LA DIAGONALE ALECHIN

LA DIAGONALE ALECHIN

(lo scacchista) “più immorale di Richard Wagner e di Jack lo Squartatore” (Harold C. Schonberg, Grandmasters of Chess)

La diagonale Alechin è un romanzo scritto da Arthur Larrue nel 2021 per i tipi di Gallimard.

Tutto inizia col Campionato del mondo di scacchi del 1927. Uno dei più appassionanti di sempre: si svolge a Buenos Aires, dura 34 partite e si disputa dal 16 settembre al 29 novembre.

José Raúl Capablanca, l’invincibile, elegantissimo cubano, campione mondiale nel ’21, è considerato imbattibile. Lo sfidante viene scelto tramite un torneo disputato a New York, in febbraio, tra i massimi scacchisti dell’epoca. Ovviamente domina Capablanca, ma il secondo, quindi degno di sfidarlo ufficialmente, è, a sorpresa, Aleksandr Alechin. Nato a Mosca nel 1898 da famiglia nobile, talento feroce e malvagio. Educato agli scacchi dalla madre. Dice di lui Reuben Fine “è stato il grande esponente dell’attacco a sorpresa… Una volta che aveva atterrato un uomo, voleva distruggerlo”. Un sadico degli scacchi. Salvato da Trockij durante la rivoluzione grazie al suo talento, si trasferisce in Francia nel 1921 e da allora gioca con i colori francesi. Un suo compagno di squadra sarà Marcel Duchamp. Nel 1927, tra lo stupore generale, riesce a divenire campione del mondo battendo Capablanca. Da allora farà qualsiasi cosa pur di non incontrare più il cubano.

Durante il governo di Vichy, sulla “Pariser Zeitung”, la rivista tedesca della Parigi occupata, definisce le differenze tra lo scacchista ebreo – un imitatore – e quello ariano. Nel 1935 perde il titolo contro Max Euwe ma lo riconquista due anni dopo. Dopo la guerra gli viene impedito di partecipare al torneo londinese del ‘46 a causa del suo collaborazionismo con i nazisti. Grande bevitore, giocatore sadico, genio scacchistico. La sua vita si presta alla grande narrazione. Arthur Larrue disegna una storia della prima metà del novecento, il terrore nazista, quello bolscevico, l’ipocrisia dei paesi occidentali, l’eliminazione fisica dei grandi giocatori ebrei, la pianificazione staliniana nell’uso propagandistico degli scacchi. Larrue è un grande esperto di storia russa e la pubblicazione di “Partir en guerre” nel 2014 gli è costato il licenziamento dall’università di Herzen dove insegnava letteratura francese. Putin non ama le critiche.

Il gioco degli scacchi… non è un gioco ma un immenso pericolo. Alechin è l’incarnazione di questo pericolo, un personaggio affascinante e repellente ad un tempo come Heidegger o Céline, che ha trasposto sulla scacchiera la violenza del suo tempo. Larrue coglie nel segno quando indica nella Paura l’essenza del mondo russo, il rapporto che i russi stringono con i loro leader. Così sì esprime in un’intervista “Eppure si affidano alla paura, come una specie di ultima risorsa. Oserei quasi parlare di conforto. Per questo dico che se Putin non fosse più in grado di ispirare paura alla Russia, e al resto del mondo, allora apparirebbe indegno del suo potere. Questo riflesso malsano, ma decisivo, l’ho incontrato ovunque nel Paese, anche in seno all’intellighenzia. La Russia è percepita dai propri abitanti come una grande entità malvagia in procinto di esplodere. Qualcosa come un cielo tempestoso. Ai loro occhi, gli ucraini sono colpevoli di aver fatto arrabbiare la Russia. E chi li sostiene con armi e denaro commette l’errore di prolungare la sofferenza per una punizione inevitabile.”

Sul russo, poi francese ed esule Alechin aveva già scritto un romanzo Paolo Mauresing, Teoria delle ombre, incentrato sulla misteriosa morte a Lisbona del campione.

La versione ufficiale della morte è alquanto stramba: strozzato da un pezzo di carne. Peccato che Alechin avesse addosso un cappotto bagnato dalla pioggia e il tavolino fosse al proprio posto e non per terra come avrebbe dovuto in quel caso. Chi lo uccise? Agenti ebrei per vendetta? Un killer inviato da Stalin? Entrambi? Sicuramente Stalin vuole usare in modo propagandistico gli scacchi e non può correre il rischio che il campione sovietico Botvinnik incontri Alechin rischiando la sconfitta. Botvinnik diviene campione del mondo e lo resta sino al 1957 con grande soddisfazione dei capi bolscevichi.

“Tra i campioni più celebri del periodo, il protagonista ha trasposto sulla scacchiera la violenza del suo tempo. La volontà di schiacciare l’avversario, invaderne lo spazio, finirlo… I russi conoscono bene l’anarchia e la corruzione dello Stato e non si fanno illusioni sul futuro. Ma si affidano alla paura, come ad un’ultima risorsa. Oserei quasi parlare di conforto… Alechin mi fa venire in mente un immenso serbatoio dove sia venuta ad accumularsi una inverosimile quantità di energia bruta. Come se avesse introiettato tutta la violenza del suo secolo per trasferirla miracolosamente sulla scacchiera. Si tratta di un genio dalle proporzioni inaudite, forse addirittura un demonio”

(Arthur Larrue)

Gioco a scacchi dall’età di cinque anni. Tra il 1991 e il ‘93 a causa di un forzato periodo di riposo ho studiato a fondo aperture, medio gioco e finali. Poi ho capito che stavo precipitando all’inferno. Sono ormai un mediocre dilettante che si occupa di storia degli scacchi. Meglio così. Gli scacchi non sono un gioco ma quanto di più violento e distruttivo possa esistere per l’autostima personale. Sono esistiti campioni eleganti come Capablanca ma, a mio avviso, la vera essenza degli Scacchi risiede nella furia devastatrice di Alechin o di Bobby Fischer. Roba per menti superiori ma assai problematiche. Una questione terribilmente seria, un gioco che assomiglia alla Guerra.

J.V.

Rispondi