I Demoni

I Demoni


I demoni di Fëdor Dostoevskij viene pubblicato in volume per la prima volta nel 1873. Il 21 novembre 1869 lo studente universitario Ivan Ivanovič Ivanov viene ucciso da una cellula rivoluzionaria capeggiata da Sergej Gennadjevič Nečaev (autore insieme a Bakunin del Catechismo del rivoluzionario). Il processo si conclude con la condanna del colpevole a 20 anni di carcere. Dostoevskij detesta questi rivoluzionari, detesta il nichilismo e ne intuisce gli immensi pericoli per il futuro della società russa, stretta tra l’autoritatismo incapace dei Romanov e i rischi di una generazione di Demoni. Eppure il protagonista, Nikolaj Stavrogin, viziato e immorale, viene presentato con una spettrale luce di demoniaca grandezza. Il suo stesso cognome nasce dalla parola greca σταυρός (stauròs) che significa “croce”, come se l’autore volesse connotare di elementi religiosi un personaggio crudele, annoiato, viziato, immorale. Stavrogin sarà l’unico dei tanti “peccatori” del romanzo a prendere piena coscienza dei propri peccati e si impiccherá. Un romanzo all’insegna della farsa e della violenza. Sfiducia nel cambiamento, rimedi peggiori dei mali secondo Dostoevskij. A nessuno dei personaggi è risparmiato il ridicolo; il reazionario Fëdor è un vero sovversivo e quindi si burla dei sovversivi da operetta, personaggi che fingono, da Stepan Trofimovic, un liberale che si contrabbanda per eroe e in realtà ha sempre paura, gonfio di retorica e ipocrisia; Piotr Verchovenskij, parla in nome del socialismo e intanto ammette di essere un imbroglione senza alcun diritto di parlare in nome di niente; Lembke, il governatore antipatico; sua moglie Julia, prototipo della donna ricca che abbraccia indiscriminatamente le cause dei giovanotti interessanti; Karmazinov, il famoso scrittore, che adula servilmente i rivoluzionari perché desidera essere lodato da tutti. Ogni personaggio è ridicolizzato, persino Satov, il più serio. Tutti sono alienati e agiscono in modo doppio. Il disprezzo per Turghenev è palese nella descrizione di Karmazinov, così come è palese il disprezzo per la provincia russa, emblema dell’ipocrisia e dell’ignoranza, della rozzezza morale dei personaggi di ogni classe sociale. Una società malata a causa della mancanza di libertà, ridicola perché si parte con la Marsigliese e si finisce col valzer rozzo e paesano (pensiamo ai grotteschi dibattiti di oggi sul centenario di una mostruosità… era iniziata con parole grosse Libertà, Potere ai soviet, Terra ai contadini… è finita con l’inferno ridicolo e grottesco sulla terra). Tanto più grave perché si illudono milioni di esseri umani sofferenti e in cerca di riscatto.Dostoevskij voleva dare l’allarme, segnalare i pericoli del radicalismo e dell’ateismo occidentali.

Egli stesso è confuso, non riesce a scegliere il vero nemico, o quello più pericoloso: il velenoso radicalismo in fondo gli appare uno scherzo da scolaretti, una rozza sciocchezza senza base sociale né contenuto filosofico; è diviso tra ricerca e negazione di Dio, reazione panslavista e radicalismo occidentale; non essendo mai banale non offre soluzioni definitive se non la redenzione. È un grande artista e come tale va preso; non è un profeta o un politico. Il suo è un mondo contrastato, costruito su luci e ombre, sulla consapevolezza della immane sofferenza e crudeltà del mondo.Però sa benissimo che i rivoluzionari finiscono forzatamente per assumere gli stessi difetti della società che vorrebbero trasformare. Dostoevskij, forte delle terribili sofferenze patite, conosce l’infinita distanza tra i paroloni degli agitatori e la spaventosa realtà sociale. Arrestato, deportato, fucilato (per finta… come morire due volte), possiede un naturale distacco-disprezzo verso coloro che parlano senza sapere, che agiscono senza conoscere le conseguenze delle proprie azioni, che vivono come se Dio e io fossero la stessa cosa. 


