GUERRA CIVILE AMERICANA

GUERRA CIVILE AMERICANA

Impropriamente detta Guerra di secessione. Iniziamo con una domanda: come è stato possibile che alcune ex colonie inglesi del Nord America siano diventate prima una immensa nazione continentale e poi, nel XX secolo, la più importante potenza mondiale? Come in molti paesi europei viene costruito lo Stato-Nazione ma con modalità differenti: la distruzione delle nazioni indiane. Queste non vengono riconosciute come interlocutori. Gli americani ora sono i coloni che spingono verso ovest, gli immigrati dall’Europa, i messicani conquistati, nativi sottomessi, schiavi africani deportati. Le ultime due categorie diventeranno americane soltanto molto tardi perché agli inizi il senso comune e molte leggi costituzionali parevano di parere opposto.

Un gruppo di schiavi fuggiti, Virginia 1862. Foto Library of Congress.

Gli Stati Uniti in formazione appaiono quindi come una nazione euro-americana trapiantata in un altro continente con peculiarità precise e differenti perché mentre nel vecchio continente esplode la rivoluzione francese il nuovo Stato si presenta come post rivoluzionario: governo repubblicano, eguaglianza civile, consenso popolare, diritti di cittadinanza, democrazia elettorale. Per comprendere lo sviluppo e le contraddizioni di questa nuova società è indispensabile la lettura dei due volumi di Alexis de Tocqueville, “La democrazia in America”. Ovviamente si parla di America settentrionale e anglofona. Nel centro e nel sud le speranze di liberazione, incarnate dalla figura di Simon Bolivar, padre della rivolta antispagnola degli anni venti dell’Ottocento, vengono ridimensionate dal potere dei creoli, discendenti dei primi colonizzatori, una élite di proprietari terrieri che domina su meticci e indios. Il tentativo di Bolivar di costruire una Confederazione latino-americana fallisce e si giunge alla creazione di una serie di Stati fortemente dipendenti economicamente dall’Inghilterra. L’ideologia democratica “americana” riguarda quindi soltanto gli Stati Uniti, da allora chiamati impero della libertà, secondo la definizione di Thomas Jefferson, dal momento che intorno al 1830 possono votare tutti i maschi bianchi adulti. Una società fortemente contraddittoria perché democratica da un lato ma schiavista e sterminatrice di nativi dall’altro, con una forma di governo repubblicana e federale, con tripartizione di poteri e rigorosi meccanismi di controllo reciproco. La Costituzione lascia grande autonomia ai singoli Stati e quindi con l’espansione verso Ovest e l’aumento del numero di Stati le contraddizioni iniziali aumentano soprattutto sulle questioni fondamentali: salvaguardia dei diritti civili, conduzione della politica estera e difesa della schiavitù. Fra i diritti degli Stati vi era anche il diritto alla secessione. Non era chiara una questione: fino a che punto gli Stati originari avevano rinunciato alla loro sovranità e fino a che punto il governo degli Stati Uniti era titolare di una sovranità nazionale non divisibile? I tredici Stati che avevano ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra, nel 1860 erano diventati trentatré e avevano caratteristiche assai differenti tra loro. La formazione degli Stati era regolata da una legge del 1787, l’ordinanza del Nord ovest e prevedeva che, una volta raggiunto un certo numero di abitanti bianchi, un territorio venisse ammesso nell’unione ad un livello di parità con gli Stati originari. Nel 1803 il presidente Jefferson acquista da Napoleone l’immensa provincia della Louisiana raddoppiando così le dimensioni del paese. Poi viene acquistata la Florida dalla Spagna nel 1819. La guerra col Messico porta all’occupazione nel 1848 di tutto il sud ovest dal Texas alla California e alla definizione del confine meridionale lungo il Rio Grande. Nel 1867 viene acquistato dai russi l’Alaska. Pleonastico dire che la conquista dei nativi fu costellata da orribili massacri. I conflitti tra governo federale e nazioni indiane durarono per tutto l’Ottocento mentre in America meridionale si erano conclusi da secoli. La guerra indiana era parallela all’avanzata dei bianchi verso Ovest e si tratta di una guerra terribile perché la posta in gioco era il controllo totale del territorio. Per i nativi si trattò di una lunga resistenza con qualche battaglia vinta ma nell’insieme possiamo parlare di una sconfitta segnata da massacri e deportazioni. I momenti di lotta più aspri riguardarono gli Shawnee dei Grandi laghi, i Cherokeee e Creek nel Sud, gli Apache nel Sud-Ovest, i Cheyenne e i Sioux nelle pianure centrali. Nelle nuove terre assieme ai bianchi giunsero anche gli schiavi neri deportati dall’Africa. Nel Sud la schiavitù era sopravvissuta alla rivoluzione perché aveva una enorme rilevanza economica mentre a nord venne abolita. La Costituzione americana riconosceva la schiavitù anche se la tratta degli schiavi venne dichiarata illegale nel 1808. A nord del fiume Ohio la schiavitù era vietata per legge. Ora sorgeva un enorme problema: chi avrebbe colonizzato il resto dell’Ovest, il Sud schiavista o il Nord libero? Un bel ginepraio perché il Nord era protezionista in difesa della propria industria e il Sud liberista per favorire le esportazioni agrarie. A questo si aggiunga che il Sud rischiava di divenire minoranza in Congresso e inoltre cresceva il movimento abolizionista nel Nord. Ci furono tentativi di compromesso ma fallirono quando nel 1861 venne eletto il repubblicano Abraham Lincoln, espressione del Nord abolizionista.

