Appunti su “Intellettuali” di Sabino Cassese 

Appunti su “Intellettuali” di Sabino Cassese

Stimo molto Sabino Cassese, ex ministro e giudice costituzionale, uomo saggio, pacato ma fermo nelle sue posizioni. Speravo, con scarsa fiducia nei grandi elettori peraltro, che divenisse Presidente della Repubblica.
Col libretto “Intellettuali” Cassese si interroga sul ruolo degli intellettuali in questi tempi bui, tempi in cui si è propalata la colossale stupidaggine che “uno vale uno”. Si è verificato il trionfo degli apedeuti, ovvero di coloro che, incapaci di studiare severamente, tentano di screditare il sapere e si vantano della propria ignoranza. Il trionfo del populismo, il falso egualitarismo screditano gli intellettuali e conducono all’effetto Dunning-Kruger per cui più si è ignoranti più si nutre fiducia di non esserlo, al vincolo dell’ ignoranza pura inconsapevole di cui parla Israel Kirzner. Università farlocche, crisi delle università tradizionali, grotteschi tre più due, distruzione della scuola pubblica, ministri incompetenti sono fattori che hanno contribuito a creare una spaventosa ignoranza di massa. A loro volta alcuni intellettuali contribuiscono al disastro assumendo posizioni di chiusura stizzita o di complicità populista alla Chomsky. Di fatto assistiamo ad una regressione culturale generalizzata.
Ma chi è l’intellettuale? L’uso moderno della parola si deve a Émile Zola. Il momento è preciso: 13 gennaio 1898, data del famoso J’accuse diretto al Presidente francese Félix Faure per denunciare l’affaire Dreyfus. A questa terribile vicenda si deve l’uso moderno della parola e il suo passaggio da aggettivo a sostantivo. L’intellettuale deve possedere istinto esplorativo, indicare nuove strade, scendere a patti col passato per migliorare il presente, possedere una funzione cosmopolita, fondare un nuovo umanesimo, allontanarsi dalla mera erudizione per approdare ad un’autentica cultura. Corrado Vivanti, nell’ introduzione di un Annale della Storia d’Italia Einaudi su intellettuali e potere, scrive che gli intellettuali sono “una categoria generica di soggetti di cui si può cogliere la funzione e – quando esiste – la coscienza soltanto in relazione al loro contesto socio-culturale e soltanto nel momento in cui tale relazione è attiva”. Insomma dovrebbero ridurre il gap tra masse e cultura. Un ruolo difficile, rischioso, ricco di equivoci. Secondo Karl Mannheim l’intellighenzia deve “compiere la propria missione, tutelare gli interessi spirituali dell’umanità”. A mio parere l’intellettuale dovrebbe essere un Maestro che alleva fratelli minori, figli, discepoli e deve parlare soprattutto quando è più difficile essere ascoltato come Gobetti al tempo del Fascismo. Oggi deve prendere posizione contro la guerra e il riarmo esercitando il ruolo di coscienza critica capace però di offrire soluzioni. Per dirla con Machiavelli “innovare con nuovi modi gli ordini antiqui”. La democrazia ha bisogno degli intellettuali. Chi vota non deve scegliere soltanto il kratos ma anche aretè ed episteme. Da qui l’importanza della scuola. Il fallimento della scuola è il fallimento della democrazia, il trionfo della bestia demagogica. Il punto chiave è il passaggio dall’attuale logora democrazia all’epistocrazia come sua correzione.


L’intellettuale deve allontanare da sé le tentazioni del lamento, della spocchia e dell’ideologia. Personalmente sono convinto di questo. Credo che si possano usare i social con le dovute attenzioni, non si può soltanto criticare ma ad ogni critica deve corrispondere una soluzione. Penso infine, e concordo con Cassese, che un requisito sia indispensabile: l’umiltà.
In conclusione Cassese sostiene l’importanza della Storia. Ecco… non poteva concludere meglio. Proprio oggi, quando il mondo è a rischio apocalisse, occorre avere una incrollabile fiducia nella Storia e nella lezione di Marc Bloch, nella lezione dei buoni Maestri come quelli che ho fortunatamente avuto. Ne ricordo due per tutti: Cataluccio e Costantini.

J.V.

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