RAN

Ran (lett. “Caos”) è un film del 1985 scritto e diretto da Akira Kurosawa, basato sulla tragedia di Shakespeare, Re Lear.

* Tatsuya Nakadai: Hidetora Ichimonji
* Shinnosuke “Peter” Ikehata: Kyoami, il buffone
* Jimpachi Nezu: Jiro Masatora Hichimonji
* Dainsuke Ryu: Saburo Naotora Hichimonji
* Masayuki Yui: Tango Hirayama
* Akira Terao: Taro Takatora Hichimonji
* Mieko Harada: Kaede
* Yoshiko Miyazaki: Suè
* Hisashi Igawa: Shuri Kurogane
* Kenji Kodama: Samon Shirane
* Toshiya Ito: Mondo Naganuma
* Kazuo Kato: Kageyu Ikoma
* Norio Matsui: Shumenosuke Ogura
* Takeshi Nomura: Tsurumaru
* Takeshi Kato: Koyata Hatakeyama
* Jun Tezaki: Seiji Ayabe
* Hitoshi Ueki: Nobuhiro Fujimaki

Credo sia il film più bello di Kuroshawa e sicuramente uno dei migliori film visti nella mia vita.
“Ran”, ovvero caos, follia di Akira Kurosawa è un tremendo atto d’accusa contro gli esseri umani, malvagi, cinici e incapaci di nutrire sentimenti di compassione per i loro simili. Kurosawa, nato a Tokyo nel 1910, nel 1970, deluso dalla vita, tenta il suicidio. Fortunatamente resta vivo. Cosi, nel 1985, il regista ci regala Ran, un capolavoro, forse il più grande film degli anni Ottanta. Si capisce sin dalla prima scena: quattro cavalieri giapponesi immobili sul punto più alto di una collina battuta da un forte vento, In sottofondo la musica meravigliosa di Toru Takemitsu. Poi, all’improvviso, inizia, velocissima, la caccia al cinghiale, frenetica, violenta, crudele. Ecco… dalla calma apparente al caos (Ran).
Scene sontuose, grandi battaglie, attori strepitosi, musica dolcissima e struggente. Shakespeare, Re Lear, Macbeth rivisti alla luce della storia feudale giapponese, Omero e la tragedia greca, grande cinema, cultura strepitosa, passione romantica, struggente dolore. Pur avendo presentato moltissimi film a studenti, docenti, amici e spettatori di ogni genere, nessuno mi ha coinvolto come Ran per la sua dolcezza struggente, il pathos, la consapevolezza del dolore che alberga nel mondo, il senso di disperazione assoluta. Castelli assediati, scontri di cavalleria, gelosia, donne spietate e vendicatrici (Kaede), bontà (Suè), figli ingrati (Taro e Hiro) e un figlio sincero (Saburo), un buffone irriverente (Kyoami) e su tutti il guerriero fedele e silente (Tango Hirayama).

Nel Giappone feudale del 1500 il signore potentissimo Hidetora Ichimonji, decide di dividere il suo grande feudo tra i tre figli Taro, Jiro e Saburo. Saburo, il minore, lo critica apertamente per la sua scelta folle e prevede l’imminente rovina. A causa dellla sua sincerità viene scacciato dal vecchio Hidetora e non valgono i consigli del fedele guerriero Tango, né del buffone di corte. Per sua volontà Hidetora è quindi spodestato: gli rimane un piccolo drappello di cavalieri, coi quali è ospite a turno presso i due figli maggiori. Nel castello di Taro viene maltrattato e cacciato. Stessa sorte gli viene riservata nel secondo castello. Non basta: temendo che Hidetora voglia riprendere il potere, Taro e Jiro, decidono di eliminarlo e attaccano la fortezza paterna. Tutti gli uomini del vecchio signore vengono sterminati con le armi da fuoco. Hidetora impazzisce e sopravvive miracolosamente, emergendo dalle rovine come un’immagine spettrale. Al culmine della battaglia, il primogenito Taro viene ucciso a tradimento per ordine di Jiro. Al rientro al castello di Taro, Jiro viene sedotto dalla vedova di quest’ultimo, Kaede, una lady Macbeth terribile, figlia di un nobile ucciso in passato da Hidetora. Kaede, ben contenta della morte del marito, seduce Jiro e intende condurre alla rovina tutta la famiglia Hichimonji per vendetta. Divenuta l’amante di Jiro, inizia a manovrarlo a suo piacere, convincendolo anche a uccidere sua moglie Suè. Suè riesce a fuggire. Intanto Hidetora, accompagnato dal buffone e dal fedele Tango, si rifugia in una misera capanna dove incontra un suonatore di flauto cieco, Tsurumaru, fratello di Suè, figli di un altro nobile sconfitto da Hidetora. Proprio Hidetora aveva cavato gli occhi al giovane Tsurumaru affinché non potesse cercare vendetta. L’incontro con la vittima della sua ferocia è terribile. Il vecchio non regge e fugge ancora precipitando sempre più nella follia. Il terzogenito Saburo – che aveva trovato riparo presso Fujimaki, un nobile confinante – torna con un esercito alla ricerca del padre. Jiro lo lascia inizialmente passare nel suo territorio, poi, terrorizzato dall’arrivo delle truppe di Fujimaki e spinto dai terribili consigli consigli di Kaede, decide di dare battaglia. Saburo si riconcilia finalmente col padre e riesce a farlo rinsavire, ma, quando il vecchio Hidetora pensa di aver trovato la pace interiore, Saburo viene ucciso da un colpo di archibugio degli uomini di Jiro che stanno battendo in ritirata. Il vecchio Hidetora muore di dolore. Rassegnato, Tango si rivolge con queste parole al buffone che piange la morte del suo signore:
« Non bestemmiare contro Buddha e gli dei. Sono loro che piangono per i delitti che gli uomini compiono per la loro stupidità, perché credono che la loro sopravvivenza dipenda dall’assassinio degli altri ripetuto all’infinito. Non piangere, il mondo è fatto così. Gli uomini cercano il dolore, non la gioia. Preferiscono la sofferenza alla pace. Guardali, questi stupidi esseri umani, che si battono per il dolore, si esaltano per la sofferenza e si compiacciono dell’assassinio! »
Suè rintraccia il fratello Tsurumaru e fugge con lui dai sicari di Kaede. Purtroppo torna indietro alla ricerca del flauto che il fratello aveva perduto nella fuga. Viene raggiunta e uccisa dai sicari. Il film si chiude col povero cieco Tsurumaro solo e abbandonato sull’orlo dell’abisso.

Pensavo di aver compreso meglio il dolore dell’esistenza dopo aver visto Ran. Oggi, vivendo personalmente una tragedia e sperimentando la malvagità di alcuni esseri umani – perché tali sono – credo che a maggior ragione si debba stare dalla parte di Soburo, Suè e Tsurumaro. Sopravvivo perché ho vissuto come Tango e, malgrado sia votato alla sconfitta, non abbandono chi possiede meno forza per combattere. Non provo comunque odio per nessuno… disprezzo per alcuni… sì.

Ma badate bene, cittadini, che non sia questa la cosa più difficile, ossia sfuggire alla morte, ma che molto più difficile sia sfuggire alla malvagità. Infatti, la malvagità corre molto più veloce della morte.
(Socrate)

J.V.

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