Gli Stati schiavisti abbandonarono l’Unione e formarono gli Stati Confederati d’America. La secessione, alla quale in realtà gli Stati del Su avevano diritto, scatenò la guerra. Una guerra lunga quattro anni che si concluderà con la vittoria del Nord. Una guerra moderna, con eserciti di massa a leva obbligatoria, con innovazioni tecnologiche continue e uso delle ferrovie e del telegrafo. Il Sud venne stritolato dal carattere industriale del conflitto e dall’impari rapporto di forze: i Confederati (undici Stati) avevano nove milioni di abitanti, per un terzo schiavi e riuscirono a mobilitare un milione di soldati. L’Unione era composta da ventitré Stati con ventidue milioni di abitanti e tre milioni di soldati. I dirigenti del Sud speravano che le divisioni del Nord lo avrebbero spinto ad accettare il fatto compiuto ma non andò così. Gli effetti della guerra furono spaventosi per il Sud: devastazioni che coinvolsero i civili, grandi massacri in combattimento.

Il Sud poteva contare soltanto sulla iniziale superiorità militare dei suoi brillanti comandanti come il generale Robert Lee ma si trattava di una lotta contro il tempo e il tempo a Lee non bastò. Il suo tentativo disperato di sfondare a Gettysburg non riuscì e di fatto la guerra era già persa nel 1863. Durò ancora due anni e costò seicentomila morti e quattrocentomila feriti complessivamente in un Paese di trentuno milioni di abitanti. Una guerra civile tra cittadini della stessa nazione le cui ferite ancora oggi non si sono del tutto chiuse nella memoria collettiva. Si erano create di fatto due nazioni distinte e separate, inconciliabili tra loro come ben evidenziato da Raimondo Luraghi nel suo bel libro sulla Guerra Civile. La vittoria del Nord fu un cataclisma economico-sociale che mutò la faccia del Continente. Secondo lo storico Beard la Guerra civile è una sorta di seconda rivoluzione americana che sconvolse la società meridionale e distrusse il potere dei grandi proprietari terrieri. Col Proclama di emancipazione di Lincoln del 1863 e gli emendamenti alla Costituzione (1865-70), la schiavitù venne abolita e il Sud venne ridotto a periferia subordinata del Nord.

Gli Stati Uniti divennero così una Nazione ma il prezzo fu altissimo. Gli afro-americani sono di fatto americani involontari e tali ancora si sentono.

J.V.

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