché mi sia consentito di vivere per la verità”. Ecco lo scandalo! Non gli interessa ciò che pensano i molti, i polloi, non accetta la tradizione sic et simpliciter, cerca la propria verità anche se per questo deve restare solo. L’odio si scatena contro di lui. È un diverso, va ucciso e su di lui deve scattare la damnatio memoriae. Spinoza è il filosofo per eccellenza: non si cura del giudizio degli uomini. La sua inclinazione alla solitudine viene rafforzata dall’espulsione. Vive nascosto fuori Amsterdam, poi nei pressi dell’Aia. Sepolto vivo. Non esce di casa. Tutti lo allontanano, hanno paura. Per sopravvivere mola lenti ottiche, accetta con riluttanza qualche offerta da pochi amici coraggiosi. Del resto le sue esigenze sono minime: mangia pochissimo, beve un boccale di birra al giorno, fuma ogni tanto la pipa. La solitudine non ferma i nemici. L’odio riemerge furente quando pubblica sotto pseudonimo il Tractatus theologico-politicus, nel quale difende la libertà di pensiero. Le sue riflessioni su Stato e Chiesa suscitano la furia dei potenti.

Ecco una pagina magistrale:

“Se infine consideriamo anche che la fede osservata da ciascuno verso lo Stato, come anche verso Dio, si può riconoscere soltanto dalle opere, e cioè dalla carità verso il prossimo, non v’è dubbio che uno Stato ottimamente costituito conceda a ciascuno altrettanta libertà nell’esercizio della filosofia quanta abbiamo visto che gliene concede in quello della religione. Ammetto bensì che da tale libertà nascano alle volte taluni inconvenienti; ma, quali istituzioni sono così perfette, che non possano dar luogo a inconvenienti di sorta? Colui che tutto pretende di stabilire per legge, finirà coll’esasperare le passioni, più che reprimerle. Ciò che non può essere vietato deve essere necessariamente permesso, per quanto danno ne derivi. Quanti inconvenienti non derivano dall’incontinenza, dall’invidia, dall’avarizia, dall’ubriachezza, e simili? e tuttavia queste sono tollerate, perché per legge non si possono vietare, ancorché siano veri e propri vizi; e perciò a maggior ragione va concessa la libertà di giudizio , la quale è certamente una virtù, e non può essere repressa. Si aggiunga che da questa non nascono inconvenienti che l’autorità dei magistrati non possa (come ora dimostrerò) eliminare: per non dire che questa libertà è sommamente necessaria all’incremento delle scienze e delle arti; queste, infatti, possono essere coltivate con successo soltanto da coloro che hanno il giudizio libero e per nulla prevenuto. Ma, supponiamo che questa libertà si possa reprimere e che gli uomini si possano dominare al punto che non osino di proferire parola che non sia conforme alle prescrizioni della suprema potestà. Con ciò, però, questa non potrà mai far sì che essi non pensino se non ciò che essa vuole: onde seguirebbe necessariamente che gli uomini continuerebbero a pensare una cosa e a dirne un’altra, e per conseguenza si corromperebbe la fede, che in uno Stato è sommamente necessaria, e si favorirebbero l’abominevole adulazione e la perfidia, donde l’inganno e la corruzione di ogni buon costume. In verità, invece, è tutt’altro che facile obbligare gli uomini a parlare soltanto in un determinato modo; al contrario, quanto più si cerca di togliere agli uomini la libertà di parola, tanto più decisamente essi reagiscono a tali tentativi, e non soltanto gli avari, gli adulatori e simile gente da poco, per la quale la suprema salute sta nel contemplare il denaro che ha nello scrigno e nell’avere la pancia piena, ma proprio coloro che la buona educazione, l’integrità dei costumi e l’esercizio della virtù hanno reso più liberi. Gli uomini sono per lo più così fatti, che nulla tollerano con maggiore impazienza quanto il veder tacciate di criminose le opinioni che credono vere, e che sia imputato loro a delitto ciò che accende in essi la pietà verso Dio e verso gli uomini. Ciò li induce a detestare le leggi e a ribellarsi alla magistratura; e non ritengono che sia disonesto, ma onestissimo, il provocare disordini e il commettere qualunque misfatto per questo motivo. Tali essendo dunque le condizioni della natura umana, ne segue che le leggi che si fanno intorno alle opinioni, non riguardano i malvagi, ma gli uomini liberi; e sono fatte, non per frenare i malviventi, ma piuttosto per irritare gli onesti, e non possono essere mantenute se non con grave pericolo per lo Stato. Si aggiunga che tali leggi sono perfettamente inutili; infatti, coloro che riterranno sane le opinioni condannate dalle leggi, non potranno obbedire alle leggi stesse; e quelli, invece, che le respingono come false, considerano le leggi che le condannano come privilegi e ne approfittano a tal punto che in seguito i magistrati non potranno più abrogarle, anche volendo. Si aggiunga a ciò quanto abbiamo dedotto sopra, nel capitolo XVIII, dalla storia degli Ebrei. E infine quanti scismi nella Chiesa derivarono per lo più da questo, che i magistrati vollero dirimere con le leggi le controversie dei dottori? Se gli uomini, infatti, non nutrissero la speranza di trarre dalla propria parte le leggi e la magistratura, e di trionfare dei propri avversari con il comune consenso del volgo, e di conseguire onori, giammai si accanirebbero gli uni contro gli altri, né un tale furore agiterebbe le loro menti. Oltre che dalla ragione, tutto ciò è insegnato dall’esperienza di tutti i giorni. Tutte le leggi di questo genere, con le quali da un lato si comanda a ciascuno ciò che deve credere e dall’altro gli si vieta di scrivere o di parlare contro questa o quell’opinione, sono state spesso introdotte per favorire, o piuttosto cedendo all’ira di coloro che non possono sopportare gli spiriti liberi e con la propria torva autorità possono facilmente mutare in rabbia la devozione del volgo, e scatenarla contro chi vogliono. Quanto meglio sarebbe, invece, frenare l’ira e il furore del volgo, piuttosto che promulgare leggi inutili, che non possono essere violate se non da coloro che coltivano le arti e la virtù, e ridurre lo Stato in tanta angustia da non poter sostenere gli uomini liberi? Qual peggior male può esservi per uno Stato, che quello di esiliare come malviventi uomini onesti soltanto perché professano opinioni non conformi, e non le sanno dissimulare? Che cosa è più pernicioso, dico, che il considerare come nemici e il mandare a morte questi uomini, non perché siano scellerati o delinquenti, ma soltanto perché sono di spirito liberale, e trasformare così il palco della morte, terrore dei malfattori, in un nobilissimo palcoscenico, sul quale si offre, ad onta e vergogna della sovrana maestà, un saggio sublime di tolleranza e di virtù? Giacché coloro che hanno coscienza della propria onestà non temono la morte come i malfattori, né hanno terrore del supplizio; e poiché il loro animo non è angustiato dal rimorso di alcun misfatto, anziché un supplizio, reputano una fine onorevole e gloriosa quella di morire per la giustizia e per la libertà. E quale esempio si può offrire con l’uccisione di questi uomini, il cui ideale, incompreso dagli spiriti fiacchi e inerti, e combattuto dai malvagi, è invece ammirato dagli onesti? Nessuno invero può prenderne esempio se non per imitarne la sorte, o almeno per esaltarla.” (Tractatus theologico-politicus, Capitolo XX).

