Bergman
Bergman
”In realtà io vivo continuamente nella mia infanzia”
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Ernst Ingmar Bergman, svedese di Uppsala, nasce il 14 luglio 1918. Gli spetta un posto elevato nella storia del cinema. Ricordo della giovinezza perduta, terrore della morte, crisi spirituale, magia del cinema e del teatro sono i temi su cui ruota tutta la sua produzione.
Figlio di un pastore luterano, come Nietzsche, e di una benestante di Stoccolma. Infanzia scandita dai temi luterani di peccato, confessione, punizione, perdono e grazia. Educazione assai rigida e figura del padre autoritario ricorrente nei suoi film. Ingmar si chiude nel mondo della lanterna magica per sfuggire alla dura realtà. A diciotto anni cerca la sua strada e la trova a Stoccolma, dove si occupa di cinema e teatro. Nel ‘46 mette in scena “Caligola” di Albert Camus e tenta sperimentazioni cinematografiche di non grande valore. Negli anni cinquanta è regista stabile al teatro di Malmö e stringe solidi rapporti con attori come Max von Sydow, Erland Josephson, Ingrid Thulin, e Bibi Andersson, futuri protagonisti dei suoi film. Diviene personaggio internazionale a metà degli anni cinquanta con “Sorrisi di una notte d’estate” premiato a Cannes. La consacrazione avviene poi con “Il settimo sigillo”, premiato ovunque. “Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io… io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.” Trasposizione  cinematografica della pièce teatrale “Pittura su legno (Trämålning)” che lo stesso Bergman aveva scritto nel 1955 per la sua compagnia di attori teatrali. Presentato in concorso al 10º Festival di Cannes, il film vince il Premio Speciale della Giuria, ex aequo con “I dannati di Varsavia” di Andrzej Wajda. Danimarca medievale fredda e terribile, peste, morte e disperazione dappertutto.
bergman il settimo

Il settimo sigillo

Il cavaliere Antonius Block ritorna al proprio castello con il suo scudiero, reduce dalla Crociata in Terra Santa. Incontra la Morte e la sfida a scacchi al fine di ritardare il suo spaventoso compito. La partita ha inizio ma poi il viaggio riprende. Block incontra una coppia di attori con il loro bambino, una strega e altri personaggi. La peste intanto miete vittime ovunque. “E quando l’agnello aperse il settimo sigillo, si fe’ nel cielo un profondo silenzio di mezz’ora. E vidi i sette angeli che stavano dinanzi a Dio, e furono date loro sette trombe poi un altro angelo si fermò davanti all’altare con un turibolo e gli fu data gran quantità d’incenso. E allora il primo angelo die’ fiato alla tromba, e ne venne grandine e fuoco misto a sangue e così furono gettati sopra la terra, e la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi fu arsa, e fu arsa l’erba verdeggiante. E quindi il secondo angelo die’ fiato alla tromba e una specie di grande montagna di fuoco ardente fu gettata in fondo al mare, e la terza parte del mare diventò sangue… E anche il terzo angelo die’ fiato alla sua tromba. E dall’alto del cielo cadde una stella grande, ardente come fiaccola. La stella si chiamava Assenzio…” Con queste parole vengono tradotti i versetti 1-11 del capitolo 8 dell’Apocalisse di San Giovanni nella versione italiana del film.
Da qui il titolo che Bergman dà a uno dei suoi film più noti in assoluto. Bergman si interroga al massimo livello culturale sul silenzio di Dio e sul destino umano dopo la morte. Fede del Cavaliere ed ateismo dello scudiero. Vale la pena perdere la partita con la Morte pur di garantire una via di fuga ad una famiglia di poveri cristi. La Fede vince anche la Morte. Bergman riflette sul potere che la rappresentazione (anche dell’ultimo passaggio della vita) ha avuto in campo artistico perché l’arte è l’ultima nostra umana illusione.  “Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura. Per la mia indifferenza verso il prossimo mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie… Perché non posso uccidere Dio dentro di me? Perché egli continua a vivere in questo modo doloroso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparmelo dal cuore? Perché, nonostante tutto, egli è un’illusoria realtà ch’io non posso scuotere da me?… Io voglio la conoscenza, non la fede, non supposizioni, la conoscenza. Voglio che Dio tenda la sua mano verso di me, si riveli e mi parli… Lo chiamo nel buio, ma sembra come se non ci fosse nessuno… Allora la vita è un atroce orrore. Nessuno può vivere in vista della morte, sapendo che tutto è il nulla… Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo, l’amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione.”
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Poi “Il posto delle fragole” del ‘58, meditazione sulla vita e sulla morte. Orso d’oro a Berlino. Bergman ricoverato in ospedale perché stremato dalla fatica. Intanto si sposa per la quarta volta, segno di una vivace quanto tormentata vita sentimentale. In tutto saranno cinque matrimoni e nove figli. Scopre la solitudine completa nell’isola di Fårö e realizza “La trilogia del silenzio di Dio”. Vince numerosi altri premi con “Il silenzio” del 1963. Ormai è all’apice della fama. Purtroppo cade in una cupa depressione e da questo momento i suoi film saranno popolati da incubi e fantasmi. Si ritira sull’isola e realizza la Tetralogia di Fårö e intanto lavora per la televisione svedese. Di nuovo premiato per “Sussurri e grida” del ‘72 e poi per “Scene da un matrimonio” dell’anno successivo. Ogni coppia dovrebbe vedere questo film.
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Scene da un matrimonio

