Parte seconda. Wallenstein, il grande imprenditore della Guerra

Parte seconda. Wallenstein, il grande imprenditore della Guerra

“Nell’anno del Signore 1595, di venerdì, il giorno di San Matteo, moriva l’illustrissimo Vilim senior von Valdštejn, Signore di Hermanitz, e qui riposa il suo corpo fino al giorno della sua gloriosa resurrezione”.

Così recita questa scritta alla base della statua di un cavaliere con pizzo e baffi che impugna una spada. Spada che per altro non usò mai nel corso della sua vita. Si trova a Hermanitz, in Boemia, nella chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena penitente. Poco vicino alla prima si trova la statua di una donna che tiene in mano un libro di preghiere. L’iscrizione ai suoi piedi recita “nell’anno del Signore 1593, moriva l’illustrissima Markyta von Smiřice, sposa dell’illustrissimo Vilim senior von Valdštejn e Signore di Hermanitz, e qui riposa il suo corpo fino al giorno della sua gloriosa resurrezione”. I due monumenti sono edificati su ordine del diciannovenne Albrecht Wenzel Eusebius von Valdštejn (da questo momento lo scriveremo alla tedesca Wallenstein), unico erede maschio dei defunti. È l’anno 1602 e Albrecht Ritorna dall’Italia, esattamente da Padova, dove ha studiato politica e astrologia, scienza che avrà un ruolo decisivo nella sua vita. Le uniche due sorelle sopravvissute, Maria Buhumila e Katharina Anna, vivono con la zia, la nobile Jitka von Valdštejn. Il giovane Albrecht è imparentato con quasi tutte le nobili famiglie boeme: Slawata, Zierotin, Lobkovicz. Da bambino, dopo la morte dei genitori, era stato fortunatamente allevato dallo zio Heinrich Slawata z Košumberka, uomo intelligente e generoso. Sarà proprio in casa di questo zio che conoscerà il Wilhelm von Slawata defenestrato dal castello di Praga. I rapporti tra i due saranno sempre pessimi a causa della gelosia e dell’invidia di Wilhelm nei confronti del più giovane parente; per denigrarlo fa circolare la voce che nutra scarso entusiasmo religioso; effettivamente per il giovane Albrecht i veri nemici della cristianità sono i turchi. A lui non interessano molto le dispute tra hussiti e cattolici; il nemico è rappresentato dalla Porta e contro la Porta occorre unire le forze. Rimane a Košumberka due anni poi si reca a Goldberg, in Slesia, a scuola di latino, accompagnato da un precettore e un servitore. Nell’agosto 1599 lascia Goldberg a causa dell’epidemia di peste e si iscrive alla fine del mese all’accademia di Altdorf. E’ uno studente rissoso e ribelle, iracondo e manesco. Alterna momenti di profonda riflessione a scoppi d’ira terribili e improvvisi. Due anni dopo si reca in Italia e studia a Padova. Nell’anno 1602, ormai maggiorenne, ritorna in Boemia e fa costruire i due monumenti funebri. Nel 1604 il giovane orfano è padrone del proprio destino e, caso più unico che raro tra i nobili giovani boemi, parte volontario per la guerra contro i turchi. Agli inizi di luglio del 1604 la fanteria boema si mette in marcia verso il Danubio, seguita dalla cavalleria comandata dal conte Jindřich Matyáš z Thurn. Il generale comandante è Georg Basta; il suo vice il brabantino Johann Tserclaes conte di Tilly. Il giovane Albrecht conosce così quelli che diventeranno protagonisti della guerra dei Trent’anni. Conosce per la prima volta la guerra, non la guerra di alto livello degli spagnoli e degli olandesi, ma comunque la guerra con le sue miserie, le malattie, il freddo, la devastazione dei Paesi distrutti, gli stupri e tutto il corredo di nequizie che essa comporta. Dopo sei mesi di guerra viene ormai considerato un abile ufficiale. Nell’agosto 1604 la sorella di Wallenstein, Katharina Anna, sposa Karel ze Žerotína, Signore di Námešt e di Rosicze. Questo potente Signore, rimasto subito vedovo, sarà una presenza decisiva per il giovane Albrecht. Žerotín è un politico portato ad intelligenti compromessi, fautore di una oligarchia aristocratica, dallo stile di vita elevato e rigoroso. Nel giovane Wallenstein scatta certamente una honesta aemulatio. Risale al 1606 la scelta cattolica di Wallenstein, non tanto per un divino tormento quanto per scelta esistenziale: il credo romano è meno esigente della stretta osservanza evangelica ed in definitiva è sufficiente un’adesione formale. Inoltre il giovane Albrecht subisce l’intelligente influenza del gesuita Padre Veit Pachta. Comunque per tutta la vita Wallenstein rimarrà un cattolico fedele e praticante e manterrà ottimi rapporti con i gesuiti. E’ ambizioso e il suo legame con Padre Veit si basa proprio su questo sentimento. Aggiungiamo un elemento fondamentale del suo carattere: il disprezzo e l’odio per qualsiasi tipo di ribellione, cosa che lo allontana da ogni forma di eresia rispetto al credo romano. Žerotín perdona al cognato il cattolicesimo e grazie alla sua visione pessimistico-stoica del mondo lo comprende e lo aiuta, al punto di scrivere alla corte di Vienna alcune lettere di presentazione che mettono in luce le virtù guerriere del giovane. Albrecht ottiene così la carica di tesoriere e si conquista la benevolenza del Vescovo Khlesl e del barone Karl von Harrach, importanti personaggi legati all’arciduca Ferdinando e futuro imperatore. Nel 1608 decide di farsi fare l’oroscopo e si rivolge a Giovanni Keplero, matematico di Sua Maestà Romana Imperiale Rodolfo II. Non deve stupire che un grande astronomo come Keplero sia anche astrologo esperto di oroscopi, così come non deve stupire la difesa che lo stesso Keplero eserciterà in Tribunale nei confronti della madre accusata di stregoneria. Del resto uno dei più grandi pensatori politici del Cinquecento, Jean Bodin, nella sua carica di importante magistrato, fu Pubblico Ministero in molti processi per stregoneria. Al tempo della nascente ragione cartesiana era normale che il controaltare di questa fosse il retaggio dell’antica cultura: magia bianca e magia nera, oroscopi e pietre filosofali; come dirà Koyré: “si passa dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”.