Il libro viene proibito dallo Stadhouer olandese come opera “blasfema e nociva all’anima”. Uno sventurato che approva pubblicamente l’opera viene condannato ad otto anni di reclusione. Una batteria di scrittori malevoli demolisce lo scritto spinoziano. Il filosofo risponde col silenzio. Non si piega e sostiene con forza che un pensiero non smette di essere vero semplicemente perché non è riconosciuto dalla maggioranza. Soltanto l’Elettore palatino Karl Ludwig riconosce coraggiosamente il valore di Spinoza e lo invita ad accettare un posto di professore all’Università di Heidelberg. Malgrado gli venga concessa la massima libertà il filosofo rifiuta cortesemente per amore della tranquillità. Sofferente di tisi, muore in solitudine a soli 44 anni. Soltanto dopo la morte vengono pubblicate le opere più importanti: Tractatus de intellectus emendatione e l’Ethica more geometrico demonstrata. Scritti che testimoniano il coraggio e l’acume di questo uomo mite e geniale, lontano dalla vita quotidiana, nostalgico dell’Eterno, addolorato dalla finitezza umana. Parte dall’esperienza del dolore della contingenza umana e tende all’Amore eterno, Amor intellectualis erga Deum. Ecco perché Novalis dirà “ Spinoza è un uomo ebbro di Dio”.

Per Spinoza Dio è causa di tutto e di se stesso. Al contrario di Cartesio che arriva a Dio partendo dall’Io e si infila in un circolo vizioso, Spinoza ritiene che “noi non possiamo essere più certi dell’esistenza di alcuna cosa che non dell’esistenza dell’essere assolutamente infinito e perfetto, ossia Dio… causa prima di tutte le cose e al contempo causa di se stesso, dà a conoscere sé attraverso se stesso”. Perché allora tanto odio verso Spinoza, perseguitato da Ebrei e Cristiani? Perché il suo Dio non è creatore, perché il contingente è futile, è non essere. La verità è solo in Dio, nella nostalgia dell’Essere, dell’Uno. Il mondo fenomenico è soltanto un modo di come Dio esiste, e l’uomo non è che un modo in cui Dio stesso pensa. Dire che una cosa è non è corretto; si dovrebbe dire: nel modo in cui questa cosa mi appare, a me appare Dio, a me che sono un pensiero di Dio. Dio è tutto in tutto, presente in ogni cosa reale. Ogni cosa è compresa in Dio. Dio è la sola sostanza, le cose e gli uomini sono modi dell’unica sostanza. Il punto cruciale che gli costa l’odio è “Io sostengo infatti che Dio è la causa immanente… e non trascendente di tutte le cose”. Ecco lo sdegno e la scomunica, i tentativi di assassinio. Per Spinoza non esiste un Dio personale che si rivela in Gesù o nei Profeti. La rivelazione di Dio è in ogni frammento di realtà.

Ecco perché i romantici e gli idealisti tedeschi si sentono vicini a lui. Schelling più di altri, giacché il finito si risolve nell’infinito, il particolare nell’universale. L’infinita nostalgia di Dio allontana Spinoza dalla realtà, dal quotidiano, dal transeunte e lo porta in una solitudine dove la temporalità si dissolve nell’Eterno.

“Non piangere, non indignarti, comprendi“

Esempio difficile da seguire… purtroppo!

J.V.

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