Platone, Lettera VII (Epistole z’)

Platone, Lettera VII (Epistole z’) Indirizzata agli amici e ai familiari di Dione, Signore di Siracusa e amico di Platone. Il filosofo settantatreenne (354/3 a.C.) viene a sapere che Dione è stato assassinato e ricostruisce il suo rapporto sofferto con la politica, quella politica che in passato aveva sognato di poter realizzare proprio col Signore di Siracusa. Delusione a partire dai Trenta Tiranni sino alla morte di Socrate e poi al banco di prova siracusano. Incredibile significato filosofico. Importanti studi di G. Reale e della scuola di Tubinga. Sviluppa la tesi già enunciata nel Fedro sulle dottrine non scritte. ” su queste cose non c’è un mio scritto né ci sarà mai (oukoun emon ge peri auton estin syngramma oude mepote genetai” (341 b).

Come si diviene politici. Nessuna persona seria, filosofo-politico, affida le cose più importanti allo scritto ma le tiene per sé, nella propria anima.“Perciò, chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all’odio e all’ignoranza degli uomini. Da tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti d’altro genere, se l’autore è davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose piú serie, perché queste egli le serba riposte nella parte piú bella che ha; mentre, se egli mette per iscritto proprio quello che ritiene il suo pensiero piú profondo, “allora, sicuramente”; non certo gli dèi, ma i mortali “gli hanno tolto il senno”. (344 a-d)

Lentezza della preparazione filosofico-politica. Gli stupidi pensano di sapere molte cose e si improvvisano politici, mancando di umiltà, decenza, pudore e senso del ridicolo. Soltanto lo studio attento, rigoroso, lento e costante, lungo e sofferto conduce al sapere politico. Platone è consapevole del rischio che il filosofo corre nel momento in cui decide di agire politicamente.“Vedendo questo, e osservando gli uomini che allora si dedicavano alla vita politica, e le leggi e i costumi, quanto più li esaminavo ed avanzavo nell’età, tanto più mi sembrava che fosse difficile partecipare all’amministrazione dello Stato, restando onesto. Non era possibile far nulla senza amici e compagni fidati, e d’altra parte era difficile trovarne tra i cittadini di quel tempo, perché i costumi e gli usi dei nostri padri erano scomparsi dalla città, e impossibile era anche trovarne di nuovi con facilità. Le leggi e i costumi si corrompevano e si dissolvevano straordinariamente, sicché io, che una volta desideravo moltissimo di partecipare alla vita pubblica, osservando queste cose e vedendo che tutto era completamente sconvolto, finii per sbigottirmene. Continuavo, sì, ad osservare se ci potesse essere un miglioramento, e soprattutto se potesse migliorare il governo dello stato, ma, per agire, aspettavo sempre il momento opportuno, finché alla fine m’accorsi che tutte le città erano mal governate, perché le loro leggi non potevano essere sanate senza una meravigliosa preparazione congiunta con una buona fortuna, e fui costretto a dire che solo la retta filosofia rende possibile di vedere la giustizia negli affari pubblici e in quelli privati, e a lodare solo essa. Vidi dunque che mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero pervenuti uomini veramente e schiettamente filosofi, o i capi politici delle città non fossero divenuti, per qualche sorte divina, veri filosofi.” (Platone, Lettera VII, 324b-326b)

Lettera VII fondamentale per capire che Platone colloca le Dottrine non scritte al di sopra della Dottrina delle Idee, con tutte le conseguenze per la Storia del mondo occidentale che rampollano da questa constatazione. Aristotele stesso, uno dei più intimi di Platone, testimonia ciò. Soprattutto fondamentale per comprendere come una somma preparazione culturale sia condizione necessaria ma non sufficiente per l’agire politico. 

J.V.

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