Ecco l’oroscopo di Wallenstein scritto da Keplero: “…Questo Signore ha indole sveglia, attiva, solerte, inquieta, avida di ogni sorta di novità, non si contenta della natura e dell’agire comune ma cerca vie nuove intentate o singolari, ha in sé assai più di quanto non lasci vedere o immaginare…Sarà dotato di forte personalità: spietato, incapace di amore fraterno o coniugale, senza rispetto per nessuno, devoto solo a se stesso e ai suoi piaceri, duro con i suoi sudditi, egoista, avaro, impostore, instabile nel comportamento, per lo più taciturno, spesso violento e anche litigioso, coraggioso, di natura maschile e femminile insieme, benché Saturno alteri l’immaginazione, cosicché spesso avrà inutili paure. Ma l’elemento più positivo di questa nascita è l’esser posto sotto Giove e possiamo quindi sperare che con l’età matura la maggior parte dei difetti si esauriscano e che questa straordinaria natura si pieghi a realizzazioni nobili e importanti.”. Keplero scrive ancora che l’oroscopo in questione è simile a quello della Regina Elisabetta di Inghilterra e inoltre gli predice il matrimonio con una ricca vedova. Cosa che avverrà puntualmente nel maggio 1609 grazie alla mediazione del Padre Veit Pachta. E’ proprio il Padre a metterlo in contatto con una nobildonna vedova e ricchissima, Lucrezia, figlia di Sigmund Nekeš von Landek, vedova di Arkleb von Vickov. Lucrezia nomina il marito comproprietario del suo immenso patrimonio. Adesso Wallenstein è uno dei più ricchi nobili boemi. In realtà non si può definire un patriota boemo; è anzi tra coloro che si arricchiranno in misura maggiore nello sfruttamento della povera e sciagurata Boemia. Il matrimonio dura appena cinque anni dal momento che nel 1614 muore Lucrezia. Rimane vedovo per nove anni. In questo periodo i Gesuiti saranno beneficiari della sua interessata generosità. Entra definitivamente nelle grazie di Ferdinando di Stiria quando nel 1617 partecipa alla guerra contro Venezia mettendo in campo a sue spese 180 corazzieri e 80 moschettieri. Dimostra capacità di comando e di azione, è valoroso e coraggioso. La guerra per Gradisca si conclude l’anno dopo e verso dicembre Wallenstein torna in patria dopo aver incassato la riconoscenza di Ferdinando. Alla pari del primo matrimonio anche Gradisca è una delle basi della fortuna di Wallenstein. Quanto avviene il 23 maggio del 1618 – la defenestrazione di Praga – suscita in lui disprezzo e sfiducia. Odia qualsiasi forma di ribellione ed è ormai completamente legato a Ferdinando. In ottobre si reca a Vienna con 40.000 fiorini da offrire alla causa cattolica e in qualità di colonnello imperiale comanda 1.000 corazzieri. Alla fine di marzo del 1619 viene messo nero su bianco: il colonnello Wallenstein è un potente e facoltoso imprenditore della guerra. Grazie ai servigi resi all’ormai imperatore Ferdinando II, il 21 giugno 1621 ottiene la signoria di Friedland, una sorta di “paradiso boemo”. In quello stesso giorno a Praga vengono giustiziati 27 dei quaranta rei di alto tradimento. Il terribile spettacolo dura quattro ore e mezza dal momento che si può contare su un solo boia. L’ordine pubblico viene garantito da un reggimento di fanteria del colonnello Von Wallenstein. Dodici teste di giustiziati vengono inchiodate sulla torre del ponte nella città vecchia. Resteranno lì per dieci anni a monito di qualsiasi ribelle. E’ solo l’inizio: per la Boemia si apre una strada di spoliazioni, punizioni, espulsioni e repressioni di ogni genere. Per Wallenstein si apre la strada del grande potere internazionale. Il 17 gennaio 1622 l’Imperatore lo nomina colonnello di Praga e di fatto governatore della Boemia. Insieme al grande finanziere Hans De Witte costruisce una società che frutterà centinaia di milioni di fiorini e aumenterà considerevolmente le sue proprietà terriere. Non siamo di fronte ad un semplice proprietario ma ad un principe che ottiene anche il titolo, ben più prestigioso, di Duca di Friedland. La dignità ducale è superiore a quella principesca perché nell’Impero ogni Duca è anche Principe ma ogni Principe non è necessariamente Duca. Il Friedland è un ducato, legittimato nel gennaio 1627. Il potentissimo Duca ha una corte di novecento persone e il Friedland è una enorme macchina produttiva a fini militari: abiti, birra, armi, tutto ciò che serve per una campagna militare viene prodotto nelle fabbriche del Duca. Tanta ricchezza e potenza suscita profonda invidia, tanto che il motto di Wallenstein è invita invidia (a dispetto dell’invidia). Espropri, confische, pagamento di interessi da usuraio fanno di Wallenstein l’uomo più potente della sua terra a spese di quella stessa terra. Sarebbe interessante una comparazione, al modo di Plutarco, tra la vita del Duca e quella di Jan Amos Komenskẏ (Comenio), umanista, pedagogo e grande accusatore degli orrori della guerra. Comenio, simpatizzante dei Fratelli Boemi, dopo la Montagna Bianca, viene