Anticipavo ieri le affinità tra coloro che considero i più grandi (mio personale è interessato punto di vista… i più grandi perché hanno saputo usare l’immane sofferenza per tentare di capire… potremmo unire alla coppia Giacomo Tildegard Leopardi). Vittorio Strada ha scritto una pagina ricca e significativa che riporto di seguito:“I rapporti tra Nietzsche e Dostoevskij sono molto complessi e la loro complessità deriva anche dal fatto che essi sono paradossalmente reciproci. Infatti, se Nietzsche fu un lettore interessato e ammirato di Dostoevskij, quest’ultimo, che nulla sapeva del filosofo tedesco, ne anticipò temi e tesi fondamentali, facendoli oggetto della sua ricerca dialogico-romanzesca. Le assonanze tra Dostoevskij e Nietzsche hanno richiamato da tempo l’attenzione critica e il parallelo tra loro è diventato canonico quanto quello tra Dostoevskij e Tolstoj. Del resto, è ormai appurato che proprio Tolstoj e Dostoevskij furono per Nietzsche la fonte prima della sua concezione del Dio cristiano e che con questi grandi russi l’autore dell’Anticristo intrattenne un dialogo sotterraneo, intessuto di illuminazioni e di ripulse. Solo di recente però alcune fasi decisive di questo dialogo sono state portate alla superficie ed è possibile ora porre l’ampio problema dei rapporti Nietzsche-Dostoevskij su una base filologicamente piú sicura. Mi riferisco, in particolare, agli appunti di lettura dei Demonî di Dostoevskij che Nietzsche conobbe nella traduzione francese uscita a Parigi nel 1886.Nietzsche lettore dei Demonî trascura l’attualità politica del romanzo, la quale anzi quasi certamente gli era ignota. L’assenza del momento politico dall’orizzonte di lettura del romanzo non è cosa trascurabile perché per Dostoevskij il “caso Neciaev”, trasfigurato nei Demonî, non fu un mero dato di cronaca, bensí la manifestazione essenziale di una crisi di cui egli, a partire almeno dalle Memorie del sottosuolo, aveva anticipato la presenza e di cui da tempo aveva iniziato l’analisi. Crisi metafisica, secondo Dostoevskij, che diventa necessariamente crisi politica e che nella rivoluzione trovava la sua naturale sede di sviluppo. Per Dostoevskij, il nichilismo era un fenomeno metafisico-politico e non è un caso che questo termine, che in Occidente a partire da Jacobi aveva un significato puramente filosofico, in Russia sia servito a designare il movimento rivoluzionario. Se nella prefazione per la Volontà di potenza Nietzsche poteva scrivere: “Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà piú venire diversamente: l’avvento del nichilismo”, lo stesso avrebbe potuto scrivere Dostoevskij a premessa dei suoi romanzi, anche se non solo il suo atteggiamento verso il nichilismo era antitetico a quello di Nietzsche, ma diverso era in parte il contenuto stesso che in lui assumeva questo concetto, contenuto per lui inevitabilmente anche politico. Qui, oltre alle differenze personali, conta, evidentemente anche la differenza tra punti di vista storico-nazionali: era in Russia infatti che le idee nichiliste si erano tradotte in un nuovo tipo di azione rivoluzionaria.Nietzsche è interessato dalla figura di Stavrogin, ma i centri maggiori di attenzione, indicati nei titoli dei gruppi di annotazioni (Psicologia del nichilista, La logica dell’ateismo e Dio come attributo della nazionalità), confluiscono sul suicidio di Kirillov e sulla sua filosofia dell’uomo-dio. Il contesto dell’interesse di Nietzsche per i Demonî e, in particolare, per Kirillov, è quello della sua riflessione sul nichilismo che, per l’autore della Volontà di potenza, consiste in una svalutazione dei valori tradizionali (morali, metafisici, religiosi) finora ritenuti sommi, ma è una svalutazione che deriva necessariamente dalla natura di quei valori, i quali, nella fase estrema della loro storia, si autosmascherano e si autoannullano, applicando a se stessi quel culto della verità da loro stessi coltivato. Nietzsche dice che “il perfetto nichilismo è la necessaria conseguenza degli ideali finora coltivati”, mentre l’epoca in cui viviamo è quella di un “nichilismo incompleto” e di vani “tentativi di sfuggire al nichilismo”. Nel nichilismo “spontaneo”, per cosí dire, e “incompleto” della nostra epoca di transizione, Nietzsche si reputa colui che porta la “consapevolezza” del nichilismo, favorendo cosí lo svolgimento di quest’ultimo alla sua “completezza”. Su questo nichilismo perfetto egli opera la sua “transvalutazione” di tutti quei valori che erano stati alla base del nichilismo stesso e in tal modo vuole aprire la via verso l’esodo dal nichilismo. Ma mentre il nichilismo era un evento necessario, il suo superamento è un evento possibile, cioè politico, e l’Anticristo Nietzsche è l’autore appunto di un Antivangelo salvifico: “Il mio problema, scrive egli in un frammento intitolato Superuomo, non è di stabilire che cosa possa prendere il posto dell’uomo, bensí quale specie di uomo debba essere scelta, voluta, allevata come specie di valore superiore…”. Contro un nichilismo “decadente” Nietzsche afferma il suo nichilismo che potremo chiamare creativo, in cui la lunga morte di Dio diventa una sua liberatoria uccisione e l’uomo, liberatosi dall’oppressione divina, acquista egli stesso una sorta di divinità, riappropriandosi feuerbachianamente sulla terra dei. suoi attributi che aveva proiettato in cielo.Dostoevskij coglie perfettamente nei suoi romanzi la logica del nichilismo che non è semplicemente ateistico, bensí rigorosamente antiteistico, anche se per lui il nichilismo non è la conseguenza immanente dei valori tradizionali cristiani, ma una loro negazione nata in seno a una particolare versione storica (cattolica e protestante) di quei valori. Nei Demonî, l’antiteismo si dirama in una serie di figure che ne manifestano le potenzialità: dalla noia metafisica di Stavrogin al costruttivismo sociale di Sigalëv. Ma è in Kirillov che la “logica dell’ateismo” si dispiega con una coerenza esemplare. Nel suo incontro con Verchovenskij poco prima del suo suicidio Kirillov chiarisce non soltanto la logica antiteistica dell’autodeificazione dell’uomo, bensí anche il significato redentivo che egli attribuisce al suo proprio suicidio: con questo atto, ragiona egli con folle coerenza, non soltanto egli si riappropria della sua libertà trasferita in Dio, ma, novello Salvatore, apre all’umanità la via della rivolta metafisica e della libertà totale, restituendole l’attributo principale della divinità: lo svoevolie, cioè l’arbitrio come libertà illimitata. L’uomo nuovo e superiore che nascerà da questo primo atto consapevole di liberazione e di salvazione, secondo Kirillov, dovrà rigenerarsi anche fisicamente, poiché “nell’aspetto fisico attuale (…) non si può affatto essere uomo senza il vecchio Dio”. Che poi il suicidio di Kirillov serva da copertura per il delitto organizzato da Verchovenskij non è una mossa denigratoria di Dostoevskij, poiché la grandezza di Kirillov non ne è sminuita, bensí piuttosto è una sua geniale comprensione della trama in cui l’antiteismo viene ad essere impigliato.

