Danton

Danton è un film del 1983, diretto dal regista polacco Andrzej Wajda. Ispirato al dramma storico L’affare Danton (1929), opera della polacca Stanisława Przybyszewska, il film racconta le ultime settimane di Georges Jacques Danton, uno dei protagonisti della Rivoluzione francese, dalla fine di marzo al 5 aprile 1794, quando venne giustiziato con la ghigliottina.

* Gérard Depardieu: Georges Jacques Danton
* Wojciech Pszoniak: Maximilien de Robespierre
* Bogusław Linda: Louis Antoine de Saint-Just
* Patrice Chéreau: Camille Desmoulins
* Angela Winkler: Lucile Desmoulins
* Tadeusz Huk: Georges Couthon
* Anne Alvaro: Éléonore Duplay
* Roland Blanche: Jean-François Delacroix
* Emmanuelle Debever: Louison
* Krzysztof Globisz: Jean-Pierre-André Amar
* Roger Planchon: Fouquier-Tinville
* Ronald Guttman: Martial Herman
* Serge Merlin: Pierre Philippeaux
* Jacques Villeret: François Joseph Westermann
* Marian Kociniak: Robert Lindet
* Bernard Maître: Louis Legendre
* Erwin Nowiaszak: Collot d’Herbois
* Leonard Pietraszak: Lazare Carnot
* Franciszek Starowieyski: Jacques-Louis David
* Jean-Loup Wolff: Marie-Jean Hérault de Séchelles
* Czeslaw Wollejko: Marc Guillaume Alexis Vadier

In questo film Wajda parla non solo della Francia del 1790. Le vicende della rivoluzione francese si prestano alla costruzione metaforica della Polonia del 1980 e ad un’amara riflessione sul rapporto Bene-Male e Ideale -Reale.

Parigi, primavera del 1794. II anno della Repubblica. Dal settembre del 1793 è in corso la prima parte del periodo del Terrore, quella in cui la fazione dei perdenti, e cioè dei meno estremisti e violenti, è condannata alla ghigliottina. La giovane Repubblica attraversa un momento di grave crisi.Le sue frontiere sono minacciate dalle forze realiste, mentre all’interno imperversano carestia, inflazione e la lotta tra le diverse fazioni (come l’Unione sovietica della Rivoluzione). Il deputato montagnardo Danton, che con Marat e Robespierre è uno dei grandi protagonisti della Rivoluzione, allarmato dalle notizie che gli giungono dalla capitale lascia la sua campagna ad Arcis-sur-Aube dove si era ritirato temporaneamente e ritorna a Parigi per cercare di fermare il Terrore. Lui conosce bene il Terrore perché ne è stato uno degli artefici con i massacri del 10 agosto e del 2 settembre, giorni in cui molti innocenti sono stati barbaramente trucidati. Ora Danton è stanco di vedere scorrere il sangue, è stanco di vedere all’opera la ghigliottina. Morto Marat, un abisso ormai divide Danton e Robespierre. Robespierre è convinto che per battere i nemici interni ed esterni la Rivoluzione non debba arrestarsi, anche a costo di essere ingiusti, cinici, sanguinari e crudeli. Crudeltà attuata -che strano!-, in nome del Bene. “Il bene del Paese ci impone di essere più che mai cinici”, dice ai componenti del Comitato di Salute Pubblica. Molto popolare, Danton è appoggiato dalla Convenzione e dagli amici politici che hanno influenza sull’opinione pubblica. Primo fra tutti il giornalista Camille Desmoulins, vecchio compagno di scuola e forse unico amico di Robespierre e direttore del giornale Le vieux cordelier. Sicuro di sè, Georges Danton sfida dunque Robespierre ed il potente Comitato di Salute Pubblica, l’organo del governo rivoluzionario le cui figure principali sono Robespierre e Saint Just. Sarebbe semplice mandare sotto processo Danton, implicato com’è in parecchi affari di corruzione tra cui quello della Compagnia delle Indie. Robespierre però in un primo momento rifiuta di farlo arrestare perchè teme la collera delle classi popolari che hanno contribuito alla vittoria della Rivoluzione e che amano e ammirano Danton, la sua eloquenza, la violenza verbale, i modi accattivanti e a volte brutali. La scena centrale del film si gioca in un drammatico colloquio tra Danton e Robespierre che si svolge “a porte chiuse”.I due uomini non potrebbero essere più diversi, dal carattere, al temperamento, alla visione politica. Danton è mastodontico, beve vino in continuazione, è carnale, passionale… Robespierre non tocca il bicchiere, non tocca cibo, vuole incarnare la Virtù Rivoluzionaria. “Tu dimentichi che noi uomini siamo fatti di carne ed ossa! Che ne sai tu del popolo? Vuoi fare la felicità del popolo se tu stesso non sai cosa voglia dire essere un uomo?” ed ancora “Maxime, io me ne fotto dei Comitati!” sono soltanto alcune delle frasi sferzanti che Danton getta in faccia a Robespierre, che resta immobile, freddo e risoluto nella volontà di continuare il Terrore. La sua Idea della felicità del popolo è chiusa in una sterile concezione teorica; agisce in nome del popolo ma non lo conosce, il popolo, perchè ne sta lontano. Non esita a minacciare Danton: “Se tu smetti di attaccarmi, ti prometto che non avrai nulla da temere”. Ormai la rottura è consumata. Per volontà di Robespierre, il 30 marzo 1794, il Comitato di Salute Pubblica ordina l’arresto di Danton e dei suoi seguaci. Nella sua fredda determinazione Robespierre fa arrestare anche l’unico amico sincero: Camille Desmoulins, suo compagno di scuola. Il processo che segue non è che una farsa. Danton usa tutta l’eloquenza che lo ha reso celebre per difendere il gruppo accusato. Con la sua eloquenza spettacolare e tribunizia spinge il Tribunale rivoluzionario, a capo del quale c’è il Grande Accusatore Fouquier-Tinville, burattino in mano a Robespierre, alle estreme conseguenze. Senza testimoni, senza possibilità di difendersi, senza possibilità di ottenere la parola, i fedeli di Danton si rivolgono alla folla: “Popolo francese…” che manifesta loro la propria simpatia intonando La Marsigliese. La sentenza è già scritta: la morte. Il gruppo è imprigionato, Desmoulins rifiuta la visita di Robespierre che vorrebbe risparmiarlo. Vengono tutti ghigliottinati il 5 aprile del 1794. All’alba i condannati salgono sul carretto che li porta alla ghigliottina. Passando sotto casa di Robespierre, Danton grida ” Maxime, tra poco toccherà a te”. Le ultime parole di Danton sono al boia Samson: “Tu mostrerai la mia testa al popolo, ne vale la pena”. E Samson lo farà, afferrandola per i capelli dal fondo dell’orribile canestro. In quel momento, Robespierre è a letto febbricitante e nel suo tragico delirio, comprende la sconfitta di una Rivoluzione basata esclusivamente sulla violenza. Soltanto il sanguinario Saint Just è esultante mentre Robespierre è tormentato dal ricordo di quello che gli aveva profetizzato Danton nel corso del loro ultimo, fatale colloquio: il primo a cadere fra loro due avrebbe inevitabilmente trascinato l’altro alla rovina, e con essi sarebbe morta la Rivoluzione. Il film si chiude così. La Storia ci racconta che lo stesso Robespierre verrà ghigliottinato appena due mesi dopo e il boia Samson mostrerà alla folla la sua testa.