nascosto e protetto da Zerotin. Mentre il Duca succhia il sangue boemo, Comenio cerca disperatamente di salvare il salvabile e di portare una parola di umanità e speranza in un mondo di orrore e terrore. Nell’ inverno 1622 – ’23 Wallenstein è addirittura in grado di concedere all’Imperatore un prestito così imponente da convincere lo stesso Ferdinando che mai in futuro avrebbe potuto ripagarlo se non sostituendo al denaro un potere sempre maggiore per il suo creditore. Ad un tale signore, un vero e prorio magnate, occorre una moglie e così la scelta cade sulla bella, giovane, intelligente e ricchissima Isabella von Harrach, figlia del Barone Karl Leonhart, uomo autorevolissimo e tenuto in enorme considerazione dall’imperatore stesso. Inoltre gli Harrach – e da questo momento Wallenstein – sono legati al principe von Eggenberg, presidente del consiglio segreto dell’imperatore.

L’anno 1624 si apre con un generale arresto delle operazioni di guerra contro gli Asburgo. E’ una tregua momentanea perché in Francia i Ministri del Re hanno capovolto la loro politica filo spagnola e in tutta Europa si teme lo strapotere Ispano-Imperiale. I nemici degli Asburgo vogliono colpire la Valtellina, arteria vitale per il passaggio delle truppe e del denaro spagnolo dall’Italia all’Austria. Gli spagnoli erano già intervenuti in Valtellina nel 1620 dopo la sanguinosa rivolta dei Valtellinesi contro i Grigioni, assicurandosi così il controllo dell’importantissimo Passo alpino. Nel 1623 la Francia aveva firmato un trattato con Venezia e la Savoia per riconquistare la Valle. Lo stesso Papa Gregorio XV preoccupato da una possibile estensione della guerra all’Italia inviò truppe pontificie per prendere possesso delle piazze fortificate. Parigi aveva accettato questa soluzione, con la clausola che il sequestro terminasse entro quattro mesi, alla fine dei quali i forti dovevano essere spianati. Gregorio XV muore però nel 1623 e gli succede Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini. Il nuovo Papa, avversario della preponderanza asburgica, non riesce a sganciarsi dalla pressione spagnola e non richiama le truppe per cui a tutti gli effetti la Valtellina rimane sotto il controllo spagnolo. Altri due eventi mutano il quadro internazionale: il primo, dopo il fallimento del matrimonio spagnolo tra l’infanta e l’erede inglese, i negoziati per il matrimonio tra lo stesso Principe di Galles Carlo ed Enrichetta Maria, sorella di Luigi XIII. Il secondo è decisivo: il Cardinale Richelieu nell’agosto 1624 diviene primo ministro. Richelieu è un cattolico devoto ma nutre la precisa convinzione che occorra distruggere lo strapotere asburgico e per ottenere questo scopo è disposto ad allearsi con chiunque, anche con i protestanti, consapevole che Roma avrebbe compreso questa politica, perché “a Roma, più che in qualsiasi altro luogo al mondo, si giudicano gli affari politici tanto secondo criteri di potenza e di interesse quanto in base a considerazioni ecclesiastiche”. Pertanto attira in una coalizione antiasburgica, grazie ad una fitta rete di ambasciatori, Danimarca, Svezia, Repubblica veneta e vari principi tedeschi. La Francia, nella mente di Richelieu, deve sostituire la Spagna nell’alleanza con l’Inghilterra; a Luigi XIII interessa l’Italia (la Valtellina), a Giacomo I la Germania (il Palatinato per sua figlia Elisabetta). La morte dello stesso Giacomo I nel 1625, la politica sciagurata di Buckingham, le astuzie spagnole frenano per il momento l’efficacia della coalizione. A questo punto solo Gustavo Adolfo di Svezia e il Re di Danimarca possono riprendere la guerra atteggiandosi a salvatori della Germania protestante. Il primo è un genio che ha organizzato un imponente esercito nazionale, il secondo un dilettante di talento che dispone di un esercito mercenario. Vedendo che Cristiano di Danimarca non accetta il suo comando supremo, il Re svedese si chiama fuori e riprende la guerra cronica con la Polonia. Intanto una pericolosa rivolta ugonotta in Francia costringe Richelieu a ritirare gli eserciti dalla Valtellina e così con il trattato di Monzón nel maggio 1626 riapre la valle alla Spagna. Mentre scemano le speranze di Cristiano IV, le forze dell’imperatore crescono sempre di più soprattutto perché può contare adesso sull’imponente e ben equipaggiato esercito reclutato da Wallenstein, Principe di Friedland e Duca dell’impero, primo creditore di Ferdinando II e grande appaltatore dell’impresa bellica. Nella primavera del 1625, grazie alla società con il banchiere internazionale Hans De Witte, Wallenstein è in grado di mettere in campo un esercito di ventimila uomini, ben pagato e ben nutrito. Il 28 luglio 1625 il conte Tilly passa il Weser: è l’inizio della guerra danese. Ai primi di settembre Wallenstein fa avanzare il suo esercito in direzione di Magdeburgo e il 25 aprile 1626 batte Mansfeld al ponte di Dessau e lo insegue lasciando otto reggimenti per