Il suicidio “logico” di Kirillov sembra agli antipodi del vitalismo “dionisiaco” di Nietzsche, se non si pone mente al fatto che si tratta di un suicidio sacrificale e simbolico, la cui missione soteriologica è quella di aprire la via ad un “oltreuomo” trasformato anche biologicamente. In questo senso Kirillov è ancora “cristiano”, ma “cristiana” è anche la soteriologia antiteistica di Nietzsche. Il punto di divergenza tra Nietzsche e Kirillov sta nell’incanalamento dell’energia vitale liberata dalla negazione di Dio.”(V. Strada, Le veglie della ragione, Einaudi, Torino, 1986, pagg. 69-71) Concludo col passo, sempre a mio avviso, più importante del romanzo:“28 Appena vide Gesù, lanciò un grido, si inginocchiò davanti a lui e disse a gran voce: «Che c’è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non tormentarmi». 29 Gesù, infatti, aveva comandato allo spirito immondo di uscire da quell’uomo, di cui si era impadronito da molto tempo; e, anche quando lo legavano con catene e lo custodivano in ceppi, spezzava i legami, e veniva trascinato via dal demonio nei deserti. 30 Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Legione»; perché molti demòni erano entrati in lui. 31 Ed essi lo pregavano che non comandasse loro di andare nell’abisso. 32 C’era là un branco numeroso di porci che pascolava sul monte; e i demòni lo pregarono di permetter loro di entrare in quelli. Ed egli lo permise. 33 I demòni, usciti da quell’uomo, entrarono nei porci; e quel branco si gettò a precipizio giù nel lago e affogò.” (Luca 8, 28-36)


J.V.


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