Robespierre e Danton incarnano due modi opposti di intendere la guida di una nazione: Danton la vita, il popolo, la passione; Robespierre il principio astratto, il calcolo, il cinismo politico. Lo scontro è anche tra due modalità diverse ma speculari di utilizzare “il popolo”. Il film di Wajda da un lato mostra uno dei più celebri processi politici della Rivoluzione per mostrarne l’ingiustizia, ma contemporaneamente, attraverso questo, denunciare le purghe dell’URSS e dei Paesi dell’Est. Un doppio discorso dunque, sulla Rivoluzione francese e sul comunismo, su una Francia dilaniata in quei tempi di Terrore e su una Polonia che subiva, negli anni ’80, il potere del generale Jaruzelski e di Mosca. Danton come Lech Walesa e Robespierre come Jaruzelski. Del resto una seria riflessione sulla rivoluzione francese porta al filo rosso tra la Parigi del 1794 e la San Pietroburgo del 1917. Nella più celebre storia della rivoluzione francese, scritta da Albert Mathiez, l’autore scrive Robespierre ma ha in mente Lenin e giustifica il Terrore bolscevico giustificando il Terrore giacobino. La verità è che in nome dell’Idea, del Bene, della Rivoluzione, si sono massacrate, torturate, annientate milioni di persone, distrutte esistenze con l’appoggio sempre servile della magistratura che celebra processi-farsa per compiacere i tiranni di turno negli Stati totalitari e i piccoli vassalli dei potenti nelle democrazie deboli.

Wajda si è basato su due opere teatrali che sono La morte di Danton di Georg Büchner, un dramma romantico tedesco del 1835 dal quale sono tratte la trama e alcune citazioni e L’Affare Danton della drammaturga polacca Stanislawa Przybyszewska, una pièce scritta tra il 1925 et 1929.

Gerard Depardieu con la sua recitazione fisica è una forza della natura, espansivo e travolgente. Il suo Danton è il manifesto di un appello al volto umano della Rivoluzione. A lui si contrappone magistralmente il rigido Robespierre interpretato dall’ascetico e interiorizzato Pszoniak, lacerato da dubbi interiori, malato, infelice, maschera inflessibile di una razionalità spinta sino al punto di considerare la felicità del popolo come un fine da perseguire anche contro la sua stessa volontà come quando ordina l’arresto dell’amico Camille Demoulins. Robespierre “vuole” che i francesi siano felici e nel caso in cui non volessero… gli taglia la testa. In realtà nessuno può costringere nessuno ad essere felice. Ai due protagonisti si accompagnano altre due inquietanti presenze, forse ancora più invasive: la ghigliottina e la musica originale di Jean Prodomides, disarmonica e terribile. Particolare curioso ed inquietante: l’ambientazione scelta per la prigionia di Danton e dei suoi compagni è il castello di Guermantes nel dipartimento di Seine-et-Marne al cui nome si ispirò Proust.

“Sarebbe meglio essere un povero pescatore che immischiarsi con il governo degli uomini.”
“Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi.” (Georges Jacques Danton)

J.V.

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