rinforzare Tilly. Precauzione lungimirante perché grazie a questi rinforzi il conte Tilly, dopo aver intercettato Cristiano di Danimarca a Lutter il 27 agosto, sbaraglia l’esercito danese. Nel momento della gloria di Tilly a Lutter, Wallenstein perde metà degli effettivi per fame e diserzione nelle lontane terre ungheresi, in una sfibrante guerriglia contro Mansfeld e il suo alleato Bethlen Gábor. L’obbiettivo principale viene comunque raggiunto: la fine di Mansfeld che muore, stremato dalle operazioni belliche, il 25 novembre presso Sarajevo. Inoltre Wallenstein distrugge ciò che resta delle truppe di Mansfeld in Svevia lasciando così completamente isolato Cristiano di Danimarca, la cui posizione dopo Lutter è disperata. Il 26 settembre le forze congiunte di Tilly e Wallenstein distruggono l’esercito comandato dal margravio di Baden-Durlach a Heiligenhagen. Cristiano si rifugia nello Holstein conservando soltanto i suoi possedimenti insulari e tre città fortificate sulla terra ferma. Sull’onda della vittoria Wallenstein pensa alla grande crociata contro i turchi, ma il suo desiderio viene frenato da un obbiettivo immediato e più pratico: il controllo dei mari nordici, leit-motiv del conte-duca Olivares sin dal 1624 e tornato di attualità dopo la sconfitta del danese. Wallenstein occupa il Meclemburgo e la Pomerania e nell’aprile 1628 aggiunge ai suoi titoli quello di generale del Mare Del Nord e del Baltico. La presenza di Wallenstein nel Mare Del Nord mette in apprensione il Re di Svezia. Diventa decisiva la città di Stralsunda, strategica per il controllo dell’intera costa della Pomerania. Gustavo Adolfo mette da parte l’antica rivalità con la Danimarca e l’8 maggio 1628 firma un’alleanza di tre anni con Cristiano IV. Il generale Arnim, per conto di Wallenstein, inizia immediatamente l’assedio di Stralsunda. Vista la strenua resistenza della città, nel luglio Wallenstein in persona prende la direzione dell’assedio, giurando che l’avrebbe conquistata:”anche se fosse stata incatenata al cielo”. Non le catene celesti, ma la mancanza di una flotta e l’arrivo delle truppe straniere salvano la città che viene posta sotto il comando di Alexandre Leslie, scozzese al soldo degli svedesi e futuro protagonista della prima guerra civile inglese. Il 12 settembre 1628 Stralsunda diviene la prima alleata tedesca di Gustavo Adolfo, ormai convinto della necessità della guerra svedese in Germania. Cristiano di Danimarca compie un ultimo disperato tentativo di far girare le sorti della guerra a suo favore: sbarca sulle coste della Pomerania, conquista Wolgast e si prepara ad invadere il Meclemburgo. Wallenstein marcia contro di lui e il 2 settembre distrugge definitivamente l’esercito danese. Malgrado i tentativi di Gustavo Adolfo di trattenerlo nel rispetto dell’alleanza appena conclusa, Cristiano firma la pace di Lubecca il 7 giugno 1629, rinunziando ad ogni pretesa sui vescovadi tedeschi per i quali era, in teoria, entrato in guerra. Incoraggiato nel suo ardore cattolico dal confessore gesuita Lamormaini e forte delle vittorie del suo generale, Ferdinando II il 6 marzo 1629 emana l’Editto di Restituzione in base al quale tutte le proprietà ecclesiastiche passate in mano ai protestanti dovevano essere restituite alla chiesa cattolica per opera di appositi commissari imperiali vincolati ad attenersi ad un’unica questione: se i beni ecclesiastici fossero entrati in possesso dei protestanti prima o dopo l’anno normale 1552 (trattato di Passau). Non erano ammessi ricorsi di alcun genere alle loro decisioni. Veniva approvata inoltre l’espulsione dei protestanti dai domini di principi cattolici, e soltanto i luterani ottenevano riconoscimento legale. Tutto ciò equivaleva all’esclusione dei calvinisti. L’editto rivoluziona i territori della Germania settentrionale: trenta città imperiali, cento conventi, cinque vescovadi e migliaia di parrocchie vengono recuperate alla chiesa romana. Decine di migliaia di protestanti vengono espulsi o costretti alla conversione forzata dai loro nuovi signori. L’editto si risolve però in un grave vulnus per l’imperatore e per il partito cattolico dal momento che Urbano VIII esige che i commissari imperiali vengano sostituiti da propri rappresentanti. Inizia la lotta per le spoglie della conquista e, soprattutto, si apre una frattura insanabile tra i principi della Lega cattolica, capeggiata da Massimiliano di Baviera, e l’imperatore. Tutti i principi tedeschi, protestanti e cattolici, vedono nell’editto una minaccia al loro potere ed un accrescimento dell’assolutismo di Ferdinando. Altrettanto indigesto quanto l’editto e forte elemento di divisione del fronte imperiale è l’odio dei principi nei confronti di Wallenstein. La grande nobiltà di Praga e di Vienna un tempo gl’invidiava le ricchezze e il rango; ora i principi tedeschi, oltre alla gelosia, sono terrorizzati dal titolo di Duca di Meclemburgo in sostituzione