Il suo amore per Mozart si concretizza nel film teatrale “Il flauto magico”, opera di immensa grazia, leggerezza ed intelligenza. Bergman ama molto la musica, Mozart, Chopin e Wagner su tutti. Quinto matrimonio e relativa tranquillità interrotta all’improvviso dal fisco svedese. Causa che lo impegna per nove anni e gli crea una forte crisi depressiva. La stampa ovviamente compie il solito lavoro sporco. Bergman viene ricoverato per tre mesi nel reparto psichiatrico di Karolinska. Gira ancora “Sinfonia d’autunno” nel ‘77, poi, disgustato dalla ottusa burocrazia svedese, decide di allontanarsi dal suo paese. Vivrà tra Parigi e Copenaghen. Finalmente nel 1982, dopo essersi ritirato definitivamente a Fårö, realizza l’immenso Fanny e Alexander, ambientato nel 1907 nella provincia svedese. Famiglia alto borghese Ekdahl, Natale festeggiato a casa della nonna Helena. Tutto viene osservato dal punto di vista dei bambini Fanny e Alexander, figli del direttore del teatro locale Oscar. Il mondo visto da loro è magico. Morte di Oscar, nuovo matrimonio di Emilie con il perfido pastore protestante Vergérus. Bambini prigionieri nella canonica, incendi, lettura visionaria dei due bambini. Liberazione grazie all’amante della nonna, un rigattiere ebreo, morte accidentale del vescovo in un incendio scoppiato mentre dorme. Infine la nonna che legge per il nipote… la quiete dopo la tempesta.
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Fanny e Alexander

Alexander-Bergman, Helena, la sua amatissima nonna, Vergérus-padre opprimente che alla fine del film gli dirà ”Non ti libererai di me”. Oscar rappresenta invece il padre che Bergman avrebbe voluto avere, con la sua umanità e la sua passione per il teatro. ”L’unico talento che io ho è quello di amare quel piccolo mondo racchiuso tra le spesse mura di questo edificio e soprattutto mi piacciono le persone che abitano qui in questo piccolo mondo. Fuori di qui c’è il mondo grande e qualche volta capita che il mondo piccolo riesca a rispecchiare il mondo grande tanto da farcelo capire un po’ meglio. In ogni modo riusciamo a dare a tutti quelli che vengono qui la possibilità, per qualche minuto, per qualche secondo, di dimenticare il duro mondo che è la fuori. Il nostro teatro è un piccolo spazio fatto di disciplina, di coscienza, di ordine e di amore”. Temi pirandelliani, rapporto arte-vita-teatro, maschera-persona. E poi il tema della famiglia che, con tutti i suoi difetti, rappresenta un porto sicuro ”Non c’è nulla che possa separarmi da voi né adesso né dopo. Io lo so, lo vedo con estrema chiarezza. Penso che potrò esservi più vicino che in vita” dice Oscar.
bergman fanny8 (7) Riflessioni su esistenza e trascendenza, amore e morte, senso del peccato e leggerezza dell’arte. Fotografia di livello altissimo, musiche meravigliose, recitazione sontuosa… capolavoro assoluto. “Fanny e Alexander” è prima di tutto una storia narrata da un genio del cinema, un’autobiografia, il punto di vista di un adolescente stretto tra il malefico vescovo Vergerus e l’ebreo inquietante Isaak Jacobi. Sogno e magia servono ad Alexander per comprendere il Bene e il Male e la sorellina Fanny, con la sua innocenza, lo condurrà alla Verità di un mondo dove Dio è morto e solo l’illusione artistica può salvarci parzialmente. Il potere del Sogno è infinito… il potere della lanterna magica, del Cinema, ecco la magia di Alexander-Ingmar. Nega l’apparenza di una realtà terribile e la traduce in immagini da sogno, magiche. Ingmar torna bambino e ci svela il suo segreto.
Dopo il grande successo di quello che è comunque il suo testamento spirituale, Bergman continua a lavorare per la televisione e per il teatro. Nel 1991 scrive la sceneggiatura di “Con le migliori intenzioni “ produzione televisiva di sei ore, adattata poi allo schermo in due ore e quaranta con la direzione del premio Oscar Bille August.
Il 30 luglio 2007, all’età di ottantanove anni, muore nella sua casa di Fårö, lo stesso giorno della scomparsa di Michelangelo Antonioni.
“Dall’oscurità che tutti ci attornia mi rivolgo a te, o Signore Iddio: abbi misericordia, che siamo inetti, e sgomenti, e ignari. […] Dio, tu che in qualche luogo esisti, che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi.“ (Antonius Block)
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Bergman isola

Grazie Maestro, questo mondo incomprensibile grazie a te ci appare un po’ più magico.
J.V.

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