dell’espulsa dinastia locale assegnato al Principe di Friedland dall’imperatore. Ciò significa che l’imperatore ha potere assoluto nei confronti dei grandi dell’impero se un semplice nobile boemo può raccogliere nella sua persona un tale potere e una così ricca messe di titoli nobiliari. L’esercito di Wallenstein che ormai supera i centomila uomini e i conseguenti tributi che i principi devono pagare accrescono il terrore e l’odio. Calunnie e voci malevole iniziano a circolare contro il generale; addirittura si dice che voglia sostituirsi allo stesso imperatore. Intanto grazie alla caduta di La Rochelle nell’ottobre1628, Richelieu può riprendere la campagna anti asburgica. Nel gennaio 1629 il Cardinale presenta un memorandum a Luigi XIII dove spiega al sovrano che l’obbiettivo è arrestare l’ascesa della Spagna. L’occasione si presenta in Italia, dove il Duca di Mantova e del Monferrato Vincenzo II Gonzaga, era morto nel dicembre 1627 senza eredi diretti. Luigi XIII e Venezia sostengono i diritti di Carlo di Nevers, mentre la Spagna e il Savoia appoggiano un altro ramo della famiglia Gonzaga. La posta in gioco, di notevole importanza strategica, sono le piazzeforti di Casale e di Mantova. Senza dichiarare guerra alla Spagna Luigi XIII valica le Alpi nel marzo 1629 e sbaraglia un esercito savoiardo. Nell’estate dello stesso anno una parte dell’esercito di Wallenstein, al comando di Collalto, scende attraverso la Valtellina e pone l’assedio a Mantova, mentre Ambrogio Spinola attacca Casale. Nel corso dell’inverno, quando a causa del clima rigido le operazioni militari sono solitamente ferme, un esercito francese, guidato da Richelieu in persona, passa le Alpi e nel marzo 1630 conquista la Fortezza di Pinerolo. A luglio tutta la Savoia cade in mano a luigi XIII. Con la questione di Mantova Richelieu infligge il primo irreversibile scacco alla potenza asburgica dagli inizi della Guerra dei Trent’anni. Inoltre nel giugno del 1630 la Francia e le Provincie Unite stringono un’alleanza settennale basata su un sussidio annuo di un milione di livres. Gli olandesi ripagheranno con le loro vittorie la generosità di Richelieu. Il 6 luglio 1630 Gustavo Adolfo sbarca a Usedom in Pomerania. Nel momento di massimo pericolo per l’impero, Ferdinando II, accogliendo le proteste contro il suo generale e forse geloso egli stesso, licenzia Wallestein il 13 agosto 1630. Wallestein si ritira nei suoi feudi con la sicurezza che tra poco verrà richiamato. In una notte di settembre Hans De Witte si suicida dopo un decennio di collaborazione col Duca. Ferdinando II fa sapere di essere scosso dal suicidio mentre Wallenstein pensa soltanto a mettere le mani sull’eredità prima che la massa dei truffati dalla coppia reclamasse rimborsi di varia natura. In questa circostanza la durezza del Duca è pari al tentativo di sganciarsi da eventuali scandali… ma un morto non può parlare e gli si possono addossare tutte le colpe eventuali. Da questo momento Wallenstein ha un solo pensiero in mente: vendicarsi dell’affronto subìto a causa del licenziamento, restare nell’ombra e attendere la sicura chiamata nel momento del pericolo. È cosciente che il duello con Gustavo Adolfo è solo questione di tempo. L’esilio dura un anno e quattro mesi ma in questo periodo la corte di Friedland pullula di ambasciatori stranieri, corrieri da tutta Europa, ufficiali imperiali come Aldringen, Gallas, Piccolomini, Pappenheim che reclamano il ritorno del Duca. Goffried Heinrich von Pappenheim viene nominato maresciallo dell’Impero su raccomandazione di Wallenstein; un guerriero dotato di eccezionale visione teorica, sincero ammiratore del Duca e critico verso la politica attendentista di Tilly. Pappenheim è convinto che il Re di Svezia ha coraggio e forza da vendere. Dopo la scomparsa di Mansfeld, di Cristiano il matto e degli altri comprimari dei primi dodici anni di guerra, ora bisognava vedersela con un uomo geniale e guerriero formidabile, a capo di un esercito nazionale ben organizzato. Gustavo Adolfo, nei due anni che corrono tra Usedom e Lützen, rovescia il corso della guerra e della storia d’Europa; in collaborazione col fido e abile Axel Oxenstierna, salva il protestantesimo tedesco e trasforma la Svezia in una grande potenza. Giudica intollerabile la vigliaccheria dei principi tedeschi nella prima fase della guerra. Dopo il fallimento dell’alleanza protestante del 1624 riprende la guerra con la Polonia in quanto la considera roccaforte del partito cattolico. Con la sconfitta di Cristiano di Danimarca e l’egemonia cattolica in Europa per Gustavo Adolfo vengono a coincidere le sue due idee di fondo: la sicurezza svedese e la difesa del protestantesimo. Al comando di soli 14.000 uomini e con la città di Stralsunda come unica alleata – per il momento – conquista la Pomerania approfittando della cattiva distribuzione sul territorio europeo del ben più imponente esercito – 55.000 uomini – degli imperiali. L’importante città di Magdeburgo si schiera con la Svezia e il Re invia uno dei suoi più brillanti ufficiali a difenderla: Dietrich von Falkenberg. Il giorno di Natale del 1630 Gustavo Adolfo batte gli imperiali a Greifenhagen e insegue il nemico nel Brandeburgo. Poi si stabilisce a Bärwalde da dove inizia a negoziare alleanze con la Francia, cosa che porterà al famoso trattato quinquennale con Richelieu. Il Re ottiene 400.000 reichsgulden l’anno per le spese di guerra e riporta una vittoria politica perché costringe il Cardinale ad entrare direttamente nell’alleanza con un paese protestante. La politica nazionale per Richelieu sostituisce quella religiosa. Purtroppo per Gustavo non arrivano buone notizie da Magdeburgo assediata dal conte Pappenheim; cosciente dell’immensa posta in gioco il Re invia aiuti agli assediati ma questi giungono troppo tardi. La città cade il 20 maggio 1631 e viene distrutta senza pietà; 20.000 abitanti vengono trucidati, stupri, saccheggi, incendi si susseguono senza sosta e ogni forma di tortura viene esercitata sull’infelice popolazione. La distruzione di Magdeburgo è la più grave tragedia della guerra e ha ripercussioni politiche significative perché spinge alcuni principi tedeschi a stringere alleanza con lo svedese e rovina la reputazione del conte Tilly a causa delle atrocità commesse dalle sue truppe. Il conte in realtà non riuscì a fermare una spirale di violenza inaudita e carica di odio verso i difensori della città. Nel clima di violenza indicibile della guerra l’episodio di Magdeburgo acquista un significato simbolico e di lotta senza quartiere contro gli imperiali. Il 15 settembre forze svedesi e sassoni si riuniscono a Düben, nei prezzi di Lipsia. Gustavo Adolfo e il suo alleato Giovanni Giorgio di Sassonia decidono per lo scontro frontale con l’armata di Tilly e il 17 settembre a Breitenfeld i due eserciti si affrontano in una battaglia che tutti reputano inevitabile. Le 18.000 reclute di Giovanni Giorgio e i 20.000 fanti svedesi si muovono la mattina presto, seguite da 7.500 cavalieri con Gustavo Adolfo in testa. I Bavaro-imperiali di Tilly superano le 40.000 unità e hanno il vantaggio di avere Lipsia, il sole e il vento alle spalle; in gran parte sono soldati di Wallenstein assai esperti nella guerra. La cavalleria imperiale è schierata con l’ala destra sotto il comando di Fürsenburg, e l’ala sinistra al comando di Pappenheim. Per ore vi sono scambi di artiglieria e si capisce subito che quella svedese è superiore per volume di fuoco e mobilità. Il cannoneggiamento viene interrotto da Pappenheim che lancia la sua cavalleria sul nemico allontanandosi però dal centro del suo fronte e viene sopraffatto dalla furia di Gustavo Adolfo che guida personalmente le cariche veloci degli svedesi. Tilly mette in rotta i sassoni inesperti ma viene assalito al centro dalle mobili brigate svedesi: l’imponente ma lento schieramento delle “fortezze di marcia” di Tilly viene fatto a pezzi dal preciso e terribile fuoco dei moschettieri svedesi, addestrati in modo sontuoso. La cavalleria del Re completa il lavoro. Al calar della sera il gigante imperiale è duramente sconfitto malgrado la pessima figura delle reclute di Giovanni Giorgio. Il vincitore è il Re delle nevi, il Leone del Nord; è lui che umilia gli imperiali e mette fine al mito della loro invincibilità. Tilly, ferito, fugge al di là del Weser, lasciando sul campo 20.000 morti e 3.000 prigionieri. Le perdite svedesi ammontano a duemila morti. L’impatto politico e psicologico è enorme in tutta Europa. Per i tedeschi Gustavo Adolfo è il nuovo Alessandro, l’eroe della causa protestante, il nuovo David. Dalla guerra difensiva il Re delle nevi passa al piano di conquista dell’impero. Commette però l’errore di non inseguire Tilly dandogli così la possibilità di riorganizzare le forze. Alla fine di settembre il Re inizia la sua marcia trionfale verso occidente. A metà ottobre entra a Würzburg dove riceve l’omaggio degli Stati protestanti e dei principi. Ora tutti vogliono l’alleanza col vincitore. Il 22 dicembre conquista Magonza. Questa cavalcata trionfale preoccupa non poco l’alleato Richelieu; Gustavo Adolfo è troppo ingombrante e inoltre minaccia la riva sinistra del Reno, vero obiettivo del Cardinale per iniziare la penetrazione francese in Germania. Il trattato di Bärwalde resta in vigore ma da questo momento i due alleati si guardano con ostilità. Ferdinando II dopo Breitenfeld viene preso dal panico e pensa al ritiro del discusso Editto di restituzione, poi gioca l’unica carta possibile: il ritorno di Wallenstein. Il 10 dicembre il Duca riprende la carica di comandante in capo e nell’aprile 1632 riceve illimitata autorità militare e diritto di trattare personalmente col nemico. Durante il forzato ritiro Wallenstein non era stato fermo: aveva fatto mancare i rinforzi chiesti da Tilly e aveva inviato messaggi distensivi al Re di Svezia. Il suo obiettivo era di ottenere l’indipendenza boema e per questo si era avvicinato a z Thurnu e agli altri nobili boemi esiliati. Gustavo Adolfo aveva promesso a Wallenstein di nominarlo viceré della Boemia sino al ritorno di Federico V. In quei mesi Wallenstein appariva come patriota boemo e traditore dell’Impero. Ma la vittoria svedese di Breitenfeld muta il gioco: ora i due giganti hanno meno bisogno uno dell’altro. Il duello tra i due si avvicina. Gustavo Adolfo si lancia alla conquista della Baviera, prima mossa verso la vittoria finale. L’8 aprile l’esercito svedese attraversa il Danubio a Donauwörth mentre Tilly, forte di 22.000 uomini, si schiera sulla riva orientale del fiume Lech, dove sette secoli prima Ottone I aveva fermato gli Ungari. Contro il parere del Consiglio di Guerra il Re del Nord il 15 aprile passa il fiume con un’enorme chiatta galleggiante, coperto da un martellante fuoco di copertura della sua artiglieria e dal fumo della paglia incendiata. Nello stesso tempo la cavalleria svedese accerchia l’esercito di Tilly con una manovra geniale e spettacolare. Il pavido Massimiliano di Baviera abbandona il campo e si rifugia a Ingolstadt mentre Tilly, gravemente ferito, muore due settimane dopo, malgrado l’assistenza di un chirurgo di chiara fama inviatogli da Gustavo Adolfo. La Baviera viene messa a ferro e fuoco, i contadini sono vittime di ogni violenza. I vincitori mettono in atto una terribile vendetta al grido di “Magdeburgo”. L’orrore supera ogni possibile racconto. Gli imperiali avevano inflitto ogni sorta di tortura al nord protestante; i protestanti infliggono ogni punizione possibile al sud cattolico. Tutta la Germania è un immenso inferno dantesco. Il 16 maggio Gustavo Adolfo, accompagnato da Federico del Palatinato, entra a Monaco di Baviera, la capitale di Massimiliano, l’uomo che gli ha sottratto titolo e regno. Solo alla fine di giugno il Re di Svezia comprende il vero piano di Wallenstein: riunirsi con Massimiliano di Baviera e marciare su Norimberga con un imponente esercito. Allarmato da un’armata composta da più di quarantamila uomini e disponendo solo di ventimila effettivi, Gustavo Adolfo fa costruire imponenti fortificazioni attorno alla città. Wallenstein si attesta vicino ad un’antica fortezza detta Alte Veste e spera di far capitolare per fame la città. Il 3 settembre Gustavo Adolfo, rinforzato da trentamila uomini, frutto del lavoro di Oxenstierna, pensando che Wallenstein si stesse ritirando, muove all’attacco. Per la prima volta i due strateghi si affrontano sul campo e per la prima volta il Leone del Nord viene battuto. Le truppe svedesi sono demoralizzate e falcidiate da diserzione e malattia. Incapace di stanare il Duca dal suo campo trincerato, Gustavo Adolfo si ritira da Norimberga e si dirige verso nord. Wallenstein distrugge il suo campo trincerato ed invade la Sassonia, preparandosi a svernare. Il 15 novembre Gustavo Adolfo inizia la sua ultima avventura pensando di cogliere Wallenstein di sorpresa. Il Duca passa la notte tra il 15 e il 16 a schierare l’esercito in assetto di battaglia e ad aspettare la cavalleria di Pappenheim: alla sua destra il castello di Lützen (a pochi chilometri da Röcken, paese dove due secoli dopo nascerà Friedrich Nietzsche) e i mulini a vento presso i quali schiera l’artiglieria. La mattina del 16 la nebbia impedisce al Re di Svezia di iniziare l’attacco; a mezzogiorno giunge Pappenheim e il suo arrivo sconvolge il piano di battaglia svedese. Ma il grande comandante di cavalleria muore durante l’attacco. Al calar della nebbia serale la vittoria svedese è assicurata. Gustavo Adolfo alla testa dei suoi cavalieri si lancia in soccorso di Bernardo di Sassonia-Weimar in difficoltà; all’improvviso viene colpito al braccio sinistro da una palla di moschetto. Mentre viene portato via dai suoi uomini, un’altra palla lo colpisce alla schiena, cade da cavallo e muore a causa di un terzo colpo che gli fracassa il cranio. Gli svedesi vincono la giornata di Lützen ma nessuna vittoria può compensare la morte del Leone del Nord. Quindici giorni dopo muore di peste a Metz Federico V, il re di un inverno, l’uomo che aveva dato il via alla guerra con la sua scelta di cingere la corona boema. Minato profondamente nel corpo e nell’anima si congeda dalla vita terrena a soli trentasei anni. Un anno dopo, la neonata lega di Heilbronn, capeggiata da Oxenstierna restituisce il Palatinato all’erede di Federico, Carlo Ludovico. Oxenstierna non possiede il carisma di Gustavo Adolfo ma, divenuto tutore della futura regina Cristina, una bimba di cinque anni, frena gli appetiti della nobiltà svedese e la volontà di Richelieu di mettersi a capo del partito antiasburgico in Germania al posto della Svezia. Il Cardinale è costretto a rinnovare il trattato di Bärwalde. Nel fronte asburgico due nobilissimi cugini diventano i nuovi protagonisti: il Cardinale Infante, fratello del Re di Spagna, Filippo IV e il figlio dell’imperatore, l’arciduca Ferdinando, già incoronato re d’Ungheria e Boemia e designato erede imperiale. Il primo sostituisce l’arciduchessa Isabella come governatore dei Paesi Bassi ed è un convinto sostenitore del piano spagnolo per riconquistare le Province Unite; trova in Ferdinando d’Ungheria un formidabile alleato. I due cugini sono intenzionati a continuare la guerra sino a quando gli Asburgo non trionferanno. Il re d’Ungheria è il principale nemico di Wallenstein alla corte di Vienna e resta deluso quando il Duca viene richiamato. L’antipatia nei confronti del Duca è condivisa dall’ambasciatore spagnolo dopo il rifiuto di Wallenstein di appoggiare la guerra in Olanda. A Madrid e Vienna sono convinti che il generale non vuole una guerra incondizionata contro i nemici degli Asburgo; gli vengono rimproverati i contatti con i fuoriusciti boemi e con Parigi. Wallenstein effettivamente è circondato da un alone di mistero, ha contatti col nemico e, soprattutto, non è più molto lucido a causa di alcune malattie che lo tormentano. Suscita sdegno il suo ordine di esecuzione capitale di 13 ufficiali dopo la sconfitta di Lützen accusati di viltá, come se il Generale volesse scaricare su altri le responsabilità. La sua popolarità nell’esercito scompare. In realtà Wallenstein trama per diventare re di Boemia e per vendicarsi dell’affronto subìto con l’allontanamento del 1630 ma senza un piano razionale e coerente, afflitto da depressione e gotta. Un uomo dedito esclusivamente all’astrologia, iroso e bilioso, profondamente solo e sospettoso di tutti ha sostituito il brillante stratega e l’abile uomo d’affari di un tempo. L’imperatore Ferdinando usa contro di lui ogni mezzo, dalla propaganda libellistica, allo spionaggio. I luogotenenti di Wallenstein, Piccolomini e Gallas, riferiscono ogni mossa del generale alla corte di Vienna; così Ferdinando viene a conoscenza di un documento noto come Revers di Pilsen col quale gli ufficiali di Wallenstein promettono fedeltà e giurano di non abbandonarlo per nessun motivo. Prova evidente che Wallenstein pensa di sganciarsi dagli Asburgo. Il 24 gennaio 1634 Ferdinando invia un documento segreto a Piccolomini, Gallas e Massimiliano di Baviera, in cui si ordina la deposizione di Wallenstein e la sua cattura vivo o morto. L’ordine non viene reso pubblico sino al 18 febbraio. Il Duca viene abbandonato da tutti. È salito troppo in alto, vuole sostituirsi all’imperatore, ha perso la protezione dei parenti a Vienna, gelosi del suo potere.

Con i pochi fedelissimi rimasti Wallenstein si reca a Cheb (Eger) dove spera di ricevere aiuti dagli svedesi. La sera del 25 febbraio viene assassinato nel suo alloggio sulla piazza del mercato. Il capitano irlandese Devereux entra nella camera da letto con una partigiana in mano. Wallenstein dice sommessamente “konec” (ci siamo) e chiede quartiere, come fanno i soldati in punto di morte. Devereux lo centra al ventre e lo uccide in pochi secondi. Nierclaff, un rozzo soldato, vuole buttare il cadavere fuori dalla finestra. Devereux lo ferma e avvolge il corpo in un tappeto. Caricato su una carrozza viene portato via. L’assassino è il capitale irlandese Devereux, il mandante l’imperatore in persona, il quale, con studiata ipocrisia politica, gli renderà pubblicamente gli onori. Wallenstein morto è sempre al centro dell’attenzione; da vivo aveva solo nemici e nessun amico, da morto ha più difensori che accusatori. La verità è forse quella del vecchio saggio Karl von Zerotin, protettore del giovane Albrecht, l’uomo che lo aveva presentato alla corte di Vienna:” quale l’albero, tale il frutto, quale l’opera tale la ricompensa, quale il servizio, tale il premio! Possiamo rallegrarci di questo, rallegrarci molto, ma ne abbiamo anche motivo di afflizione”. Le spoglie mortali di Wallenstein si trovano nella Certosa di Walditz presso Gitschin, nella tomba di famiglia fatta costruire dallo stesso generale, vicino ai resti della prima moglie Lucrezia von Landek e del figlioletto Carlo Alberto. Nessuna iscrizione. Tutto deve svolgersi sine honore. Soltanto tre secoli dopo la famiglia fa costruire un nuovo monumento sepolcrale con statua e stemma, titoli vari e bastone del comando. In basso a sinistra, il versetto dell’Ecclesiaste:” quid lucidius sole? et hic deficiet (Cosa brilla più luminoso del sole? Eppure anch’esso cede alle tenebre).

Nel maggio 1634 il nuovo comandante generale delle armate imperiali Ferdinando d’Ungheria passa in rassegna le truppe di Wallenstein e ne resta soddisfatto. Il suo piano consiste nel portare la guerra in Germania meridionale rovesciando così la strategia del generale rivolta alla fine delle ostilità. Ferdinando aspetta un altro esercito che giunge dalla Spagna e col quale si congiungerà. Lo comanda suo cugino, il Cardinale Infante. La guerra continua.

Nicolò Scialfa

J.V.

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